Rebecca Bianchi: “L’amore di mio marito e dei miei figli è la mia soddisfazione più grande”

di Francesco Borelli
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Madre di tre bambini, moglie ed étoile del Teatro dell’Opera di Roma. Come riesci a conciliare questi tre aspetti della tua vita?

Negli ultimi anni tante danzatrici continuano la carriera pur senza rinunciare alla maternità. E questo è decisamente un buon senso. Non è semplice, bisogna organizzare tutto nei minimi dettagli e programmare ogni ora. Ma ho la fortuna di avere l’aiuto di un marito sempre presente che capisce e comprende fino in fondo tutte le problematiche di una mamma e moglie ballerina che lavora.

Le giornate, certo, sono spesso infinite ma il lavoro rappresenta una parte della giornata e la famiglia un altro. Quando stiamo coi bambini siamo tutti per loro e puntiamo sulla qualità del tempo che trascorriamo assieme.

Tu che bambina eri?

Non stavo mai ferma, correvo di continuo, saltavo sui divani. Ero un po’ un maschiaccio. E poi sognavo sempre, inventavo storie, volavo con l’immaginazione.

Crescendo sei rimasta un po’ quella bimba o sei totalmente cambiata?

Fortunatamente si cambia. Ma in tante occasioni mi capita di ritrovare quella bambina: la curiosità, la fantasia, il non darmi mai per vinta, l’energia inesauribile. Penso che tutto questo rappresenti la parte più vera di me.

Che cosa porti di te stessa quando sali sul palcoscenico?

Quando interpreti il personaggio di un balletto capita di provare emozioni che, in qualche modo, richiamano la parte più nascosta o lontana di te. Non accade sempre, e magari non per tutto il tempo di una rappresentazione. Ma quando entro con la “punta giusta” si crea una magia che è fatta di tante cose, anche di quella “memoria bambina”. E mi sento libera. Sono solo io, con la musica, il pubblico e la storia che racconto.

Sei diplomata al Teatro alla Scala. Hai studiato cinque anni sotto la direzione di Anna Maria Prina e gli ultimi tre con Frédéric Olivieri. Che differenze hai potuto constatare tra le due direzioni?

I primi anni sono stati fortemente legati alla formazione, allo studio della tecnica; sono stati anni di pura accademia. Con l’arrivo di Olivieri si è passati ad un’altra fase. La scuola non era più solo studio ma anche esperienza sul campo.

Ricordi la tua primissima esperienza di lavoro?

Ancora prima del diploma avevo fatto l’audizione al Teatro dell’Opera di Roma e mi presero. Quindi conclusa l’esperienza scaligera a luglio, sapevo che a settembre avrei iniziato il mio lavoro con l’Opera. Ma prima di quel contratto ebbi un’esperienza con un balletto di Francesco Ventriglia che si rappresentò al castello di Bracciano. Danzavo con Beatrice Carbone e ne ho un bellissimo ricordo.

Prima danzatrice del corpo di ballo, poi prima ballerina e infine étoile. Come hai vissuto la nomina?

La nomina, forse, ha più importanza agli occhi degli altri che non agli occhi di noi stessi. Essere étoile è una grande responsabilità, nei confronti del pubblico e di chi ha avuto fiducia in te. Certo rimane un immenso piacere e regala grande soddisfazione e profonde emozioni.

Ma quella bimba iperattiva che correva per i corridoi e non si fermava mai, sognava di diventare, un giorno, una stella dell’Opera di Roma?

Sinceramente no. Sono diventata ballerina per caso: studiavo danza solo per divertimento. Era puro svago. Poi la mia Maestra mi invitò a fare l’audizione per l’accademia della Scala. La feci senza alcuna consapevolezza, eppure arrivai prima in graduatoria e mi presero. Iniziai così il mio percorso in Scala. E qualcosa cambiò. Tutti i sacrifici che stavo compiendo mi avrebbero dovuto portare a qualcosa. Le emozioni che provavo guardando i balletti e i tanti artisti che passavano dal teatro, erano le emozioni che avrei voluto provare anche io.

Che tipo di ballerina sei?

Non ho una grande autostima. Non mi piaccio quasi mai e non amo guardarmi nei video. Però, quando salgo sul palco, mi piace ciò che provo, le sensazioni che sento. Se dovessi guardarmi dall’esterno penserei a una danzatrice capace di interpretare balletti diversi: alcuni drammatici altri briosi e brillanti. Cerco di entrare nel ruolo, di viverlo pienamente.

Forse, però, amo più i ruoli romantici o drammatici.

Come hai vissuto i lunghi giorni di quarantena?

La famiglia e i bambini tendevano a coinvolgermi completamente. E ciò, durante il giorno, mi impediva di fermarmi a riflettere su questo periodo e sulla tragedia che abbiamo vissuto e attraversato tutti.  Poi la sera, quando ero al buio sotto le coperte, pensavo a tutto ciò che stava accadendo, a quanto mi mancava la danza, la sala prove e la bellezza che l’arte ci regala. Quella sensazione di sana leggerezza che solo il teatro può donarci. E poi riflettevo sulla vita, sulla sua fragilità, cercando di capire il mistero che essa nasconde. Forse è la nostra vulnerabilità, le nostre crepe, il mezzo che permette alla luce di entrare.

C’è un coreografo nel cui stile ti ritrovi pienamente?

Ci sono tanti coreografi che mi piacciono, anche alcuni con cui non ho mai lavorato come John Neumeier. Adoro “La Signora delle camelie”, balletto meraviglioso. E poi Kenneth MacMillan. Mi piacerebbe lavorare e scoprire anche coreografi emergenti italiani, che come artisti potrebbero dar voce al fascino italiano.

Con la Direzione di Eleonora Abbagnato la proposta coreografica dell’Opera è cambiata secondo te?

Sì, decisamente. Sono arrivati più coreografi contemporanei e di scala internazionale. Abbiamo provato nuovi stili e approfondito la nostra esperienza di danzatori.

Tu e Alessandro Rende vi siete conosciuti quando eravate entrambi nel corpo di ballo. Poi è nato l’amore e oggi siete una coppia felice e una grande famiglia. Com’è vivere un rapporto di coppia con un collega?

Alessandro, oltre a essere l’amore della vita, è sempre stato un grandissimo aiuto. Soprattutto quando ho iniziato a danzare ruoli importanti ed è arrivata la nomina a prima ballerina. Ero già madre di due figli e avevo tante paure per via delle responsabilità che, inevitabilmente, incombevano. Alessandro mi è stato sempre vicino: una voce sincera all’interno del teatro. Nel bene e nel male. Lui conosce bene Rebecca donna e Rebecca artista, e sa parlare ad entrambe nello stesso momento. Mi fido ciecamente di lui. E poi avere un marito che conosce la giornata che hai vissuto non è da poco. Se si torna a casa la sera e ho fatto due filage di un balletto, è Alessandro che cucina e si occupa dei bambini, lasciandomi il tempo di riposare. E poi, oltre a lui, ho la fortuna di avere una direttrice che ha sempre compreso le mie fragilità e mi ha spinto ad affrontarle.

Come ti vedi tra qualche anno? Quando il tempo sarà passato e i riflettori si spegneranno?

Vivo la mia carriera e il mio ruolo a teatro come un dono che ogni giorno mi vien fatto. Ciascun coreografo, ogni balletto rappresenta, in qualche modo, un pezzo di vita: come se tutte le esperienze che vivo attraverso la danza mi permettessero di entrare in bellissimo libro e coglierne ogni fiore. E questo mi permette di crescere non solo come artista, ma anche come persona, come moglie e come madre. Sono certa che tutto questo bagaglio mi servirà in futuro: in qualche modo lo utilizzerò e lo donerò agli altri.

Oggi ti senti una persona pienamente felice e soddisfatta?

Sono una donna estremamente sensibile e ho un carattere un po’ difficile. Vivo perennemente alla ricerca, e questa mi porta a essere molte volte soddisfatta, a volte per nulla. C’è una base di grande felicità, ma ci sono anche momenti bui su cui devo imparare a fare luce. E poi, esiste una persona totalmente felice? Che sia stata in grado di rispondere a tutte le domande? Io, da parte mia, continuo a cercare e, spesso le risposte le trovo quando smetto di pretendere di trovarle, ma affidandomi a ciò che la vita mi dona: negli avvenimenti che le giornate mi offrono, a volte casuali o inaspettati, nei miei figli, in mio marito, nei miei cari e.. Ecco, se devo proprio dire, sono loro, i loro sorrisi, il loro amore, la mia soddisfazione più grande.

Crediti fotografici: Jean – Charles Verchère

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