INTERVISTA A DAMIANO BIGI “PINA BAUSCH IL MIO INCONTRO PIÙ BELLO MA ORA PENSO ALL’ITALIA”

di Fabiola Di Blasi
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Damiano Ottavio Bigi nasce a Roma nel 1982 ma la sua formazione e la sua carriera si sviluppano principalmente all’estero dove tra i vari incontri importanti ne fa uno che gli cambia la vita: Pina Bausch. Di passaggio dall’Italia, Damiano Bigi sta lavorando a nuovi progetti e si racconta ai lettori di Dance Hall News.

Come hai iniziato a danzare?

Direi che è stata un’esigenza. Certo, i miei genitori mi hanno sempre portato a teatro a vedere opere, balletti, ascoltare musica classica però non hanno mai fatto pressioni affinché intraprendessi questo percorso. Sono stato io che, tra le attività provate da bambino, ho chiesto di studiare danza e ho insistito così tanto che alla fine mi hanno iscritto in una scuola privata. Avrò avuto 8-9 anni. Subito dopo sono entrato alla scuola dell’Opera di Roma dove sono rimasto per tre anni.

Poi, ancora giovanissimo, hai lasciato l’Italia…

A 13 anni mi sono trasferito in Francia dove avevo partecipato a un laboratorio nella scuola di Rosella Hightower e mi avevano offerto una borsa di studio che accettai, forse senza rendermi neanche veramente conto del passo che stavo facendo. Vivevo nel convitto con gli altri ragazzi, studiavo danza e andavo a scuola dove c’era una sezione per ballerini, musicisti e sportivi che non potevano seguire gli orari normali. Mi ricordo che studiavo tantissimo per imparare la lingua per poter dialogare coi miei compagni e con gli insegnanti. Da Rosella Hightower ho iniziato con il classico ma presto ho conosciuto il contemporaneo, le tecniche Limón, Cunningham… Era un’ambiente stimolante con tante influenze che mi interessavano. Il classico mi è sempre piaciuto ma non ho mai immaginato di fare quella carriera. Probabilmente tutto dipende dagli incontri che si fanno nella vita… In Francia, per esempio, la figlia di Rosella Hightower, Monet Robier, ci spingeva molto nelle improvvisazioni e nel creare movimenti, nonostante fossimo giovanissimi. Lei mi fece capire perché volevo danzare.

Da quel momento ti sei focalizzato sul contemporaneo…

Sì, andai al centro coreografico di Angers (CNDC), una scuola di perfezionamento dove mi trovai in mezzo a un melting pot di tecniche e nazionalità. Ogni 2/3 settimane cambiavamo insegnante, dovevi essere sempre concentrato! In quel periodo provai anche nuove tecniche come Graham, Butoh, flamenco… tutti input utili per un danzatore contemporaneo. I direttori del CNDC erano Joëlle Bouvier e Regis Obadia con i quali, successivamente, ho anche lavorato. Poi entrai al centro coreografico di Nantes con Claude Brumachon. Con lui ho affrontato uno stile contemporaneo molto fisico. Mi piacevano particolarmente i temi che trattava: spettacoli su Kafka, Tennessee Williams, Beethoven… Tutte bellissime occasioni di studio. In pratica, anche se era puro movimento, entravi nel lavoro come un attore e dovevi essere totalmente investito in quello che facevi.

Alla luce dei fatti, possiamo dire che uscire così presto dall’Italia sia stata un po’ la tua fortuna?

Penso di sì… Più che altro perché in Italia in quegli anni non c’erano così tanti stili e a me il classico e il neoclassico, che erano le realtà predominanti, non interessavano. Già da bambino ero un po’ ribelle…non volevo seguire certe regole esageratamente ferree. Non dico che non siano giuste per un certo tipo di percorso ma io trovo più interessanti altri modi di esprimermi e, soprattutto, mettere il focus sul movimento, nutrire questa passione, più che concentrarmi sul corpo, sul peso, sulla forma… Devo dire che in Italia vedo ancora oggi pochi stili così come vedo poco Teatro Ragazzi che invece negli altri Paesi europei, è diffusissimo.

Nell’ultimo anno i prodotti in video e lo streaming hanno preso il sopravvento e abbiamo capito che anche nel futuro il mondo reale e quello virtuale dovranno coesistere. Come si andrà avanti, secondo te?

Sicuramente non si tornerà più al mondo di prima però io credo (o forse spero!) che con questa crisi tutti ci siamo resi conto che lo spettacolo dal vivo, l’incontro sociale, sono cose di cui abbiamo bisogno. Per quanto ci si possa servire del web e dei social e sfruttarne il potenziale, si arriva al punto in cui uscire e andare al cinema, a teatro, confrontarsi con gli altri su quello che si è visto, diventa un bisogno. Credo che tutti si siano resi conto che guardare la vita tramite uno schermo non è sufficiente. Sicuramente non si tornerà indietro e ci saranno abitudini e stili di vita diversi ma credo anche che la gente vorrà fare esperienze dal vivo. Già, se ci facciamo caso, rispetto al primo lockdown è diminuita la condivisione di video su performance e allenamenti casalinghi, quella fase si è già esaurita. C’è voglia di condividere esperienze vere. La vita virtuale non può assolutamente sostituirle.

Non credi che dopo questo lungo periodo di chiusure, tolti gli affezionati storici, sarà difficile riportare il pubblico in sala?

Sì ma in questo senso, ad essere sincero, non credo che il problema dell’Italia sia solo il covid. Credo piuttosto che ci siano stati decenni di politica sbagliata che ha portato anche a un abbassamento di qualità dei prodotti culturali e si è arrivati a fenomeni come andare a vedere uno spettacolo solo perché c’è un personaggio televisivo. Non ci sono molte operazioni di educazione e promozione del pubblico… Educare i giovani al teatro non significa che nella vita dovranno fare quello: il teatro in grandi termini serve prima di tutto per parlare di certi temi, riflettere, confrontarsi, farsi domande, avere uno sguardo più ampio sulla vita. Con questo mi ricollego a quanto detto prima sulla scarsa importanza data al Teatro Ragazzi che dovrebbe essere ampiamente supportato, così come la danza. Le mie esperienze in Italia mi hanno sempre fatto rendere conto che quello che bisognerebbe fare qui è educare il pubblico di domani. Renderlo interessato, incuriosirlo. All’estero, per esempio, è una cosa normale per artisti e tecnici incontrare il pubblico di giovani dopo gli spettacoli.

Qual è la tua percezione di questo ultimo anno? Rappresenta qualche opportunità per un artista come te?

Si, certo, sempre con la speranza che presto si possa tornare a esibirsi dal vivo. È stato un anno che ha spiazzato tutti però ho sempre cercato di prenderlo come opportunità per riflettere. Questa crisi mi ha dato la possibilità di coinvolgere l’Italia nel mio progetto, condiviso con la regista Alessandra Paoletti, cioè quello di mettere su una compagnia e abbiamo quindi potuto dedicarci a “Un Discreto Protagonista” creazione che ha trovato sostegno e residenze al Teatro-Biblioteca Quarticciolo di Roma, a Fabbrica Europa, Firenze e al Funaro/Pistoia. Siamo co-prodotti dalla Compagnia SimonaBucci/Degli Istanti e da Il Funaro/Pistoia. Insomma, sto prendendo contatti con le realtà italiane. Finché non riaprono i teatri o altri spazi, si sta in creazione. In scena siamo io e il danzatore Lukasz Przytarski con cui condivido il lavoro di Dimitri Papaioannou. La creazione è sul tema del vuoto che è un argomento che rispecchia un po’ quello che ci sta succedendo adesso…questo grande vuoto che ci troviamo davanti…come trovare nuove strade per raccontarci… Le fonti per un lavoro coreografico possono venire da discipline anche apparentemente molto lontane dalla nostra, come la scienza, in questo caso.

A proposito di Papaioannou, sul web c’è il trailer di uno spettacolo di cui fai parte firmato da lui. È piuttosto recente…

Esatto, non abbiamo ancora fatto la prima. È stata una lunga creazione e ogni volta che si avvicinava la possibilità di andare in scena c’era il lockdown! Quindi siamo in attesa delle riaperture per debuttare e poi dovrebbe esserci una lunga tournée. Questa è la sua ultima creazione, si chiama TRANSVERSE ORIENTATION e proprio durante le prove ho iniziato a improvvisare con Lukasz Przytarski e abbiamo deciso di collaborare anche al di fuori. (NdR Per vedere il trailer https://vimeo.com/499752147)

Parliamo di Pina Bausch. Come sono avvenuti il tuo incontro con lei e l’ingresso in compagnia?

Mi trovavo in quella compagnia francese di Nantes, ero molto giovane e sentii di quest’audizione per Wuppertal. Sinceramente pensai di andarci solo per fare l’esperienza perché ero convinto che Pina lavorasse con artisti molto più esperti. Ero estremamente tranquillo ma pian piano mi sono reso conto che c’era qualche possibilità così ho cercato di concentrarmi di più. L’audizione è durata 2 giorni ed è stata molto bella, riguardava sia il repertorio della compagnia che l’improvvisazione. Ero davvero a mio agio nonostante a quell’età non fosse semplice per me improvvisare su cose personali di fronte a tanti sconosciuti…Ma Pina aveva una capacità incredibile di vedere quello che avevi dentro anche attraverso cose anche non tue. Tornai in Francia e mi richiamarono. Entrai in compagnia che avevo solo 22 anni! Non me lo aspettavo, sinceramente, ma ero molto contento. Mi trovai a lavorare con danzatori che vedevo come dei “mostri” e che erano con Pina da anni.

Come si svolgeva il lavoro con lei?

Lei all’inizio non mi diceva quasi nulla, probabilmente mi stava studiando ma voleva anche che trovassi la mia strada. Per Pina era importante non incollare nulla addosso alle persone ma lasciare che trovassero loro stesse. A un certo punto andai a parlarle e lei mi disse che non dovevo avere paura anche di sorprenderla, che dovevo imparare il repertorio che gli altri ballerini mi stavano trasmettendo ma che all’interno di quei movimenti potevo essere libero e se fossi andato nella direzione sbagliata sarebbe intervenuta ad aiutarmi. Questo per me fu stupendo, mi tolse ogni blocco. Facevamo un lavoro molto bello. Non c’era a monte l’idea di fare le cose in “stile Pina Bausch”, io proponevo e finché non diceva niente ero libero di creare. Aveva un modo di fare che non avevo mai visto: creava per ogni pezzo un’atmosfera, come un mondo parallelo, facendoti entrare nel tema, senza darti suggerimenti su come ispirarti, lei riusciva a creare quest’atmosfera anche solo col lavoro pratico. Così è stato per Kontakthof, per La Sagra… E nonostante io fossi così giovane creò questo rapporto quasi alla pari. Eravamo due artisti, due persone che dovevano ispirarsi, usarsi e sorprendersi a vicenda. Lei faceva molte domande, dava dei temi, e noi trovavamo nella nostra storia, nella nostra immaginazione, delle risposte. Creavamo tantissimo materiale e solo una parte andava poi in scena.

Mi piaceva molto il mondo di Pina, i suoi personaggi, questo lato ironico, fisico…

È stato l’incontro più bello della mia vita.

E se dovessi trovare un lato negativo di quel periodo?

Eh…  È come se uno fosse andato sulla luna prima dei 30 anni…dopo che fa? È difficile fare altri incontri così… Come interprete, dopo Pina ho conosciuto altri coreografi che mi sono piaciuti molto però mi piacevano solo alcuni aspetti di ognuno. I movimenti o la ricerca o la musicalità…Qualcosa di così completamente coinvolgente non l’ho più trovato. Dopo di lei anche la compagnia è cambiata.

Com’è stato lavorare con Wim Wenders per il film PINA?

È stato molto bello. Quando lui è arrivato eravamo tutti un po’ persi, tra noi c’era gente che era stata con Pina anche più di 20 anni. Il film doveva essere fatto con lei e in un primo momento non sapevamo bene che direzione prendere. Wim ci ha chiesto del materiale, delle location, ma è stato molto discreto, sapeva che per la compagnia era un momento particolare. Non ha mai chiesto di modificare il materiale di Pina, lo abbiamo solo adattato ai diversi luoghi. È stata una bella esperienza, molto positiva per la compagnia che così si è riunita di nuovo in una creazione.

Cosa pensi della videodanza?

La danza e il teatro mi piacciono molto più dal vivo. Però nella videodanza c’è proprio un mestiere ed esistono dei prodotti bellissimi. In qualche modo credo che siano delle discipline diverse. Se devo vedere la danza in film deve essere fatta bene, per il film, se no diventa un po’ un modo per rimpiazzare la danza dal vivo, specialmente in questo periodo ma io credo davvero che una cosa non possa sostituire l’altra. Probabilmente si apriranno anche altre strade…

E cosa pensi dei social network?

I social tolgono valore a tante cose e, soprattutto, non sono la realtà. Oggi, davanti a un video di 4 minuti, pensiamo subito che sia troppo lungo. Siamo subissati di contenuti simili tra loro che in qualche modo ci fanno credere che tutti dovremmo rientrare in certi canoni, quando invece ognuno dovrebbe usare le proprie differenze a proprio vantaggio, trasformarle in punti di forza. Essere diverso dagli altri è anche un’opportunità per costruirsi la propria strada.

Che cosa diresti a un giovane danzatore italiano che sogna di fare la tua carriera?
Direi di formarsi con più insegnanti, non ne troverà mai uno che gli dica tutto quello di cui ha bisogno per trovare la sua identità. Cercare, provare, aprirsi a più esperienze possibili, andare a vedere all’estero, anche da solo, ormai l’Europa è un quartiere, ogni posto è facilmente raggiungibile e poi, più avanti, provare a creare qualcosa di personale. E soprattutto di fare più rumore. Noi del nostro mestiere siamo sempre troppo “bravi”, gentili, accettiamo condizioni difficili, pagamenti non adeguati, ma così non va bene! Non facciamo un mestiere che non è utile, anzi! È la via d’uscita da molte situazioni negative e dall’ignoranza.

La scorsa estate hai lavorato in Italia ne “Le creature di Prometeo” a cura di Daniele Cipriani

Si, è stata una bellissima occasione e mi ha permesso di incontrare Simona Bucci che curava le coreografie. Mi sono trovato molto bene con lei e con la sua idea di condividere il sapere artistico e di aiutare chi vuole mettere in piedi progetti propri. A livello umano è una persona splendida. Anche con Daniele Cipriani ho un bel rapporto, mi sono sempre trovato bene quando ho lavorato con lui.

Sempre in Italia hai avuto altre esperienze interessanti, per esempio il progetto “Estasi”

Era un progetto del musicista Luca d’Alberto sul suo album che si chiama appunto Estasi. La sua musica è molto adatta per la danza e per i film. C’eravamo io e Ditta Miranda, anche lei della Compagnia di Pina Bausch. Luca ci ha cercato perché voleva dei danzatori di Wuppertal e con lui abbiamo lavorato sia per il video che fatto performance dal vivo. Lui era in contatto con Michele Placido, lo ha coinvolto e abbiamo fatto anche degli incontri col pubblico. Ballavo sempre con Luca che suonava dal vivo, anche improvvisando. Poi siamo rimasti in contatto e ho fatto altri spettacoli. Ne ricordo uno molto bello sulle lettere di Verdi, per esempio.

Qualche anno fa hai creato “Ciudadela”. Sembra ancora molto attuale

Si esatto. Era andato molto bene. Era nato da un progetto pedagogico e poi è diventato un solo. Mi ero ispirato un po’ a 8 ½ di Fellini, a quella voglia di raccontare ma non sapere bene cosa, a quella mancanza di punti di riferimento… Che decisioni prendere, perdersi, essere più o meno ironico, prendere un tema sociale o no… È un personaggio che si interroga e che ricerca l’atto creativo.

Cosa vedi nel tuo futuro?

Ho fondato una compagnia per potermi dedicare all’aspetto che mi interessa di più, quello creativo, tramite progetti che a volte possono essere anche educativi e includere incontri col pubblico, cosa di cui credo ci sia bisogno.
Nonostante nelle nostre vite le sensazioni vere, gli incontri, le esperienze sensoriali sembrano essere sempre di più un racconto del passato, io credo che il lavoro dell’artista, ma si potrebbe dire anche quello dell’insegnante, del giornalista e, perché no, quello dell’uomo, è stato, è, e continuerà ad essere quello di rispecchiare la realtà in cui viviamo, porre delle domande, mettere in luce gli angoli remoti della nostra società.
Il nostro lavoro di artisti è quello di cercare di avere una visione più ampia e distante possibile, un pò come osservare cosa succede nel proprio Paese dall’estero. Non importa se viviamo in un periodo più centrato sull’io, sul proprio ego, sulla propria immagine, anche se ciò è sempre in relazione all’altro; a me interessa l’essere umano nella società, la condivisione di visioni e fantasie, lo scambio di opinioni e realtà, lo studio del passato, del presente e di un possibile futuro. È per questo che ho voluto creare la Compagnia Fritz con Alessandra Paoletti.

Grazie per il tempo che ci hai dedicato. Ti auguriamo il meglio e restiamo in attesa di poter vedere “Un discreto protagonista”, speriamo presto e dal vivo!

Photo credit: Massimo Danza; Riccardo Panozzo

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