Alessandra Ferri torna a incantare il pubblico torinese

di Giada Feraudo
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“Padre nostro”.
È con una preghiera che inizia il suo discorso Winnie, alias Alessandra Ferri, immersa dapprima in una montagna di scarpette da punta che rievoca la duna di sabbia immaginata da Beckett nella sua celebre composizione dal titolo Giorni felici, a cui Béjart si ispira ne L’heure exquise, e poi in un tutù lungo dal collo fino ai piedi. Una liturgia, un rituale che si protraggono per tutta la durata dello spettacolo, anche nella sua seconda parte, in cui le parole pronunciate dalla protagonista sono lente, chiare e scandite quasi come se fossero una nenia, una cantilena, un mantra.

Accanto a lei un uomo, Willie, nella pièce il marito di Winnie, interpretato, in questa occasione, da Carsten Jung, si trova inizialmente di schiena al pubblico, anche lui, come il personaggio di Beckett, impossibilitato a muoversi liberamente.
L’immobilità è dunque ormai condizione esistenziale dei due protagonisti e da questo stato entrambi, ma in modo particolare Winnie, guardano indietro a ciò che è stato.
La metafora del ripercorrere la propria carriera artistica, che si incammina ormai sul viale del tramonto, è qui particolarmente evidente: un po’ Giselle e un po’ Giulietta, la Ferri interpreta il ricordo di questi grandi ruoli, richiamandone spesso le movenze nel corso della performance. I “giorni felici” sono scanditi anche da passi di tip tap e dal motivo Tea for two, ma subito la malinconia si insinua fra questi ricordi e conferisce loro una dimensione astratta, riportando i protagonisti e gli spettatori al momento presente.
Anche la borsetta della protagonista fa inevitabilmente riferimento, attraverso oggetti-simbolo, al mestiere della danzatrice: fra gli altri uno specchio, una spugnetta per il trucco e infine una rivoltella, che getta sulla scena un’ombra di morte e di inquietudine.

Il tempo della performance è lento, lentissimo, quasi fluttuante e sospeso, indefinito, anch’esso un ricordo, non importa se presente, appena vissuto o accaduto molto tempo fa.

La recitazione della Ferri non risulta particolarmente incisiva ma la sua presenza scenica resta magnetica e carismatica, a testimonianza di un’importante evoluzione verso la sua piena maturità, come del resto lei stessa afferma dichiarando di aver voluto concedere un regalo, per celebrare i suoi 40 anni di carriera, all’artista che è in questo momento della sua vita.

Lo spettacolo, che, ricordiamo, fu creato nel 1998 per Carla Fracci e Micha Van Hoeche, e fu rappresentato per la prima volta proprio a Torino in occasione di Torinodanza, è stato raramente ripreso nel corso degli anni, anche in virtù della sua difficoltà interpretativa.

Senza ombra di dubbio L’heure exquise, molto apprezzata dal pubblico torinese, che ha tributato, in occasione dell’ultima serata, alcuni minuti di applausi alla Ferri e a Jung, risulta una performance particolarmente toccante e significativa se la consideriamo all’interno di questo peculiare momento storico che viviamo e che perdura da tempo: l’immobilità, il tempo sospeso e bloccato sono una realtà in cui tutti ci siamo trovati e in cui continuiamo in qualche modo ad essere immersi, e questo ha fatto sì che l’empatia e la grandezza emotiva che la pièce suscita siano state particolarmente toccanti e sentite.

Crediti fotografici: Silvia Lelli

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