Debutto in grande stile per “La Giara” del Balletto del Sud

di Fernando Greco
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Con “La Giara” di Alfredo Casella il Balletto del Sud diretto dal leccese Fredy Franzutti ha fatto il suo debutto in grande stile sul palcoscenico del rinato teatro Apollo di Lecce. Se l’Apollo è luogo destinato a “grandi eventi”, secondo gli auspici pronunciati dal sindaco Paolo Perrone durante la cerimonia inaugurale, “La giara” di Franzutti è stata un grande evento per molteplici aspetti, confermando la vulcanica inventiva e l’indubbia bravura del coreografo, qualità che da vent’anni hanno portato il Balletto del Sud ad affermarsi in maniera sempre crescente a livello nazionale e internazionale.

DAL RACCONTO ALLA DANZA

Alle soglie del Novecento, mentre la creatività pucciniana confermava il primato del melodramma italiano a livello europeo, una manciata di raffinati musicisti si propose di sostenere e arricchire il patrimonio strumentale nazionale. Martucci, Malipiero e lo stesso Alfredo Casella (1883 – 1947), se da un lato improntarono i loro spartiti a un gusto tutto italiano per la melodia di matrice tardo-romantica, dall’altro li depurarono dagli eccessi veristi imperanti nella Giovane Scuola, ammiccando all’Europa di Mahler e di Stravinsky. Inevitabile il ricorso al folklore, che nello specifico de “La giara”, balletto creato a Parigi nel 1924 su scene di Giorgio De Chirico, fa riferimento a un ideale Sud d’Italia filtrato attraverso l’omonima novella pirandelliana, pubblicata nel 1917 in seno alla raccolta “Novelle per un anno”.

IL SURREALISMO FOLKLORICO

A 150 anni dalla nascita di Luigi Pirandello (1867 – 1936) e a 100 anni dalla pubblicazione della novella in questione, la lettura di Franzutti ha inteso valorizzare il tipico “surrealismo folklorico” della poetica pirandelliana facendo ricorso alle scene di Ercole Pignatelli, artista salentino di fama mondiale. Tutti i leit-motives ricorrenti nell’opera di Pignatelli hanno costituito l’ambientazione ideale di un incedere narrativo la cui valenza folk era pretesto per l’archetipica “pietrificazione” dei personaggi, chiusi in paradossi tanto grotteschi quanto ancestrali. Che si tratti delle rinomate masserie, delle “germinazioni” o dei nudi femminili, nelle mani di Franzutti i dettagli scenografici diventano simboli del progressivo sgretolamento delle certezze da parte del protagonista della vicenda, il ricco e irascibile don Lollò, per il quale la rottura della giara segna il fallimento del suo rapporto ossessivo con la “roba”, la sua amata proprietà di cui la figlia Nela rappresenta il bene più prezioso. Al povero don Lollò non resterà che fare buon viso e cattivo gioco dinanzi alla duplice constatazione della perdita della giara e del fidanzamento della figlia, di cui la giara infranta simboleggia l’innocenza perduta, la verginità gioiosamente offerta all’aitante Luigi sotto lo sguardo sornione e disincantato di Zi’ Dima, l’anziano e gobbo conciabrocche, la cui presenza integra il quadro dell’eterno conflitto generazionale di cui “La giara” in ultima analisi rappresenta un magistrale esempio.

I PROTAGONISTI

Assodata l’usuale perizia dei danzatori del Balletto del Sud, in questo caso la loro bravura unita a quella del coreografo ha permesso una formidabile caratterizzazione dei personaggi, a cominciare dall’austero Don Lollò interpretato da Carlos Montalvan, mai così intenso e motivato perfino nelle espressioni del volto, in coppia con Serena Ferri, altrettanto efficace nel vestire i panni di Assunta con una compostezza dal sapore arcaico e tipicamente meridionale. Freschissima e frizzante la Nela di Nuria Salado Fusté accanto al suo pretendente Luigi interpretato da Alessandro De Ceglia con quella perentoria joie de vivre tutta adolescenziale.

Presenza ormai costante nel Balletto del Sud, l’attore Andrea Sirianni ha vestito i panni di Zi’ Dima rivelandosi più che mai un istrionico performer, sempre credibilissimo nel tratteggiare la figura del vecchio gobbo indolente, che si trattasse di danza o di recitazione.

L’allestimento leccese è stato arricchito dalla presenza di Sebastiano Lo Monaco, famoso attore siciliano che, oltre a essere stato una pregevole voce narrante, ha commosso il pubblico sia all’inizio dello spettacolo con il monologo “dei pupi” tratto dal “Berretto a sonagli” di Pirandello, sia alla fine dello spettacolo, con un bis dedicato a Dante e al celeberrimo brano della Divina Commedia dedicato a Paolo e Francesca.

Nel notare il fatto che questo spettacolo sia stato inserito dal Comune di Agrigento nella programmazione degli eventi commemorativi per i 150 anni dalla nascita di Luigi Pirandello, delude l’apparente assenza di scolaresche e anche la non strabordante presenza di pubblico durante le due repliche leccesi di un allestimento di così grande impatto emozionale e di così grande valenza culturale.

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