Gene Kelly: il ragazzo capace di sorridere anche sotto la pioggia

di Elio Zingarelli
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Il 2 febbraio del 1996, nella sua casa di Beverly Hills, in California, dopo essere stato colpito da due ictus, all’età di 83 anni Gene Kelly muore “pacificamente nel sonno” con la sua terza moglie Patricia Ward al capezzale del suo letto. Ciò è quanto riporta il suo ufficio stampa, Warren Cowan.

E quell’avverbio che connota la sua morte sembra adatto ad inquadrare anche tutto il suo percorso di vita e artistico che precorre quel venerdì di ormai 28 anni fa.

Eugene Curran Kelly, nasce nel 1912 a Pittsburgh, una città operaia industriale nell’est degli USA. Qui trascorre i primi anni con il padre, un dirigente delle vendite di una casa discografica, la madre, un’ex attrice, e i suoi fratelli e sorelle. Per assecondare la volontà materna frequenta le prime lezioni di danza ma al liceo scopre la sua propensione per lo sport: baseball, football, hockey e ginnastica.

Nel 1929, il giovedì nero segna l’inizio di una grava crisi economica: il padre perde il lavoro, Kelly  lascia il collegio e inizia a insegnare passi di danza nel seminterrato della sua casa dove insieme al fratello Fred (in seguito un prolifico regista teatrale e televisivo) fondano i Kelly Studios of the Dance; il successo è tale che aprono un secondo studio nella vicina Johnstown.

Successivamente riprende gli studi, si laurea in giornalismo al Pennsylvania State College e in  economia all’Università di Pittsburgh, nel contempo partecipa agli spettacoli teatrali studenteschi. Il fascino della performance si dimostra troppo forte per resistergli. Con Fred approfondisce lo studio del Tip Tap (originariamente Tap dance) e insieme si esibiscono in tournée nei nightclub. Diventa molto noto in Pennsylvania ma motivato da una fortissima ambizione coglie la necessità di trasferirsi a New York per l’opportunità di una lunga e importante carriera. Così, dopo alcune gare amatoriali durante la Grande Depressione, va alla conquista di Broadway che rappresenta l’obiettivo per tutti i giovani danzatori.

A New York, con possibilità economiche assai limitate, si stabilisce in un piccolo appartamento che condivide con un pianista. Inizia a esibirsi negli spettacoli a Broadway come sostituto e poi come ballerino di fila. Nel 1940 all’età di 28 anni esordisce sul palcoscenico in Pal Joey. Nonostante nessuno sia in attesa di un coreografo della Pennsylvania, Kelly riesce a firmare alcune coreografie e durante un’audizione per reclutare danzatori incontra Betsy Blair che sposa e da cui ha la sua prima figlia, Karry.

L’esperienza newyorkese è determinante per la definizione del suo stile assolutamente americano. Prima di lui, il film musical è conteso tra le stravaganze vistose, impersonali, soprattutto femminili di Busby Berkeley e il portamento elegante, più classico che rispecchia la personalità di Fred Astaire. Il confronto con quest’ultimo è immediato:  Fred Astaire, più di buone maniere, palesa un’immagine di uomo elegante che indossa cappello a cilindro e frac mentre Kelly, più rude e passionale, presenta un aspetto casual con magliette e pantaloni sportivi, calzini bianchi per attirare l’attenzione sui piedi abbaglianti. La danza di Gene Kelly appare più dinamica coinvolgendo con la stessa intensità la parte superiore e inferiore del corpo ma soprattutto palesando, spesso, una componente erotico-seduttiva.  

Dopo l’esperienza in teatro, riesce a firmare finalmente il suo contratto per Hollywood. Nel 1942, la Metro-Goldwyn-Mayer, che in questi anni inizia a produrre musical sontuosi, regala a Kelly un promettente debutto sul grande schermo in For me and my Gal (1942), accanto a Judy Garland che lo aiuta a modulare e calibrare le sue performance davanti alla camera di ripresa. Recita con grande credibilità ed efficacia mostrando confidenza, sicurezza e piena padronanza dei personaggi per ognuno dei quali cerca di impostare un ritmo differente.

Nel 1943, in Colombia, con Rita Hayworth, gira Cover Girl (1944). Tra i numerosi numeri del film da lui stessi coreografati Alter Ego riesce a colmare il divario tra la tecnica cinematografica pirotecnica di Berkeley e l’approccio più teatrale di Astaire: mediante un lavoro di effetti speciali meticolosamente cronometrato, Kelly rappresenta il conflitto interiore del personaggio per mezzo di una “danza di sfida” con il suo doppio. Ciò dimostra la volontà e la capacità di rinnovare il genere apportando delle novità sensibili anche al contenuto psicologico ed emotivo del personaggio. Il medesimo intento viene sviluppato con Anchors Aweigh (1945), diretto da Georges Sidney dove, accogliendo l’intenzione di Walt Disney di sperimentare una modalità che accosti dal vivo danzatori e animali danzanti, si esibisce insieme a Jerry del cartone animato Tom&Jerry.

L’ambiziosità di questi progetti si coniuga con una giocosità e una rigorosità caratterizzanti del suo lavoro che non avrebbe avuto esiti così felici se non fosse stato supportato da una volontà ferrea, un lavoro arduo, constante e un perfezionismo di cui sono testimoni tutti i suoi partner, tra cui anche Frank Sinatra, l’idolo dei Bobby Soxers, nel film Due marinai e una ragazza (1945).

In pochi anni Gene Kelly riesce a imprimere il suo segno sulla cinematografia hollywoodiana. Ma dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbor, il 7 dicembre 1941, e l’ingresso diretto degli Stati Uniti nel secondo conflitto mondiale, il danzatore e coreografo si arruola in marina e viene assegnato all’unità cinematografica ad Annapolis. Qui lavora al documento video Come montare e smontare il fucile.

Seguono altri film di formazione militare per gli altri e cinematografica per lui che ha la possibilità di sperimentare e apprendere molto circa la regia e la realizzazione di un film. Al suo ritorno si stabilisce a Los Angeles, compra una casa a Bevery Hills, dove vive assieme a sua moglie, sua figlia e ai suoi due assistenti, Carol Haney and Jeanne Coyne, con i quali costituisce una vivace comunità artistica. Deciso a focalizzarsi sulla regia cinematografica, Kelly realizza una commedia musicale tratta dall’omonimo musical On the town (1949) del compositire Leonard Bernstein. Co-diretto da Kelly e Donen, il film è una fusione senza precedenti di danze e musical di Hollywood che si intersecano ragionevolmente con la vicenda rappresentata. All’autenticità e al realismo del risultato finale giova la scelta di girare, oltre che ambientare, il film direttamente a New York promuovendo un metodo insolito per l’epoca e inaugurando una varietà di tecniche cinematografiche.

Sulla scia di quest’ultimo film, Kelly si lancia in una nuova sfida con Vincent Minnelli, An America in Paris (1951). Il film, una variazione sulle opere di George Gershwin, è ancora  un’altra dimostrazione della sua versatilità e abilità di padroneggiare stili diversi in sintonia con la situazione emotiva dettata dalla sceneggiatura. Memorabile è il balletto di chiusura dove l’artista impersona il ballerino di un quadro di Toulouse Lautrec. Diciassette minuti di puro movimento dove Kelly fonde audacemente danze soliste, movimento di massa, angolazioni insolite della telecamera e colori vibranti dei costumi ricchi di dettagli per raccontare una storia in termini puramente visivi.

Il progetto seguente si intitola Singin’ in the Rain (1952) che affianca Gene Kelly, Donald O’Connor e Debbie Reynolds. Il film è costruito attorno a un catalogo di musiche del grande produttore musicale della MGM, Arthur Freed, che chiede a Gene di realizzare un musical partendo proprio dalla canzone omonima del titolo già utilizzata. Fra tutti i partners di ballo di Kelly, nessuno diviene più memorabile dell’ombrello che il danzatore impugna mentre danza sotto la pioggia. Questa sequenza viene ripresa in due giorni durante l’estate: per realizzare lo scenario notturno vengono utilizzati dei grandi teloni scuri e all’acqua viene aggiunto del latte per intensificarne la consistenza.

Gene Kelly con la febbre a 39 si arrampica su un lampione, compie un cerchio con un sentimento d’innocenza quasi infantile; la danza si configura quasi come una dichiarazione della gioiosità della vita che alla fine trionfa sulla la commedia, la satira, la breve lezione di storia, il musical, la storia d’amore quale può essere considerato il film.

Dopo questi due grandi successi, nel 1952, insieme alla famiglia, decide di lasciare l’America impegnata nella guerra fredda e fortemente destabilizzata dalla diffusione del maccartismo.  Si stabilisce a Londra e ne acquisisce la residenza. Qui lavora alla triade, Invitation to the Dance (1956): un clown innamorato di una bellissima danzatrice, un prezioso braccialetto e un marinaio americano sono i protagonisti delle tre storie. Un flop ai botteghini e un duro colpo per il suo orgoglio.

Rientra negli Stati Uniti dove la sua risonanza sembra ormai fiacca, l’età avanza, il genere musicale cinematografico è vittima dell’aumento dei costi di produzione e della diminuzione dei ricavi al botteghino. Gene Kelly inizia a lavorare più assiduamente ai programmi televisivi. Dancing. A Man’s Game trasmesso nel 1958, è una dimostrazione della sua concezione di danza che coniuga una grazia disinvolta e una mascolinità terrena, il romanticismo dei sontuosi musical di Hollywood e un vigoroso atletismo.

“Sugar [Sugar Ray Robinson] qual è la cosa importante che un boxer deve avere?” – chiede Kelly durante la trasmissione – “Ritmo” – risponde il noto sportivo. Uno affianco all’altro eseguono gli stessi movimenti, mostrandone le qualità affini, che prescindono dai luoghi deputati alle discipline di ciascuno e vengono eseguiti quotidianamente e ovunque; importante è individuarli e riconoscerne le potenzialità anche coreutiche.

Nel 1960 Kelly accoglie una nuova sfida: per l’Opéra national de Paris, sul Concerto in fa di George Gershwin coreografa Pas de Deux che alla sua prima, nel 1960, riceve 27 chiamate alla ribalta. Durante il periodo di prova, ogni mattina, per le prime tre o quattro settimane, tiene una lezione di danza jazz. L’Étoile parigina Claude Bessy, presente nel cast, ricorda l’assillo per il ritmo di Kelly che è solito ripetere “on the beat, on the beat” oltre al modo differente di tenere la schiena, di eseguire il plié, gli equilibri e il coinvolgimento di tutto il corpo richiesto per l’esecuzione di un unico movimento.

Il legame con la Francia si consolida sette anni dopo con l’interpretazione di un piccolo ruolo in Les demoiselles de Rochefort (1967) di Jacques Demy: è la sua ultima apparizione come danzatore in un film. Rinunciare alla danza, per uno che sostiene l’intimo e profondo legame tra il mestiere di danzatore e quello di atleta, non sembra una scelta sofferta; non vuole ridursi a un anziano ballerino costretto a pochi e semplici passi. Nel 1969 riprende a lavorare a Hollywood come regista del film Hello, Dolly!, una super produzione che è un adattamento cinematografico di un capolavoro di Broadway. Lo sforzo richiesto non è ripagato dal consenso ma forse la pellicola rappresenta la giusta pomposa conclusione della sua carriera.

Per converso la sua vita pare non avere quasi nulla di sfarzoso ma molto di ordinario: un lavoro scrupoloso, una paternità devota e premurosa, diverse coniugalità, precarietà giovanile economica, cagionevolezze e disgrazie, conflitti e persecuzioni.

Tutto affrontato con prontezza e reattività, anche la morte per leucemia della sua seconda moglie, Jeanne Coyne, e l’incendio che nel 1983 manda a fuoco l’intera casa con i cimeli raccolti in quarant’anni, tra cui il Premio Oscar onorario del 1952 che riesce a prelevare e consegnare a suo figlio al quale si raccomanda di custodirlo.

Negli ultimi anni Gene Kelly non appare nostalgico, sembra, anzi, apprezzare le nuove generazioni di danzatori ai quali dispensa consigli. È lui a suggerire a Michael Jackson di indossare i calzini bianchi per rendere i suoi piedi più visibili sul palcoscenico. Ormai anziano, conserva una lucentezza conferitagli da una visione ottimistica e spensierata della vita: la stessa luminosità che ancora oggi illumina i palcoscenici di Broadway, dove i suoi musical o gli adattamenti dei suoi film vengono rappresentati, e che il 2 febbraio nel 1996 viene repentinamente offuscata per omaggiarlo.

Pacificamente, che non vuol dire senza litigi o controversie ma capace di risoluzione quieta e propositiva, Gene Kelly è e rappresenta il ragazzo gaudente che calpestando una pozzanghera e schizzando al poliziotto è stato capace di sorridere anche sotto la pioggia.

Crediti: archivio AF/Alamy

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