Martina Arduino e Marco Agostino: due giovani talenti del Teatro Alla Scala si raccontano

Li vedremo danzare prossimamente ne “La Bayadère” di Nureyev, che inaugura la Stagione di Balletto

di Giada Feraudo
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Martina Arduino, prima ballerina del Teatro Alla Scala, e Marco Agostino, solista, sono stati ospiti della Scuola di danza Il Gabbiano, diretta da Franca Pagliassotto, dove hanno tenuto un pomeriggio di stage con gli allievi.

Marco ha mosso proprio qui i suoi primi passi, la sua scuola di danza di quando era bambino occupa nel suo cuore uno spazio speciale e di tanto in tanto, quando gli impegni scaligeri glielo permettono, torna per condividere la sua esperienza con gli allievi più giovani.

Marco, che emozioni provi e che ricordi rievochi quando torni, ora in veste di maestro, in quella che da piccolo è stata la tua prima scuola?

Sicuramente tornare dove ho iniziato è sempre una grande emozione. I ricordi più forti sono legati al periodo in cui ho capito che avrei fatto il ballerino di mestiere, anche grazie a Franca.
Nella sua scuola mi sono sempre trovato in un ambiente che mi ha protetto e fatto sentire a casa in ogni momento: ricordo che quando frequentavo la terza media o la prima liceo trascorrevo praticamente tutto il giorno in sala, era un posto che riconoscevo come mio, e questa è la sensazione più bella. Il valore della formazione è fondamentale ma anche il senso di “casa” che le piccole scuole danno: una cosa molto difficile per me è stato passare da qui, dove mi sentivo in famiglia, all’Accademia, dove ero uno dei tanti, non sicuramente il più bravo, ed è forse anche per questo che ogni volta che torno mi sento davvero a casa.

Vestire i panni del maestro nella scuola dove sono  cresciuto è per me una grande emozione perché mi dà un senso di continuità: a mio avviso non soltanto le grandi Accademie ma anche le scuole private devono essere legate al mondo professionale: una cosa che ci ha insegnato il lockdown è proprio che facciamo tutti parte della stessa grande famiglia e non ha dunque senso tagliare il cordone che c’è fra tutti gli elementi, che sono essenziali per l’esistenza reciproca.

Anche tu, Martina, sei di Torino, com’è iniziato il tuo percorso?

Io ho cominciato a studiare nella scuola di Carla Perotti e successivamente ho proseguito in quella di Salvino Aiosa, allora aperta di recente. Ricordo che eravamo molto poche, al massimo una ventina, e grazie a questo il maestro ha potuto concentrarsi molto su di me, preparandomi per l’audizione alla Scuola di Ballo dell’Accademia della Scala, dove sono entrata a undici anni.
Sono anch’io fermamente convinta dell’importanza della stretta collaborazione fra il mondo dei professionisti, le Accademie e le scuole private, è a mio avviso molto importante dare ai ragazzi una visione di quello che è il mondo della danza professionale.

Avete davanti a voi ancora molti e brillanti anni di carriera, ma come considerate le esperienze di insegnamento che state iniziando ad avere? Potrebbero essere un primo seme di quello che magari sarà, in futuro, il proseguimento della vostra carriera artistica?

Questa esperienza è nata con il lockdown perché ci siamo trovati per molto, troppo tempo a non poter fare nulla. Abbiamo iniziato, a turno, a darci la lezione fra noi danzatori; in seguito abbiamo pensato di aprire questa possibilità anche ad altri poiché noi, in quanto professionisti, siamo stati privilegiati, e ci siamo quasi sentiti in colpa pensando ad altre realtà, come le piccole scuole, che invece sono state molto più penalizzate.
È un’esperienza figlia della necessità di condividere qualcosa in un periodo particolare ma per il momento non pensiamo a un futuro da insegnanti, una giornata come quella di oggi è stato un ritorno a casa, un momento di piacere condiviso, che non escludiamo di poter ripetere in altre occasioni. Inoltre la nostra arte si basa sul tramandare personalmente agli altri il proprio bagaglio personale, l’esperienza di ognuno conta tantissimo, non c’è altro modo di creare continuità, ma per il momento ci concentriamo sulla nostra carriera sul palcoscenico. Più avanti penseremo a ciò che vorremo fare dopo.

Torniamo in ambiente scaligero: con l’arrivo di Manuel Legris al timone della compagnia ci sono stati molti cambiamenti e un grande lavoro di restyling dell’immagine, pur nel rispetto della tradizione, che passa anche e, in ragione degli ultimi mesi, soprattutto, attraverso i social e il web, nonostante un graduale e auspicato ritorno in presenza. Pensiamo ad esempio alle masterclass, ai vostri profili social professionali, alla serie “Corpo di ballo”, ma anche alla presenza di voi danzatori ad eventi non necessariamente legati al teatro, tutte cose in passato poco usuali per La Scala, eccezion fatta per Roberto Bolle, ma non una novità in altri teatri. Cosa ne pensate?

C’è stato un grosso cambiamento, senza dubbio. Di certo il periodo particolare che abbiamo vissuto ha costretto a trovare un modo alternativo per non scomparire dalla scena, e le registrazioni hanno permesso a noi professionisti di entrare in teatro, altrimenti inaccessibile in ragione dei protocolli sanitari che limitavano l’ingresso ai soli giorni di spettacolo, e ha portato il direttore a collaborare in maniera ancora più stretta con il sovrintendente, Dominique Meyer. È una grandissima fortuna che entrambi lavorino davvero in armonia perché hanno dato una grande spinta al ballo, che ultimamente, a differenza del passato, è sempre stato usato al completo nel migliore dei modi, dando spazio a tutti, senza far primeggiare soltanto i guest invitati dall’estero, operazione molto usata in precedenza, che attira il grande pubblico ma che nello stesso tempo, senza nulla togliere alla bravura di tali professionisti, sembra mettere la compagnia in una posizione di contorno, mentre è giusto far conoscere anche il talento degli artisti nostrani.

Il fatto che sia Legris sia Meyer arrivino da precedenti esperienze all’estero fa, secondo noi, una grande differenza, in quanto hanno portato una visione più internazionale, alla quale La Scala è stata per lungo tempo chiusa, mentre al contrario alcune modalità che altrove esistono già da tempo sono vincenti e attirano nuovo pubblico, anche fra i giovani, e non possono che portare vantaggi e valore aggiunto anche da noi.

Con il nuovo direttore è arrivato anche tanto nuovo repertorio, a cominciare dalle prossime rappresentazioni di Bayadère di Nureyev.

Ogni direzione porta il proprio bagaglio: Legris ha ballato tutti i balletti di Nureyev, e naturalmente li ha riproposti. Riteniamo sia una cosa buona perché la compagnia ha tanti elementi in grado di poterli danzare, parte del repertorio di Nureyev appartiene alla Scala da anni ed è quindi giusto rappresentarlo, soprattutto sotto la guida del direttore, che può trasmetterci gli insegnamenti che ha avuto da lui in persona.
Inoltre tutti i balletti di Nureyev prevedono un grande organico: mettere in scena un titolo di repertorio in cui tutti lavorano è molto importante, mentre rappresentare per mesi balletti che utilizzano un organico ridotto sminuisce la compagnia.

Quello che ci ha lasciati piacevolmente sorpresi di Legris è la sua grande conoscenza del repertorio moderno e contemporaneo: ci sono una quantità di coreografi che abbiamo iniziato a scoprire grazie a lui, ed è importante che noi danzatori ci confrontiamo con stili e idee diverse.

Quali sono i prossimi appuntamenti in cui vi vedremo in teatro o in streaming?

Sicuramente il primo sarà La Bayadère, in apertura di stagione (prima rappresentazione il 15 dicembre, n.d.r.), in cui balleremo insieme nei ruoli di Nikiya e Solor. A seguire, un trittico, nel mese di gennaio. La serata sarà composta da lavori di Davson, Kratz e Kylián, tre coreografi con stili completamente diversi che renderanno lo spettacolo davvero interessante, una bella sfida per tutti noi.

Avete nuovi progetti all’orizzonte?

A causa dell’attuale instabilità della situazione molti spettacoli degli scorsi mesi sono stati cancellati e purtroppo al momento non sono recuperabili, dunque per ora non ci sono veri e propri progetti al di fuori del teatro. Lo scorso 30 novembre è uscito un film, Giselle, tratto dalla docuserie dal titolo “Corpo di ballo”, trasmesso a Torino, presso l’Auditorium del Grattacielo Intesa Sanpaolo, in occasione del Torino Film Festival. La restituzione e la serie sono state molto interessanti sia per il pubblico sia per noi, non abituati ad essere seguiti dalle telecamere in ogni momento. È stato inoltre un progetto in continua evoluzione poiché inizialmente avrebbe dovuto seguire una parte di Stagione, da agosto a dicembre, con programmi diversi, ma poi i teatri sono stati chiusi nuovamente e il risultato è stato un lavoro di un anno e mezzo, a singhiozzo, ma nonostante tutto interessante, che resterà a testimonianza di un periodo che, si spera, non si ripeta più.

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