Sir Kenneth MacMillan e Frederick Ashton: le British Icons brillano a San Francisco

di Elio Zingarelli
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British Icons è il titolo della serata composta da Song of the Earth e Marguerite e Armand rispettivamente di Sir Kenneth MacMillan e Frederick Ashton. Questi sono i due nomi principali del balletto inglese che è divenuto nel giro di solo qualche decennio pietra miliare della danza mondiale ed emblema di uno stile che a partire dagli anni trenta del XX secolo si è andato definendo tipicamente British e che non compendia soltanto la tendenza specificamente “drammatica”.

Frederick Ashton tendenzialmente ripudia i temi contemporanei, per i quali crede sia più adatto il cinema, e ci restituisce un mondo abitato da un senso di nostalgia e onirismo a tratti anacronistico soprattutto nei lavori creati durante la contestazione sessantottina. Sir Kenneth MacMillan, che in più occasioni dichiara l’influenza esercitata su di lui da Ashton, immette nei suoi balletti le brutture e le sofferenze per un’esigenza “realistica” e di espressione dell’inquietudine contemporanea. Inoltre, quest’ultimo sostiene che la danza non debba mai essere subordinata al racconto allo stesso modo John Cranko che non appena trasferitosi a Stoccarda invita il collega a lavorare per la sua compagnia. Qui, nel 1965, MacMillan può usare la partitura di Das Lied von der Erde di Gustav Mahler per Song of the Earth, cosa che non gli è concessa al Covent Garden perché considerata non adatta.

Questo balletto sinfonico rappresenta la vena più autentica del coreografo, ovvero la propensione per il balletto psicologico, per cui la forma più consona sarebbe quella dell’atto unico. Sul palcoscenico condiviso dai due cantanti, che si esibiscono alternandosi, e dai danzatori ci sono  “un uomo, una donna, e la morte.”

Questi sono i termini abbastanza semplici utilizzati da MacMillan per descrivere il ciclo della vita scandito dal ciclo di canzoni che rappresentano solitudine, giovinezza, bellezza, divertimento e morte. Contenuti socialmente e psicologicamente impegnativi che qui vengono palesati con gesti minuti ma di grande eloquenza, pose di inconsueta eleganza soprattutto della parte superiore del corpo (teste inclinate e braccia che disegnano linee a semicerchio) elementi acrobatici e un uso a tratti inconsueto della tecnica delle punte reso molto esplicito dalle scene e dai costumi “minimalisti” di Nicholas Georgiadis.

Sotto la guida e la supervisione di Grant Coyle e Edward Watson, con un ulteriore supporto della direttrice artistica, Tamara Rojo, sul palcoscenico  tutti gli interpreti, tra i quali si distingue per carisma e presenza scenica Isaac Hernández, mostrano dimestichezza, agilità ma soprattutto un’intensità d’esecuzione di una coreografia la cui musica è tedesca, il testo musicale è basato su poesie cinesi della dinastia Tang, con influenze tratte dal Kabuki giapponese e dal teatro Noh, e il cui stile è britannico e pertanto palesa emozioni e stati dell’esistenza presenti e vivibili ad ogni latitudine.

Dopo l’intervallo, Marguerite e Armand creato nel 1963 da Frederick Ashton appositamente per esaltare le qualità drammatiche di Dame Margot Fonteyn insieme a Rudolf Nureyev. Per volere del coreografo mai più rappresentato dal 1977, dopo l’ultima esibizione dei primi grandi interpreti, solo nel 2000 il balletto viene accolto nuovamente e attivamente nel repertorio del Royal Ballet consentendo anche a Tamara Rojo di danzare nel ruolo principale femminile per il suo addio alle scene insieme a Sergei Polunin.  Ispirato dalla sonata in si minore di Franz Liszt, orchestrata da Searle, e dal romanzo di Dumas, piuttosto che da Manon Lescaut di Prévost, Ashton opta per un lungo flashback della protagonista in punto di morte, con i personaggi della storia che si animano attraverso un concentrato di ricordi della durata di trentacinque minuti.

Nel prologo, Marguerite sofferente giace sul letto. Armand, interpretato dal principal dancer Joseph Walsh, improvvisamente entra quando Misa Kuranaga, nei panni della protagonista, è già accerchiata dai gentlemen di Parigi. Il breve assolo di lui è una dichiarazione di passione e di amore che matura subito in una storia romantica i cui episodi salienti si dispiegano tra la struttura fissa semicircolare, progettata da Cecil Beaton.

Il balletto è essenzialmente un lungo passo a due interrotto: il primo incontro a teatro, la gita in campagna, un altro appuntamento al teatro, e poi l’ultima visita di Armand a Marguerite segnano l’accendersi repentino del sentimento amoroso, il suo breve ardere e il suo rapido spegnersi.

Lirismo ed espressività romantica, ovvero quelle componenti che  – dice John Percival –  riconosciamo nel British Style, si intessono in questa opera di danza che ben rappresenta la terza tipologia del balletto (le altre due sono il genere pittorico e quello letterario) che Ashton descrive nelle sue Notes on Choreography, ma senza utilizzare un aggettivo specifico e che invece si potrebbe chiamare “musicale”, ovvero l’unico a preservare la centralità della danza perché ispirato solamente, o soprattutto, dalla musica per la spiccata musicalità e capacità di comprensione del coreografo.

La caducità della vita, le aspettative sociali, i sacrifici e l’amore, alla fine vengono offuscati da un rimescolio emozionale che le due opere di danza, più o meno contemporanee, mettono in moto rivelando l’estrema competenza di due coreografi che difficilmente si possono incasellare in un genere specifico ma che con grande abilità hanno saputo confezionare lavori che raramente lasciano il pubblico sensibilmente immutato.

CREDITI: © Reneff-Olson Productions

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