Mount Ventoux della compagnia Kor’sia: un movimento pregnante in ascesa

Coreografie di Antonio De Rosa e Mattia Russo

di Elio Zingarelli
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“Finalmente, qualcuno danza ancora”. Questa è stata l’esclamazione di una spettatrice entusiasta al termine dello spettacolo Mount Ventoux della compagnia Kor’sia che in prima nazionale è andato in scena sabato 11 novembre nella Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone, nell’ambito del Romaeuropa Festival 2023.

In effetti, la danza dei nove interpreti è talmente potente, energica che non induce a chiederci cosa stiamo vedendo o se stiamo comprendendo (forse, sarebbe opportuno non associare più alla danza il verbo comprendere invalidando, o soltanto limitando, una tendenza diffusa soprattutto nel pubblico occidentale). Eppure, lo spettacolo poggia su una colta e importante fonte d’ispirazione: i coreografi Antonio De Rosa e Mattia Russo, insieme alla drammaturga Agnés López Rio, rivisitano Ascesa al monte ventoso, lettera presente nella raccolta epistolare delle Familiares che Francesco Petrarca scrive nel 1336. Recuperando il significato spirituale che il poeta attribuisce all’ascesa al monte, gli autori concepiscono un’opera che palesa il bisogno di sottrarsi all’attrazione per il convenzionale e alla materialità del prodotto (un danzatore spinge sul palcoscenico un carrello per la spesa che accoglie un’altra danzatrice).

Sulla musica del compositore Alejandro Da Rocha la coreografia è sagomata dietro e davanti una parete mobile con finestre: tre aperture su un monte che è prima suolo calpestato dalle danzatrici e dai danzatori, e poi scenografia di Amber Vandenhoeck che si impone allo sguardo degli spettatori ostentando tutta la maestosità della natura. Con Mount Ventoux la compagnia madrilena rimette a tema natura e cultura, umano e animale: al movimento del gruppo segue quello di due interpreti che in posizione quadrupede, anzi con le ginocchia a terra e le braccia che si intrecciano, si scontrano capo contro capo evocando il combattimento tra due bovini, e poi alla presenza di una donna-soldato rifugiata o imprigionata nella sua armatura di cui poi si libera fa da contraltare un interprete che indossa un costume di coniglio in peluche.

Tutte le urgenti tematiche di cui tratta quest’opera di danza, come si legge nel programma di sala, qui non vengono evocate o suggerite bensì incarnate da meravigliosi interpreti di una danza pregna di valori che ci basta, ci sazia, ci coinvolge. Un movimento nel tempo e nello spazio che in dialogo con altre discipline artistiche trascende la comunicazione verbale per rendere evidenti priorità sfasate, rapporti alterati medievali e contemporanei per un bisogno di umanità sempre attuale.

Crediti fotografici: Maria Alperi

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