Emanuele Burrafato: mente e corpo per il danzatore che racconta le dive della danza

di Francesco Borelli
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Nasci come danzatore e contemporaneamente ti laurei in scienze umanistiche alla Sapienza di Roma. Uno dei rari casi in cui la fisicità di un mestiere come quello del ballerino si unisce a studi approfonditi. La danza non ti bastava?

Si mi bastava, non desideravo fare altro. In realtà l’iscrizione all’università è stato l’espediente che mi ha permesso di allontanarmi da casa e di potermi dedicare alla danza in modo serio. Nella mia città non c’erano le condizioni per cui questo si verificasse e i miei genitori erano assolutamente contrari alla mia scelta; l’unico modo per farlo era quindi continuare i miei studi. Avevo frequentato il Liceo Classico e così, dopo molte discussioni, riuscii ad iscrivermi alla facoltà di Lettere e Filosofia della Sapienza. Ma una volta arrivato a Roma, mi dedicai quasi completamente alla danza, anche perché avevo iniziato a ballare molto tardi e dovevo colmare parecchie lacune. Ho però sempre sostenuto gli esami e sempre bene, con la disperazione dei miei genitori che, parole loro, mi vedevano “gettare al vento le mie capacità”.

Quanto ritieni culturalmente preparati gli attuali danzatori?

Non si può generalizzare, dipende dall’ambiente di provenienza di ciascuno, dagli studi che ha fatto e dal contesto in cui ha operato. I danzatori di teatro danza sono sicuramente quelli più portati a un’analisi e un’osservazione approfondita della realtà che li circonda.

Quali necessità personali hai inteso soddisfare attraverso i tuoi studi?

Nonostante avessi deciso di intraprendere il percorso universitario per i motivi che ti ho detto, a me è sempre piaciuto molto leggere, sono un appassionato di Storia dell’Arte e curioso in generale. Crescendo ho poi capito che la danza non mi piaceva solo farla ma anche studiarla, capire in che modo si è sviluppata, che rapporti ha intessuto con i fenomeni culturali, sociali e politici e, perché no, tentare anche di raccontarla attraverso la mia esperienza.

Che tipo di danzatore sei?

Sono un danzatore di formazione classica, ho lavorato principalmente nei corpi di ballo e quindi ho danzato molto nei balletti di repertorio, di Balanchine o di coreografi come Petit e Béjart, ma ho sempre preferito la danza contemporanea di cui ho fatto parecchie esperienze che vanno da Elsa Piperno a Michele Abbondanza e Antonella Bertoni. Ho cercato insomma (forse per insicurezza), di mettermi alla prova in discipline diverse.

Hai danzato all’Arena di Verona, al Teatro Verdi di Trieste, al San Carlo di Napoli e in tante altre compagnie. Qual è la condizione attuale della danza in Italia?

A mio avviso la situazione è drammatica, sia per quanto riguarda le Fondazioni Lirico Sinfoniche, sia per quanto riguarda le compagnie private o d’autore. I motivi sono sempre gli stessi da anni e in questi anni ho capito che quello che manca è la volontà di risolverli.

Alcuni ti definiscono il biografo delle star. Prima “L’assillo della perfezione”, in cui racconti la vita di Elisabetta Terabust, adesso “L’eleganza interiore”, biografia appena pubblicata, su Luciana Savignano. Da cosa è nato il desiderio di raccontare due danzatrici così straordinarie?

Dall’aver lavorato con loro e averne apprezzato le qualità. Considero la Terabust la mia maestra, è stata la mia direttrice, mi ha incoraggiato e stimolato come forse nessun altro ha saputo fare, e ora è una delle mie amiche più care. Fa parte della mia famiglia. Con Luciana ho avuto un incontro magico, ho danzato il Bolero di Béjart con lei e mi ha stregato fin dalla prima prova. È un’artista unica, oltre che una donna generosa, onesta, delicata e sensibile.

Che cosa accomuna e cosa rende diverse Elisabetta Terabust e Luciana Savignano?

Le differenze sono molteplici. Le accomuna sicuramente l’amore e la passione per la danza, ma diversa è la concezione che ne hanno e la modalità con cui hanno vissuto la loro vita e la loro passione.

I tuoi libri si caratterizzano di toni limpidi e scevri da ridondanti definizioni. Restituisci ai lettori l’immagine di donne, sì straordinarie, ma pur sempre donne. Con le loro fragilità e i loro momenti difficili. E’questa la chiave del successo dei tuoi scritti?

Io non so se è la chiave del successo, ma sicuramente questo è stato il mio obiettivo. Non mi interessa creare dei profili istituzionali o degli elogi incondizionati. Da danzatore conosco quanto sia duro questo mondo e non cerco di darne un’immagine romantica o ovattata. Sono convinto che sono le delusioni, le inevitabili sconfitte, che, se affrontate in modo costruttivo, ci fanno raggiungere i risultati più grandi.

Delle donne da te raccontate esistono tante biografie. Per quale motivo il pubblico degli appassionati di balletto dovrebbe leggere i tuoi libri anziché quelli degli altri?

Beh per quanto riguarda la Terabust sono io ad avere scritto la sua prima biografia. Anche se può sembrar strano, come lo sembrava a me, non c’era nulla su di lei in circolazione. Di Luciana esisteva una pubblicazione di Valeria Crippa, un libro fotografico correlato da un profilo critico e da una lunga intervista. Io ho cercato di storicizzare il personaggio e di metterne in evidenza altri aspetti, per completarne il profilo artistico ed umano.

La biografia di Luciana Savignano ha un titolo a dir poco emblematico. “L’eleganza interiore”. Perché lo hai scelto?

Perché secondo me è l’emblema della sua personalità.

Qual è la prossima artista di cui racconterai la vita? O chi ameresti raccontare?

Sono già al lavoro per un nuovo progetto, posso dire che stavolta sarà un uomo.

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