Lia Courrier: “Quanto il mondo accademico del balletto conosce la danza contemporanea?” – seconda parte

di Lia Courrier
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L’universo della danza è molto vasto ed è vero che ognuno sceglie di focalizzarsi su una delle molteplici forme con cui la Musa Tersicore si mostra, ma credo che un’apertura alla contemporaneità non possa che essere un valido strumento affinché il balletto sopravviva al cambiamento in atto, culturale e sociale, senza il rischio di diventare un polveroso pezzo da museo. Mi chiedo perché, per i giovani allievi delle formazioni accademiche, anziché studiare danza moderna, come Graham o Cunningham, non sia previsto un programma di studi che contenga discipline quali release technique, countertechinque, contact improvisation e tecniche somatiche. Tutto questo certamente aggiungerebbe qualità e sapienza alla loro danza, permettendogli di scoprire che un movimento può essere bello e efficace anche se non si stendono i piedi, anche se non si portano le gambe in alto, e darebbe loro qualità preziose come il grounding, diverse qualità di movimento e la fiducia nel contatto tra i corpi e nel contatto con il pavimento.

Quanto il mondo accademico del balletto conosce la danza contemporanea?

Da ciò che ho osservato direi poco, molto poco.

Dall’alto del suo trono di cristallo, il mondo della danza classica guarda alla danza contemporanea come ad un’arte impura, di seconda scelta, senza lignaggio. Il balletto si propone come un’arte eletta, crede fermamente di esserlo, e probabilmente per un certo periodo di tempo, in un passato ormai lontano, è stato così. Oggi bisogna ribaltare questo sovrano e porre fine alla monarchia, perché si tratta di un modello piramidale in cui non ha più senso investire energie.

Tutte le manifestazioni di Tersicore, del Duende, di Shiva o di qualsiasi altra entità danzante la storia abbia mai conosciuto, sono ugualmente importanti, anzi, fondamentali per l’umanità stessa.

Credo che questa assenza di interesse da parte del mondo accademico, nei confronti della ricerca coreografica contemporanea, derivi solo dal non sapere, o da conoscenze ormai obsolete dei nuovi linguaggi. Un fraintendimento, insomma. Chiunque abbia passione per la danza la ama tutta, quando questa è trasmessa, creata o eseguita con criterio, conoscenza e sapienza, è una questione di sensibilità. Sono sicura che moltissimi ballerini delle accademie di formazione e compagnie di balletto, sarebbero totalmente conquistati da una genuina esperienza con la danza contemporanea, dai nuovi spunti di riflessione e punti di vista che questa donerebbe loro.

Non è raro che si disprezzi ciò che non si conosce, e la danza contemporanea non è certo qualcosa che capita di amare fin dal primo contatto! A volte bisogna bazzicarla per un po’ per accorgersi della sua ricchezza, spendere del tempo per osservarla, praticarla, indagarla, ma questo richiede la presenza di direttori (di Accademie e di Compagnie) illuminati che non abbiano paura di accogliere il diverso e che siano disposti ad aprire questo canale di comunicazione.

Credo che questo sia un periodo veramente nero per le compagnie di balletto italiane. Persino al Teatro alla Scala fanno fatica a riempire platea e palchetti, se non nelle serate dove ballano le star. Senza pubblico il balletto è destinato a morire, perché diciamocelo, le produzioni sono costose: tantissimi danzatori coinvolti, scene mastodontiche, costumi splendidi ed elaborati, orchestra dal vivo, insomma si tratta di uno sforzo non indifferente per il teatro, e se questo non porta poi un ritorno economico, va da sé che i direttori artistici dei teatri facciano i conti e prendano delle decisioni. Non dico che questo sia giusto, ma è così che gira l’economia. Speriamo che il nuovo direttore della compagnia meneghina, insediato di fresco, possa cambiare la situazione.

Di contro l’ultima performance del coreografo Wim Vandekeybus, andata in scena qui a Milano poco tempo fa, dava già il tutto esaurito ad una settimana dall’evento, così come per assistere a molte produzioni europee che girano su circuiti già largamente rodati con la danza contemporanea, come ad esempio la stagione delle Fonderie Limone di Moncalieri, bisogna prenotare per tempo, altrimenti si rischia di rimanere fuori.

C’è attenzione attorno alle produzioni contemporanee, ne vorremmo vedere di più nei cartelloni dei teatri, se si potesse, e sono sicura che nei casi citati ci sarebbe il tutto esaurito anche per un numero maggiore di repliche. Per andare a vedere Peeping Tom a Moncalieri, il pubblico del nord Italia si è spostato dalle Regioni limitrofe, per assistere agli spettacoli (la trilogia sulla famiglia), perché c’è attenzione attorno al loro lavoro. Un caso in cui la domanda supera l’offerta, insomma.

L’uomo contemporaneo è attratto da ciò che risuona con sé stesso, con la cronaca dei tempi che stiamo vivendo, e che la danza rappresenta in pieno perché si incarna nel corpo, in assenza di un linguaggio verbale che divide e separa. Il corpo unisce, il corpo è il veicolo di un messaggio dell’anima, ma anche del messaggio sociale e politico.

Questi due fatti, ossia lo svuotamento del pubblico del balletto e l’attenzione verso una forma d’arte che però non viene programmata abbastanza, se osservati in un’ottica ampia e di apertura, mostrano come la danza possa salvare sé stessa dall’estinzione abbattendo i muri che al suo interno la frammentano. Dissolvere queste puerili separazioni, lasciare che la danza possa guardare al suo corpo più esteso, andando verso un’idea di compagnia più eclettica e preparata per rispondere alle esigenze di coreografi provenienti da ambiti diversi, non può che fare bene a tutti. L’apertura delle compagnie di balletto ad una maggiore contaminazione con i linguaggi contemporanei, forse, permetterebbe di attingere ad un nuovo bacino di utenza pronto ad acquistare biglietti per assistere alle rappresentazioni, e la danza contemporanea potrebbe finalmente entrare nelle sedi istituzionali, che una volta erano territorio esclusivo della danza dal trono di cristallo. Ma questo processo deve cominciare già dalla formazione.

Come ho detto molte volte, prima ancora che fondi servono idee, apertura, un’intelligenza che sappia guardare al futuro, delle dirigenze artistiche culturalmente competenti e capaci, che abbiano voglia di rischiare e di creare posti di lavoro, anziché sopprimerli.

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