CARLOS MONTALVÁN TOVAR: “Danzare mi fa sentire libero, ma l’insegnamento è il mio grande amore”

di Francesco Borelli
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Cuba e l’Italia: due luoghi iconici nella tua vita. Uno rappresenta la formazione, e l’inizio della carriera, l’altro l’affermazione in quanto danzatore e maestro. A quale dei due sei maggiormente legato?

Ѐ una domanda davvero difficile… Non potrei veramente scegliere, perché tanto Cuba quanto l’Italia mi hanno reso ciò che sono oggi. Credo di aver preso il meglio da tutte e due le esperienze, sia come ballerino sia come maestro. E non posso dimenticare il periodo in Germania: sono certo che ciascuno di noi sia il frutto delle proprie esperienze, anche quelle brevi e apparentemente poco importanti.

Che ricordi hai del tuo primo giorno da allievo in una sala danza?

Sono sempre stato una persona molto coraggiosa e, già da bambino, affrontai tutti gli esami di ammissione alla scuola di stato da solo, senza che i mei genitori lo sapessero. Un giorno, poi, arrivò a casa un telegramma che sanciva l’esito positivo delle audizioni e la mia ammissione alla scuola. Inutile dire che i miei genitori rimasero molto stupiti e, al contempo dubbiosi. Che futuro avrei mai avuto? Fu mia nonna che li convinse a lasciarmi tentare. E così cominciai.

Ricordo quel primo giorno come un momento di scoperta e di grande entusiasmo.

E del tuo primo giorno da professionista?

Fu una giornata tranquilla. Molti dei miei colleghi erano compagni della scuola di ballo, quindi mi sentivo quasi a casa. Ricordo però il mio grande desiderio di impegnarmi al massimo per dimostrare di “saper fare” e di essere all’altezza della professione.

Che cosa ti ha portato in Italia?

Sin da bambino ho avuto un grande interesse per le antiche culture: Egitto, Grecia, Italia. Mondi che mi affascinavano e desideravo scoprire. Fu così che durante il primo tour in Italia, precisamente in Sardegna, della compagnia con cui lavoravo, mi innamorai. E dopo anni, tornato nel bel paese in occasione di un nuovo tour, decisi di restare. Il trasferimento non fu semplice: il regime cubano rese le pratiche burocratiche davvero complicate. Ma ce la feci e mi trasferii a Torino. Mi illusi, all’inizio, che data la storia dell’Italia, anche la danza ricoprisse un ruolo di primo piano. Il tempo, però, ha dimostrato che così non è. Qui manca il rispetto e la considerazione che il nostro mondo merita. A Cuba è diverso.

Quanto della realtà cubana hai portato con te?

Tantissimo! La scuola cubana di balletto è una eccellenza riconosciuta a livello mondiale; si caratterizza per il virtuosismo nei giri, nei salti, negli equilibri e nella tecnica di passo a due.

Ma al di là della tecnica, mi è stato insegnato ad amare e rispettare il mio lavoro, a non accontentarmi mai, a lavorare a testa bassa col solo obiettivo di migliorarmi sempre e superare i miei limiti.

E poi, la possibilità di lavorare al fianco dei grandi danzatori cubani mi ha regalato quel “el sabor”, il fascino “caliente”, e quel velo di tristezza malinconica che un po’ ci caratterizza.

La vita, diceva qualcuno, è l’arte degli incontri. Quali sono stati quelli importanti della tua vita?

Tante sono le persone incontrate che hanno contribuito alla mia crescita; non solo come ballerino o maestro, ma anche come persona. Penso innanzitutto ad Alicia Alonso e Fernando Alonso: il ricordo di questi due veri mostri sacri del balletto rimarrà indelebile per chiunque li abbia incontrati. Arrivato in Italia invece, quando stavo per arrendermi di fronte all’impossibilità di lavorare per via dei documenti mancanti, incontrai, tramite un regista d’opera, il M° Fredy Franzutti che cambiò radicalmente la mia vita, ridando linfa alla mia carriera. Grazie a lui iniziai a scoprire un mondo nuovo e cominciò uno scambio culturale e tecnico che univa il mio mondo, quello di Cuba, e l’Italia.

Mi ha fatto danzare con étoile che fanno parte della storia della danza italiana come Carla Fracci, Luciana Savignano e Letizia Giuliani, così come altre prime ballerine come Enada Hoxa (dell’Opera di Tirana), Marta Petkova e Vesa Tonova (dell’Opera di Sofia) e con il grande Lindsay Kemp – solo per nominarne alcuni. Inoltre non dimentico le brave partner prime ballerine della compagnia come Paula Acosta, Elena Marzano, Gabriela Gonzales, Majara Pineiro ed ora Nuria Salado Fustè.

E poi maestri che mi hanno aiutato a crescere come Ivan Tzanov e Pia Russo e tante altre persone, ciascuna delle quali, mi ha arricchito un po’; Susanna Plaino, Marisa Yudes e il M° Menegatti per esempio e le mie conoscenze con i direttori dei teatri in Germania.

Forse però è stato proprio Fredy Franzutti l’incontro più importante e bello della mia vita­­.

Prima danzatore del Balletto del Sud, ora anche Direttore della Scuola di ballo. Quale ruolo ti calza meglio? Quello del ballerino o quello dell’insegnante?

Amo profondamente ballare; danzare sul palcoscenico mi fa sentire libero e  riesco a realizzarmi ed esprimermi. La soddisfazione più grande, però, me la dona l’insegnamento. In molti tendono a sottovalutare il ruolo di un Maestro, ma in realtà è un mestiere estremamente complesso e di maggiore responsabilità rispetto all’essere “solo” un ballerino.

Hai di fronte a te un ragazzo di cui devi formare corpo e mente. Insegnare non significa solo trasmettere informazioni tecniche, far capire quali muscoli utilizzare, come usarli, in che modo eseguire i singoli passi. C’è molto di più. Insegnare danza è una vera e propria scuola di vita. Per gli allievi e per noi insegnanti.

Vederli crescere, realizzarsi, conseguire risultati importanti mi regala soddisfazioni immense e mi fa sentire utile. Il mondo della danza è decisamente complesso e se riesco, in piccola parte, a creare danzatori e persone migliori.. vuol dire che sono sulla strada giusta.

La danza regala doni a chi la pratica: sicurezza, determinazione, forza di volontà, abnegazione. Quali sono i doni che ti son stati fatti? Che cosa hai scoperto di te stesso attraverso la danza?

Ciò che hai scritto corrisponde esattamente al bagaglio che ho fatto mio nel corso degli anni. La costanza nel lavoro, la caparbietà, la consapevolezza che solo attraverso il duro lavoro si può raggiungere un risultato, son caratteristiche fondamentali per ciascun danzatore. Il nostro è un mondo estremamente competitivo: ci sono tantissimi danzatori e moltissimi sono davvero bravi. Bisogna prendere coscienza delle proprie qualità e riuscire a farsi notare, magari con qualcosa di speciale.

Inoltre se c’è una lezione che ho imparato è che nessuno mai, ci regala nulla. Non bisogna perdere tempo e adoperarsi sempre per ottenere il meglio da sé stessi. E credo che questa sia davvero una grande lezione.

Ci racconti la serata più bella della tua carriera? Quella in cui ti sei sentito il miglior ballerino che potessi essere?

Ricordo benissimo quella sera. Ero primo ballerino ospite al Teatro dell’Opera di Tirana con la “Carmen” di Fredy Franzutti. La coreografia era stata creata proprio su di me e la prima ballerina, Enada Hoxa, mi aveva richiesto personalmente.

Ebbene, quella notte non la scorderò mai. Mi trovavo in un teatro che non conoscevo, danzavo con ballerini mai visti e tutto, dalle scene imponenti all’orchestra, contribuiva a mettermi in soggezione. Eppure, mi sentii grande. Diedi il massimo e fu un grande successo: per la compagnia e per me.

E quella più brutta?

Ricordo bene anche quella, purtroppo! Eravamo a Treviso e poco prima dello spettacolo iniziai a sentirmi male: febbre altissima, nausea, affanno, infinita stanchezza. Non mi si poteva sostituire e così, dovetti ugualmente ballare. Fu veramente dura.

Dal 2010 sei Primo ballerino del Balletto del Sud. Quanto devi alla compagnia e quanto la compagnia deve a te?

Il Balletto del Sud è la mia casa. Nei tanti anni trascorsi con la compagnia sono cresciuto sia a livello artistico che personale. Ho conosciuto tanta gente; primi ballerini, maestri con i quali ho condiviso lavoro ed esperienze personali importanti. I tanti anni trascorsi con la compagnia mi hanno permesso di viaggiare e conoscere città e teatri in tutto il mondo arricchendomi come uomo e come artista.

Non saprei dirti se la compagnia deve qualcosa al sottoscritto. Ma posso dirti che siamo veramente una bella squadra e quando parlo di casa o di famiglia, lo dico con assoluta cognizione di causa.

Il Balletto del Sud è una realtà grande e stabile; si lavora tanto e, da qui, sono passati ballerini che oggi ricoprono ruoli principali nelle migliori compagnie del mondo.

Oggi si discute molto sulla severità, a volte distruttiva, degli insegnanti di danza. Tu che Maestro sei?

Sono un maestro severo che sente, fortemente, il senso della responsabilità nei confronti degli allievi. Come ho detto prima, cerco di trasmettere loro non solo la tecnica, ma anche i valori dell’impegno e della volontà. E, non ultimo, l’importanza e il senso del sacrificio. Oggi si tende a voler ottenere un risultato senza fatica, o con il minimo dell’impegno.

Non transigo poi sulla disciplina. Tutto è importante: il modo in cui ci si presenta in sala, l’attenzione al lavoro, il rispetto del maestro e delle regole che la danza, e qualunque disciplina sportiva, impone. La severità, però, non deve essere mai distruttiva. Gli allievi vanno spronati e mai vessati.

Oggi esistono moltissime scuole di danza; alcune fanno un buon lavoro, altre meno. Spesso arrivano da noi allievi che, pur desiderando di fare questo mestiere, non hanno gli strumenti, personali prima di tutto, per poter intraprendere un percorso professionale. Lì tutto diventa più complicato. Ma il senso del mio lavoro non cambia!

Sei Maestro ospite del Teatro Nazionale di Belgrado, in Serbia.  Com’è nata questa nuova avventura?

La vita a volte ti porta verso direzioni inaspettate. Mi trovavo a Belgrado da alcuni amici e, senza nessuna aspettativa, chiesi un colloquio col Direttore del Teatro, proponendomi come maestro. Feci così una prima lezione di prova con il corpo di ballo, poi un’altra con i primi ballerini ed i solisti. Piacquero entrambe moltissimo. E così è iniziata questa bella collaborazione. L’esperienza di lavorare con professionisti affermati è davvero bella, e sono grato al Direttore, ma non la cambierei mai con il lavoro che svolgo coi bambini. Letteralmente lo adoro. E non vedo l’ora di poter ricominciare a lavorare in presenza.

La danza in Italia vive forse il momento più difficile della sua storia. Teatri chiusi, scuole di danza che sopravvivono con la didattica online e tantissimi artisti letteralmente a passo. Come ne usciremo secondo te? E quando?

Quando? Davvero non lo so. Il tutto dipende dall’andamento dei contagi e dai provvedimenti governativi. Rifletto però su un punto che mi rattrista molto. L’Italia è la culla della cultura: pittura, letteratura, musica, danza. Eppure, rispetto a tanti paesi del mondo, c’è una considerazione da parte del governo, e della gente, quasi inesistente.

Ad oggi il mestiere del danzatore non viene riconosciuto come un lavoro col quale guadagnarsi da vivere, la figura del Maestro di danza non ha alcuna rilevanza giuridica, i corpi di ballo chiudono. Si tratta di un mondo letteralmente alla deriva che il covid ha contribuito a distruggere mettendone in evidenza lacune e limiti. Ad oggi vedo solo tanta confusione e incertezza. Un panorama drammatico e triste. Ma voglio essere fiducioso e sperare in un futuro migliore. Per tutti!

Che cosa sogni per il tuo futuro?

Mi piacerebbe continuare a fare il mio lavoro finché mi sarà possibile.

Vorrei che l’Italia tornasse a essere un punto di riferimento per la danza: mi piacerebbe che nascessero accademie valide, che i teatri avessero tutti un proprio corpo di ballo, che i danzatori italiani non fossero costretti ad emigrare all’estero ma che avessero la possibilità di lavorare, tutti, nel nostro paese. E poi mi piacerebbe insegnare in un’accademia di livello internazionale e che la scuola del Balletto del Sud divenisse un vero punto di riferimento per la formazione della danza in tutto il sud Italia.

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