Un musical tra i più interessanti degli ultimi anni. Cuccarini regina di ghiaccio e di bravura

di Francesco Borelli
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Amici…seduti. Un po’ di silenzio per favore. Vi racconto una favola.

C’era una volta un abile e intelligente signore, Maurizio Colombi, che amava raccontare storie. Ma non semplici favelle composte di sole parole ma storie fatte di musica, recitazione e danza. Il nostro eroe amava circondarsi di mitologiche figure altrettanto abili e capaci: in primis Alessandro Longobardi, direttore di un luogo fantastico chiamato Brancaccio e produttore di grandi spettacoli, poi Davide Magnabosco, Alex Procacci e Paolo Barillari, menestrelli di corte preparati e talentuosi, Giulio Nannini, abile autore di magici testi, Alessandro Chiti, architetto di regni fantastici e Rita Pivano, che non con le parole ma attraverso i corpi dei danzatori raccontava.

C’era poi una donna. Bella, anzi bellissima. Brava, anzi bravissima. Regina di ghiaccio ma anche della televisione e del teatro musicale italiano. La nostra regina si chiamava Lorella Cuccarini e non smentiva mai, in alcun modo, ciò che il popolo di lei pensava: meravigliosa.

Vi racconto poi una favola nella favola.

La vicenda si svolge a Pechino. La principessa Turandot è vittima di una maledizione perpetrata ai suoi danni da tre malefiche ancelle: Gelida, Tormenta e Nebbia. Qualunque uomo la guardi s’innamorerà perdutamente di lei e, per sposarla, dovrà tentare la sorte rispondendo a tre indovinelli. L’errore gli costerà la vita.  Così Turandot, regina di ghiaccio, vive in un costatante gelido inverno, priva di rimorsi, rimpianti e pentimenti.

Già dodici principi sono stati uccisi, fino a che nel magico regno di Altoum, padre di Turandot, non giunge Calaf, un principe il cui nome significa calore, amore e fuoco. Sarà lui e solo lui, a sciogliere il cuore di ghiaccio di Turandot e riportare il sole nel regno ormai da troppo tempo freddo e privo di amore.

La storia prende vita da un’antica fiaba persiana cui s’ispira Carlo Gozzi, seguito da Puccini per la sua celebre “Turandot”.  L’eroe di cui sopra, Colombi, insieme al fedele Nannini, riprende l’intelaiatura narrativa più da Gozzi che dai librettisti di Puccini e a essa unisce elementi propri della favola antica arricchendola di modernità e spunti ulteriori.

Pietro Pignatelli, nel ruolo del principe Calaf, continua a mietere successi e ad arricchire la già ampia vetrina di personaggi felicemente interpretati. Recitazione fluida e convinta e qualità vocali irreprensibili. Nel secondo atto l’arduo compito di cantare, in versione pop ovviamente, la celebre “Nessun dorma”. Pignatelli non si tira indietro e, supportato dalla seconda voce Cuccarini, offre un’interpretazione commovente e sincera.

Federica Buda, Valentina Ferrari e Silvia Scartozzoni ovvero Tormenta Gelida e Nebbia sono un punto di forza del musical. Ottima estensione vocale, cattiveria e malvagità pura che si colgono, imponenti, in ogni momento recitativo. Tre personalità forti che facilmente avrebbero rischiato di rimanere schiacciate dall’ingombrante Cuccarini. Così non è stato.

Giancarlo Teodori, Jonathan Guerrero e Adonà Mamo interpretano Ping, Pong e Pang, i fidi consiglieri di Altoum. Le figure di questi tre “giullari” risultano simpatiche e tenere, e gli attori rendono bene l’imbarazzo e i dubbi relativi al soddisfacimento dei desideri reali. Seppur bravi gli interpreti, le tre figure in questione sarebbero dovute essere approfondite e rese in maniera più brillante.

Sergio Mancinelli e Simonetta Cartia interpretano Yao, il Signore del sole, e Chang’e, signora della luna. Simpatici, irriverenti, teneri e romantici, Mancinelli e Cartia regalano al pubblico momenti di puro divertimento. I due, un po’ commedia dell’arte un po’ attori delle brillanti sit com americane, non si risparmiano e ci offrono vere e proprie macchiette capaci di divertire e divertirsi.

Paolo Barillari interpreta Altoum, padre di Turandot, preoccupato per il destino di solitudine della figlia e per il triste e gelido inverno che domina, da immemore tempo, quello che una volta era un regno felice. Bravo, brillante e simpatico non si può non amarlo sin dalla primissima scena.

E infine Lei. Lorella Cuccarini è una straordinaria Turandot. Bella da togliere il fiato, schiena da danzatrice esperta e gambe, seppur coperte, che si muovono eleganti e feline su un palco che, la nostra Cuccarini, domina ancora una volta senza riserve. Recitazione da oscar, la signora della TV italiana ha reso in maniera perfetta la bipolarità che invade la protagonista, combattuta tra la malvagità dettata dall’incantesimo delle tre streghe e l’amore per Calaf che scioglierà, infine, il suo cuore. La vocalità e l’estensione della più amata confermano ancora una volta la “bellezza” di un’artista nata per il teatro e ad esso destinata. Regalità e alterigia nei momenti debiti si trasformano in movenze dolci e piene di calore, laddove l’amore prende il sopravvento.

Bellissimi i costumi confezionati da Francesca Grossi per la regina Cuccarini. Meno d’impatto quelli del corpo di ballo diretto da Rita Pivano.
Le coreografie, ben costruite e ideate, potevano essere, tuttavia, più elaborate e ricche. E poi, perché non far ballare un pezzo da novanta come la Cuccarini? Il pubblico se lo aspetta e, in tal senso, rimane deluso. Le scene di Alessandro Chiti sono imponenti e bellissime; unite alla videografia di Marco Schiavoni, conducono gli spettatori direttamente nel regno di Altoum. L’impianto luci di Alessio De Simone completa un’opera pressoché perfetta.

Uno spettacolo godibilissimo e di enorme qualità, destinato a un pubblico vario e omogeneo. Ancora qualche piccolo accorgimento e “La Regina di ghiaccio” può diventare uno dei prodotti italiani più belli e interessanti degli ultimi anni.

Repliche fino al 26 marzo al Teatro Brancaccio di Roma. DA VEDERE.

Crediti fotografici: Igino Ceremigna

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