Nell’ultimo decennio ho notato un progressivo ma costante abbassamento della performance nel corpo dei miei allievi, e non sto parlando della prestazione tecnica, ma di resistenza, durata, capacità di concentrazione, di far fronte alle difficoltà e al fallimento.
Ho già scritto di tutto questo in passato, un argomento che comincia a comparire nella letteratura in diversi ambiti di ricerca sulla persona, credo anche grazie alla testimonianza di chi, come me, lavora a stretto contatto con giovani e giovanissimi da molto tempo, persone che hanno potuto notare questa curva nella presenza fisica e mentale dei propri allievi.
Che il corpo umano stia vivendo una stagione di declino credo sia sotto agli occhi di tutti, le vite che ci siamo scelti, specialmente per chi abita in città, sono troppo sedentarie e trascorse spesso al chiuso di uffici o aule, fortemente stressati dai ritmi che questo tipo di società impone. Se aggiungiamo a questo stile di vita anche un regime alimentare basato su prodotti industriali, e quindi alimenti senza vita, senza prana, se non totalmente inadeguati all’alimentazione umana, e l’aria che respiriamo totalmente corrotta da ogni tipo di inquinamento possibile, per non parlare del consumo di alcol, tabacco e droghe, si capisce bene che mantenere il proprio complesso mente-cuore-corpo sano, centrato, efficiente e energicamente vivo è un lavoro quotidiano che bisogna portare avanti con dovizia di informazioni e capacità di ascolto.
Tutte queste conoscenze purtroppo non rientrano nei contenuti trasmessi nella formazione scolastica, quindi i giovani sono all’oscuro di queste nozioni fondamentali, specie per delle generazioni che si troveranno in un ambiente sempre più ostile alla vita, e che avranno bisogno di sapere come promuovere la propria salute psico-fisica con dei comportamenti adeguati al contesto in cui si troveranno a vivere. Penso sia proprio questo sentire che spinge molti giovani oggi a cercare di tornare alla terra, di abbracciare una vita rurale, semplice e dedita alla simbiosi con la natura, poiché molti di loro, quelli più sensibili, sentono questa spada di Damocle sulla testa e cercano di dirigersi laddove possono riconnettersi con la propria origine materna. Non tutti possono o vogliono farlo, ovvio, ma si tratta di un movimento silenzioso che sta avvenendo sotto agli occhi di chi sa guardare, in modo abbastanza deciso.
Oltre alla questione ambientale, che incide moltissimo sulle condizioni generali del corpo fisico, ci sono anche altre concause che hanno portato nel tempo a questo abbassamento della prestazione, e che riguardano più la psiche. Ora, io non ho i titoli formativi per poter affrontare questo argomento dal punto di vista clinico o scientifico, ma credo di poter parlare per l’esperienza che ho sotto agli occhi e nel cuore ogni giorno, da ormai vent’anni, con questi giovani danzatori italiani.
Già da tempo ho osservato la scarsa capacità di concentrazione che molti di loro manifestano. Se non sono costantemente sollecitati, se li si lascia soli a gestire il lavoro, senza stargli sempre addosso, imboccandoli e ripetendogli continuamente le indicazioni, fanno molta fatica a rimanere con la mente focalizzata su un solo oggetto di osservazione tropo a lungo e si sentono persi, non sono in grado di autoregolarsi. E va bene, è la mente digitale, però è anche vero che se non si cerca di negoziare con questa tendenza, il rischio è di gettare via il tempo in divagazioni senza alcuna utilità, e la danza (così come qualsiasi altra disciplina, se si vuole imparare bene) non si può apprendere se la mente non è stabilmente diretta verso le azioni da fare, si tratta di uno studio che richiede principalmente proprio di non mollare l’obiettivo neanche per un secondo, tutto il resto viene dopo.
Allo stesso modo ho notato un aumento della difficoltà a gestire il fallimento, l’errore, i disparati “no” che si ricevono quotidianamente quando ci si mette alla prova, e questo accade non solo nella danza ma nelle vite di tutti. Credo che qui ci sia da farsi qualche domanda su come intendiamo moderare la direzione fortemente competitiva del sistema formativo, che punta molto più al risultato che al processo di apprendimento e alla qualità con cui ciò che si è appreso si relaziona con la vita reale. Allo stato attuale la scuola forma lavoratori, non persone, e questo potrebbe essere pericoloso, perché nel momento stesso in cui non si raggiunge un risultato soddisfacente, in termini meramente numerici, di punteggio, assegnato secondo un sistema protocollare che applica gli stessi parametri a tutti, ecco, ci si sente dei falliti. Sono moltissimi gli allievi che non riescono neanche ad avvicinarsi lontanamente al proprio limite, perché alla prima difficoltà si tirano indietro, annichiliti da un Sé giudicante che li sovrasta totalmente e non gli permette di esprimere quello che hanno dentro in modo libero.
Nel punto in cui questi mondi, quello psichico, quello spirituale quello fisico, si incontrano, ecco che l’incarnazione si manifesta attraverso piccoli o grandi infortuni, infiammazioni, lesioni di vario genere e entità. Non appena noi insegnanti proviamo a spingere un po’ di più sull’acceleratore, oppure quando ci sono prove importanti come esami, audizioni o spettacoli, la percentuale di infortunati o di persone doloranti aumenta esponenzialmente. Non ho dati certi, perché finora non li ho raccolti, ma è una cosa che si nota, salta all’occhio. Personalmente ho difficoltà a lavorare con loro, perché ogni volta che vado più a fondo accade poi che bisogna tornare indietro, o addirittura sono costretti a fermarsi, rendendo in buona parte vano tutto il lavoro fatto precedentemente. Esiste una sorta di arrendevolezza in loro, e non è un giudizio il mio, perché inquadrandoli nel contesto storico che stiamo vivendo, dominato da separazione, decadimento culturale, instabilità lavorativa e incertezza relazionale, non posso che essere solidale e comprendere la loro difficoltà a trovare una strategia di vita efficace. Dopo gli ultimi due anni, poi, questa arrendevolezza è persino aumentata, alla quale si è aggiunto anche disorientamento e una profonda sfiducia nel futuro che sta letteralmente minando la salute mentale di una intera generazione. Per fortuna molti di loro trovano il modo di spostarsi per andare alla ricerca di un luogo in cui ci siano più opportunità, ma anche realizzare una simile impresa richiede focalizzazione e una motivazione forti abbastanza da far superare le difficoltà, che sono tante.
Non sarebbe ora di portare su un tavolo di discussione questi contenuti, per capire come noi adulti possiamo aiutare questi ragazzi? Si tratta del futuro dei nostri figli (dico nostri anche se non sono madre), e anche del paese, che sempre di più soffrirà la mancanza di personalità forti con una visione chiara e la capacità di realizzarla, anche andando contro lo status quo, per fare della nostra una nazione al passo con i tempi e pronta a rispondere ai nuovi bisogni che stanno emergendo con forza. Oppure dobbiamo aspettare di essere venduti a qualche paese straniero?
1 commenti
Verissimo. Credo che la filosofia attuale del tutto e subito, degli ultimi anni, abbia toccato anche il nostro mondo. La tecnica è lunga e richiede grande tempo e pazienza. Cerchiamo di essere forti noi insegnanti. I ragazzi hanno bisogno di essere motivati e credo che con grande dialogo e tenacia si possa riuscire ad andare avanti bene. Non molliamo mai, noi per primi. Grazie per il vostro bellissimo lavoro!