Lia Courrier conta SetteOtto: tra punti d’appoggio e collo del piede

di Lia Courrier
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“Il piede umano è un'opera d'arte e un capolavoro di ingegneria”, osservava Michelangelo Buonarroti, anatomista, oltre che magnifico pittore, scultore e architetto. Uno che se ne intendeva di bellezza, insomma. In effetti le nostre estremità inferiori sono strutture meravigliosamente complesse, dotate di proprietà come malleabilità e mobilità, ma anche di grande forza e robustezza, per il ruolo che coprono nella gestione del peso dell'intero corpo, non solo nella stasi ma soprattutto durante la deambulazione e il movimento in generale.

Il piede umano, così come lo conosciamo, è il frutto di una lunga storia evolutiva, che lo ha visto diventare un vero e proprio organo di senso, in virtù della grande quantità di terminazioni nervose e di organi della propriocezione che sono contenute in questa parte del corpo. Noi oggi ingabbiamo i piedi nelle scarpe, praticamente dal momento stesso in cui nasciamo, per cui il potenziale sensoriale si sta dissolvendo progressivamente, ed è per questo motivo consiglio sempre a tutte le amiche mamme di evitare le scarpine quando è possibile, affinché struttura e sensibilità si sviluppino meglio con i piedini liberi di esplorare il suolo, senza contenzioni esterne.

Per la danza il piede è un vero e proprio simbolo. La maggior parte del materiale promozionale che riguarda la formazione e lo spettacolo coreutici, contiene un'immagine dei piedi. Piedi con le punte, piedi nudi, feriti, arrossati, collo del piede e chi più ne ha più ne metta. A volte mi sembra quasi che il resto del corpo non esista neanche, per quanta enfasi viene data a questa parte del corpo, che ha in sé una valenza profondamente emotiva nella rappresentazione stessa della danza. In effetti i piedi sono per i danzatori uno strumento preziosissimo, il cui ascolto consapevole determina la qualità e la comprensione del dialogo tra il peso del corpo e il pavimento. La pianta del piede, infatti, è un luogo di passaggio e di trasmissione delle forze che attraversano il corpo dall'alto verso il basso, per effetto della forza di gravità, ma anche delle conseguenti risposte che arrivano dal suolo per risalire verso l'alto lungo la struttura. In sostanza il piede del danzatore è chiamato a recuperare quelle qualità sensoriali sommerse nelle antiche memorie del corpo, per conseguire nuovamente la condizione di esseri quadrumani, più che quadrupedi, come ci suggerisce Mabel Todd nel suo formidabile libro “The Thinking Body”, proponendo l'idea di un piede che abbia lo stesso controllo e abilità meccaniche della mano, in grado di accarezzare dolcemente o di imprimere notevole forza, ma in più i piedi del danzatore hanno delle mani anche le stesse capacità espressive. Noi italiani sappiamo bene cosa vuol dire raccontare attraverso i gesti, così allo stesso modo il piede deve essere in grado di parlare, di comunicare, di sedurre, di imporsi con la stessa chiarezza e incisività nel racconto danzato. Avere un bel collo del piede, andrebbe quindi considerato come il privilegio di un buon punto di partenza, ma sono il lavoro e la propriocezione a fare di un piede comune l'arto sensibile di un danzatore.

L'appoggio plantare è importantissimo per la salute dell'intera struttura, per un buon controllo del movimento e per la stabilità. È ovvio che la presenza della rotazione esterna dei femori, nel balletto, compromette in parte la fisiologica distribuzione del peso sui tre archi (che poggiano sulla prima e quinta testa metatarsale e sul calcagno), per questo bisogna attivare delle forze, a carico della muscolatura di piede e caviglia, che possano contrastare la tendenza del piede a 'rotolare' in avanti, provocando un cedimento della cupola plantare, con effetti devastanti su tutte le articolazioni della gamba. Il piede, quindi, 'prende' il pavimento proprio come se fosse una mano, con tutta la colonna del quinto dito ben appoggiata al suolo, la pianta del piede distesa e rilassata, le dita allungate e la cupola ben sollevata da terra. La pronazione del piede è una problematica che si incontra soprattutto quando non si ha molta libertà a livello dell'articolazione coxofemorale, condizione che richiede di trovare la giusta mediazione tra le imposizioni della tecnica e quello di cui invece ha bisogno il nostro corpo, che nella pratica coreutica quotidiana dovrebbe sempre avere la precedenza. Se non la si può mantenere, sarà meglio rinunciare alla prima posizione aperta a 180 gradi, per favorire un buon radicamento attraverso l'appoggio ottimale della pianta del piede, donando forza e stabilità alla nostra danza e alla struttura portante: a volte MENO è MEGLIO.

Un giorno stavo guardando un documentario sulla vita di Rudolf Nureyev, che io letteralmente venero. Ad un certo punto lo si vede nella sala privata allestita all'interno della sua ultima casa. Si allena alla sbarra in una enorme sala vuota, sembra molto più vecchio della sua età, ma i suoi movimenti ancora emanano quella maestosità e quel vigore che tutti abbiamo amato in lui. La ripresa ad un certo punto si sposta in basso, mentre esegue dei semplici battement tendu, e io rimango pietrificata davanti all'immagine di quei piedi, che non dimenticherò mai: devastati, deformi, sfregiati da tutti quegli anni di lavoro forsennato, di amore e dedizione totale alla danza. I piedi come un libro della sua stessa vita, scritto col sudore.

Ma lui era Rudy.

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