“Don’t cry for me Argentina”- “Evita” opera rock delude le aspettative

di Alessandra Colpo
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Un tuffo nel passato nell’Argentina degli anni ’50, tra le atmosfere rosso porpora del tango, per rivivere la storia della scalata sociale e politica di una giovane “figlia di nessuno” partita dalle campagne di Junín alla volta di Baires. Parliamo del mito di Evita Perón, raccontato ancora una volta attraverso l’intramontabile capolavoro di Tim Rice e Andrew Lloyd Webber, adattato in italiano da Massimo Romeo Piparo. Un nuovo allestimento targato PeepArrow Entertainment che, dopo il debutto milanese, proseguirà la tournée a Genova e Roma.

Questa nuova produzione ha diviso la critica: le grandi aspettative, dovute in particolare al nome di richiamo della protagonista, sono state deluse e di certo lo spettacolo non ha avuto la stessa forza dirompente del suo personaggio per imporsi come musical dell’anno.

Appena entrati nel foyer del teatro si è accolti da tangueros impegnati in milonghe passionali: sicuramente da apprezzare l’interattività con il pubblico, che verrà ripetuta anche durante lo spettacolo, ma è servito solo a distogliere l’attenzione dalle profonde lacune di danza della protagonista.

Tra i problemi più evidenti c’è sicuramente la traduzione delle liriche: la struttura operistica interamente cantata e senza spazi di prosa, fa sì che nelle canzoni si racchiuda tutta la magia e la poesia del racconto. Sfortunatamente qui la traduzione è banale e piena di luoghi comuni, che allontanano qualsiasi coinvolgimento emotivo. Si fa addirittura fatica a comprendere le parole quando le voci salivano oltre una certa tonalità.

Inesistenti le coreografie di Roberto Croce, almeno per il primo tempo e per metà del secondo: in un numero come “Buenos Aires” ci si aspetta un’esplosione di vita e speranza, che viene però smorzata da semplici movimenti di scena. Solo in “Quando i soldi van via così” (“And the money kept rolling in”) si ha assistito a un po’ di repertorio Broadway.

Scenografie e disegno luci si discostano dall’ambientazione dell’epoca, ma non sono così agghiaccianti come le proiezioni psichedeliche anni ‘70 in un finto 3D. Non fraintendiamoci, trovo buona l’idea di utilizzare proiezioni video come scenografia, in molte produzioni fortunatamente la tecnologia si sta diffondendo, ma in questo caso sfiorano l’animazione cartoon: completamente fuori tema. Il culmine viene raggiunto dalla macchinina rossa che si sposta sulla cartina geografica per tracciare il percorso da Junín a Baires.

Arriviamo a parlare di lei, Evita, o meglio, Malika. Anche in questo caso non mancano le polemiche, nonostante la cantante si sia voluta mettere in gioco in un campo non familiare: lo studio del personaggio c’è stato, ma il lavoro è stato sul personaggio cantante e poco su quello di Evita. Un ruolo così complesso richiedeva molto di più: quella di Piparo è un’Evita piatta che sotto trucco e parrucco nasconde il personaggio di Malika Ayane. A volte si cade in errore nel voler puntare sul nome di richiamo per una produzione un po’ più di nicchia, però si rischia di più scegliendo il nome sbagliato. La partitura vocale stessa era troppo anche per lei.

Tra le note positive c’è sicuramente il cast, tra cui spiccano Filippo Strocchi nel ruolo di un narratore Che completo e coinvolgente, Enrico Bernardi (Juan Peron) e Tiziano Edini (Augustìn Magaldi): artisti completi e di forte impatto carismatico.

“Evita” è una grande sfida, e portarlo in Italia non è mai semplice. Lo sforzo c’è stato, ma le aspettative troppo alte hanno deluso anche i meno scettici.

Crediti fotografici: FLAVIO&FRANK

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