Annamaria Galeotti: “Credo molto nel team e nella suddivisione dei compiti; ogni persona è parte integrante dell’Accademia”

L'intervista di Emanuele Burrafato alla nuova Direttrice dell'Accademia Nazionale di Danza

di Emanuele Burrafato
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Dal novembre 2023 Annamaria Galeotti si è insediata come nuova direttrice dell’Accademia Nazionale di Danza. Romana, con alle spalle una lunga carriera prima come danzatrice – la maggior parte della quale svolta al Teatro dell’Opera di Roma – e poi come assistente alle coreografie nella compagnia del Balletto di Roma, dal 1997 è titolare della cattedra di Tecnica della Danza Classica in Accademia. L’abbiamo incontrata per farci illustrare i progetti in atto e quelli futuri per questa prestigiosa istituzione.

Lei ha avuto una lunga esperienza come danzatrice e poi come docente, proprio qui all’Accademia Nazionale di Danza, cosa porta del suo bagaglio nella guida dell’Istituto?

Quello che ho imparato nel mio percorso di danzatrice, l’ho imparato dai grandi artisti, dai grandi maestri con cui sono venuta a contatto nella mia vita professionale, pertanto quello che mi piacerebbe fare all’interno dell’Accademia è invitare personaggi di rilievo per metterli a contatto con le nuove generazioni, perché possano fungere da ispirazione sia artisticamente che tecnicamente. Esistono varie modalità: organizzare incontri, interviste, seminari, laboratori coreografici, tutto ciò che può far confrontare sempre di più i nostri ragazzi con il mondo del lavoro.

Mi piacerebbe inoltre istituire una rete di relazioni con compagnie professionali che possano dare modo ai nostri studenti di assistere alle prove di una compagnia o di parteciparvi come stagisti, per comprendere cosa cambia nel passaggio dalla vita dello studente a quella del professionista. Lo studente ad esempio non è abituato a dosare le proprie forze, mentre il professionista sì, perché ha una tale esperienza di palcoscenico, che sa quando è possibile sforzare il proprio corpo e quando no. Queste sono cose che si acquisiscono solo con l’esperienza e mi piacerebbe che i ragazzi avessero la possibilità di impararle a partire dalla scuola.

Abbiamo già delle convenzioni con realtà importanti come il Romaeuropa Festival e centri di produzione che offrono all’Accademia occasioni importanti per la crescita dei nostri studenti. Però si deve fare di più. La collaborazione con le compagnie, cuore pulsante di quello che è un’attività artistica lavorativa, permetterebbe ai ragazzi di capire come si allestisce uno spettacolo, cosa deve fare un danzatore, come ci si prepara per andare in scena. Attività che noi facciamo solo nello spettacolo di fine anno: mi piacerebbe che questa frequenza aumentasse.

E per quanto riguarda la sua esperienza come docente? L’accademia Nazionale è l’unico Istituto italiano di Alta Formazione coreutica, ci sono secondo lei delle cose che potrebbero essere migliorate per garantire/ottenere il livello di eccellenza che a tale istituto compete?

Ho insegnato in Accademia per molti anni Tecnica della danza classica in tutte e tre le scuole, quella a indirizzo classico, quella a indirizzo contemporaneo e quella a indirizzo coreografico, facendo tre programmazioni differenti, in base alle specificità e le necessità dei tre indirizzi, perché queste necessità sono molto differenti. Credo che si debba fare sempre di più un lavoro mirato. C’è l’urgenza di un confronto di esperienze per trovare nuove modalità: lo studio della tecnica classica per l’indirizzo contemporaneo, ad esempio, non può basarsi sugli stessi criteri che si utilizzano per gli allievi della scuola di danza classica e viceversa. Vorrei che anche gli studenti potessero confrontarsi tra di loro; mi piacerebbe che queste informazioni viaggiassero fluide, tra una scuola e l’altra e che tutti sentissero di appartenere a un’unica istituzione. Il fatto di scegliere un indirizzo piuttosto che un altro è solo una questione artistica, ma la danza è una, ne sono sempre più convinta. Il confronto continuo può apportare arricchimento e consapevolezza dei diversi modi di utilizzare il proprio corpo o di interpretare il messaggio di un coreografo ospite in rapporto allo spazio, al tempo o al luogo. Presupposti che non sono specifici solo di alcuni settori.

E per quanto riguarda i propedeutici? Qual è la sua posizione a riguardo?

Io tengo moltissimo ai corsi propedeutici, sono il vivaio da cui attingere e un’importante sede di tirocinio dei nostri corsi di laurea, bisogna però rivedere i programmi, che secondo me sono ormai datati. La danza è in continua evoluzione, lo è sempre stata, le tecniche si contaminano e noi non possiamo non stare al passo con i tempi, regola che vale anche per l’Alta Formazione. Il ragazzo di 15 anni di oggi è diverso rispetto a quello di qualche anno fa, certi argomenti di studio possono sicuramente essere anticipati, altri tralasciati, altri introdotti. Bisogna contrarre il programma, “asciugarlo” e apportare contenuti diversi e magari linguaggi che siano vicini alla loro età. Penso a dei seminari di street dance ad esempio, stile diverso da quello classico-accademico, apparentemente in contrasto, che invece può rivelarsi utilissimo per apprendere nuove strutture ritmiche, per il lavoro sulla scomposizione del corpo, e per entrare in contatto con nuovi linguaggi coreografici. Assimilare queste nuove informazioni può aumentare la consapevolezza del proprio corpo e del movimento.

Quali sono gli apporti che intende dare?

Innanzitutto lavorare sulla comunicazione: dentro l’Accademia c’è un corpo docente di elevatissima professionalità, in questo senso posso affermare di poter contare su delle eccellenze. Si fanno tanti bei progetti, ci sono tante iniziative, che però spesso rimangono tutte all’interno dell’Istituto. Nessuno sa quello che noi facciamo, soprattutto perché manca la figura di un social media manager. Oggi è una figura importantissima per essere conosciuti, noi realizziamo tanti programmi di qualità che spesso rimangono ignoti ai più.

Però da tempo l’Accademia ha cercato di istaurare un legame con il territorio, penso ad esempio alle importanti attività in decentramento compiute dal progetto Resid’and, pensa di continuare in questo senso?

Ovviamente. Resid’and ha prodotto dei progetti molto interessanti ma bisogna creare, anche qui, reti di relazioni che ci aiutino a essere coinvolti e presenti nelle manifestazioni o negli eventi di alto interesse pubblico in cui questi progetti, almeno i migliori, possano essere presentati.

E riguardo al rapporto con altre istituzioni formative in campo internazionale?

Negli ultimi anni i nostri contatti internazionali sono stati incentrati essenzialmente sull’Erasmus. A me piacerebbe ampliare questo discorso prendendo contatti direttamente con le istituzioni o con le compagnie internazionali, creare una rete per organizzare scambi culturali che riguardino sia studenti che docenti. Ci sono però un po’ di cose a livello organizzativo da mettere prima a regime. In questo mio primo periodo vorrei che l’Accademia raggiungesse un grado più alto di organizzazione interna; in questo senso conto molto sui nostri docenti, che sono tutti molto collaborativi e sul reparto amministrativo. Io credo molto nel team e nella suddivisione dei compiti, perché ogni persona è parte integrante dell’Accademia e il bagaglio personale, frutto di esperienze pregresse e capacità, che apporta all’istituzione deve essere valorizzato per dare il massimo ai nostri studenti.

Che cosa le piacerebbe cambiare o migliorare?

La comunicazione, interna ed esterna (sorride).

C’è grande fermento nelle istituzioni AFAM per i percorsi di dottorato, qual è la sua posizione a riguardo e come intende muoversi in questo senso?

I nostri corsi di dottorato, ne abbiamo due in essere, sono per adesso in collaborazione con l’università di Roma Tre. Come tutte le scuole Afam ci siamo dovuti consorziare con un’università, io confido che in breve tempo ci sia l’adozione del Decreto attuativo dell’art. 15 del DM. che permetta alle scuole Afam di rilasciare autonomamente titoli di dottorato, sono comunque aperta anche ad altre collaborazioni. Mi piacerebbe molto realizzarle con l’estero.

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