Vademecum per gli insegnanti di danza

di Lia Courrier
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Dopo il numero della scorsa settimana (grazie per le numerose condivisioni!), mi è stato chiesto di formulare un vademecum anche per gli insegnanti di danza. Trovo onesto portare equilibrio nel tirare le fila di queste linee guida per un felice insegnamento della danza, includendo nella discussione anche il nostro apporto di insegnanti, oltre a quello importantissimo dei genitori.

Sintetizzare in poche righe ciò di cui sono qui a scrivere da più di due anni non è facile, ma proverò a focalizzare dei punti essenziali su cui credo non si debba mai abbassare la guardia, per garantire agli allievi una preparazione tecnicamente adeguata, offerta in modo professionale.

1.Direi prima di tutto che un insegnante dovrebbe sentirsi tale solo se letteralmente ‘chiamato’ alla trasmissione del proprio sapere, senza mai dedicarsi all’insegnamento per ripiego, perché non si trova lavoro, perché le audizioni vanno male o perché non si ha voglia di farle. Insegnare è un mestiere che richiede un profondo senso dell’etica e della responsabilità nei confronti di chi arriva da noi per imparare, in particolare quando si tratta dei bambini più piccoli, che hanno bisogno di particolari attenzioni e competenze dal punto di vista pedagogico e didattico. Sarebbe meglio non insegnare ai piccoli senza una preparazione adeguata alle spalle, e mai dovremmo affidare alle nostre allieve più grandi le lezioni a loro dedicate, pensando che tanto per dei bambini possa andare bene anche così. Sono proprio queste, in realtà,  le scelte che indicano quanto sia lacunosa la preparazione e la competenza di un insegnante.

Insegnare danza è un consapevole atto di generosità, con profonda condivisione, nei confronti di qualsiasi allievo richieda il nostro supporto e la nostra guida. Questo non vuol dire che dal momento in cui si decide di essere insegnanti non si può più essere anche danzatori, ma sicuramente insegnare comporta una certa responsabilità in termini di presenza e continuità, che è necessario soddisfare, per onorare l’impegno di coloro che hanno individuato in noi qualcuno da cui poter trarre insegnamenti.

2.Rispettare l’allievo come individuo, ancora prima che come danzatore.

Per riuscire in questo obiettivo dovremmo nutrire rispetto prima di tutto verso noi stessi, lavorare sul superamento dei nostri blocchi emotivi, delle nostre frustrazioni e delusioni. Soprattutto dovremmo sempre evitare di proiettare sugli allievi i nostri desideri, lasciandoli liberi di prendere le proprie decisioni, anche quando queste li portano ad allontanarsi dai progetti che avevamo in mente per loro, o a prendere le distanze da noi. Non importa l’entità del nostro impegno nei loro confronti, o per quanto tempo abbiamo investito su di loro: eseguiamo il nostro lavoro al meglio per il puro piacere di farlo e non per ottenere qualcosa in cambio, neanche la gratitudine. Ricordiamoci che gli allievi arrivano da noi portando con sé anche la possibilità che qualcosa nella loro relazione con la danza, o con la nostra persona, ad un certo punto possa non funzionare. La porta della nostra aula dovrebbe idealmente essere sempre lasciata aperta, senza alcun giudizio per chi decidesse di varcarla con la volontà di non tornare.

3.Ognuno di noi ha imparato e ha fatto esperienza di una piccola, infinitesima parte di ciò che è l’Universo Danza. Quindi smettiamola di pensare di detenere chissà quale verità assoluta da concedere agli allievi come se fossimo dei guru. Manteniamo sempre accesa, invece, la fiamma dell’umiltà, che nella società contemporanea ha assunto una sfumatura negativa, da perdenti remissivi, e invece per me rimane una risorsa potente e virtuosa, che consente di rimanere sempre con i piedi per terra e gli occhi aperti e curiosi nei confronti di tutto ciò che ancora non si conosce, di cui spesso si parla male solo perché non se ne è compresa la natura. È molto facile e diffusa tra noi insegnanti, infatti, la pratica della maldicenza, verso chiunque non faccia parte del proprio entourage, chiunque pensiamo faccia il proprio lavoro peggio di noi, ma anche chiunque lo faccia meglio. Le scuole di danza spesso sono impegnate in assurde guerre fredde, dominate da un sentimento caustico e corrosivo come l’invidia, per lo più immotivata, contendendosi non solo gli allievi, con promesse che a volte sembrano offerte da supermercato; ma anche gli insegnanti, che diventano una sorta di proprietà privata. In alcune situazioni confesso di aver percepito la netta sensazione di essere stata marchiata a fuoco come un capo di bestiame. E come bruciava quel senso di mancata libertà, così tanto da farmi desiderare di rivendicare la mia natura di individuo ad ogni occasione.

4.Continuare a studiare, approfondire, cercare le risposte attraverso l’esperienza personale e una personale rielaborazione delle informazioni apprese. Evitiamo chi offre facili risposte stereotipate o programmi da applicare a tutti, indistintamente, come si farebbe con un protocollo medico: l’insegnamento della danza richiede costantemente di osservare ogni allievo con la consapevolezza della sua unicità, che va osservata e compresa. È un lavoro difficile, da affrontare con una grande capacità di ascolto, oltre a quella oratoria. Dare e ricevere continuamente, accogliendo generosamente ogni allievo come colui, o colei, che ci aiuterà non solo a mantenere ancora in vita questo linguaggio del corpo così straordinario, ma anche a dare un piccolo contributo alla sua evoluzione.

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