SCRIVERE DI DANZA: “Les indomptes” di Claude Brumachon

di DANCE HALL NEWS
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“Les indomptes” è un lavoro del 1992 del coreografo francese Claude Brumachon danzato da Jiri e Otto Bubenicek, su musiche di Wim Mertens. La coreografia, nel 2011, è stata rimessa in scena dal coreografo e dal suo danzatore e assistente storico Benjamin Lamarche entrando, così, nel repertorio dell’Opéra di Parigi.

A sipario aperto ci troviamo davanti ad una scena minimale e spoglia, in cui sono presenti solo due danzatori vestiti in modo identico, con solo un paio di jeans, un vestito quotidiano e comune che viene usato nel primo impatto a sottolineare, forse, la relazione universale che i due simboleggiano.

Le luci neutre e il vuoto della scena sembrano voler far emergere unicamente il legame tra i due soggetti per indagare una relazione astratta e simbolica, non didascalica. Il collegamento tra i performers si stabilisce immediatamente con una prima parte danzata all’unisono, molto vicini: il coreografo svilupperà il materiale calcando sempre più su una maggiore differenziazione di forma e un’esplorazione spaziale più ampia. I danzatori si allontanano pur rimanendo legati nell’intenzione e continuano a tornare insieme, a reagire e riprendere uno i movimenti dell’altro inondando il palco di un’energia straripante. Dopo lontananze e differenze i danzatori tornano insieme, uno a sostegno dell’altro, inondati dalla luce dell’occhio di bue che chiude la performance stringendo il campo visivo sul loro essere insieme.

Dai movimenti primitivi e i riferimenti a gesti quotidiani di relazione sociale, dalle immagini di balli di coppia a momenti di sospensione per far emergere un supporto vicendevole capiamo questa coreografia come il racconto di una relazione. Non la storia né le esperienze, ma il muoversi e il variare dei rapporti tra due entità, che in questo caso sono corpi. Con le parole del coreografo del suo lavoro: “Un gesto, carico di una storia indicibile, che cambia nel momento presente e, con delle amare proposizioni, offrono la visione dell’uomo nella sua complessità”.

Nella medesima direzione d’indagine vi è il brano di Wim Mertens, opera per pianoforte e voce. Una composizione romantica, intimista e concettuale. Il testo non ha un effettivo senso, ma riesce ad acquisirne uno solo nel momento in cui viene inserita nel contesto, ovvero se si è a conoscenza del titolo della raccolta “Strategie De La Rupture”.
L’idea di rottura è presente anche nella performance: non solo la voce rompe con la musica, anche i due ballerini rompono il loro primordiale equilibrio e lo rompono senza ascoltare la musica. Non aspettano il tempo giusto, esteticamente piacevole all’occhio e all’orecchio umano, semplicemente si allontanano e basta, come succede nelle relazioni vere. Le origini minimaliste del compositore vengono riprese e accentuate dalle scelte artistiche globali, come detto prima.

I moduli musicali ripetuti all’interno del brano, che hanno poche variazioni, danno l’impressione di una perenne quotidianità del vivere che viene messa in discussione dalla parte vocale del brano. Ed è l’incomprensione “tirara” ad instillare il dubbio, non un vero e concreto contrasto. Ciò rende l’opera e ancora di più lo spettacolo una messa in scena umana fatta per gli uomini tutti, senza distinzioni di “razza”, genere o religione.

Elisabetta Sacripanti e Shahrzad M.

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