Micaela Greganti: “Emozioni in punta di piedi”

di Miki Olivieri
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Gentile Micaela, com’è nato l’amore e la passione per la danza?

Il mio amore per la danza è iniziato per caso. Ero stata cresciuta un po’ come un maschietto, sempre con i capelli corti e i pantaloni… giocavo poco con le bambole e amavo i soldatini. Così si pensò di iscrivermi a un corso di danza classica per cercare di rendermi più aggraziata… all’inizio non ero molto convinta di questa scelta e a fine lezione correvo a vedere i miei amici impegnati nel corso di Judo che mi affascinava tantissimo. Piano piano però il mondo della danza ha iniziato a sedurmi e mi sono resa conto che ballare mi rendeva felice e mi permetteva di esprimere le mie emozioni.

Quando hai capito che volevi diventare una ballerina e intraprendere questa professione?

Quando ho capito che potevo farcela! Sono stata fortunata a essere nata con le doti fisiche che mi hanno permesso di impegnarmi seriamente nello studio della danza classica, ma come ben sappiamo se poi non ci si mette dell’altro, e non si usa la testa, non si può diventare dei professionisti. Affrontare ogni giorno le difficoltà tecniche e riuscire a superarle mi ha aiutato a diventare una persona più forte e ha aumentato la mia autostima dandomi la carica e l’energia necessarie a intraprendere questa professione.

Quali sono i ricordi che conservi maggiormente degli anni trascorsi presso l’Accademia Nazionale di Danza di Roma?

I ricordi legati all’Accademia sono tanti. Sono entrata nella scuola senza pensare di potercela fare… sapevo che la selezione era molto dura e che in pochi sarebbero arrivati a diplomarsi. Ma poi ho visto che nonostante le difficoltà iniziali, continuavo a migliorare e che le insegnanti e la Direttrice, la Signora Giuliana Penzi, credevano in me e allora mi sono impegnata con tutte le mie forze per non deludere nessuno, soprattutto me stessa. I momenti dei saggi poi erano indimenticabili, la coronazione dei duri anni di studio!

Che aria si respirava in quegli anni presso l’Accademia?

C’era molta serietà in quegli anni e un enorme rispetto per gli insegnanti e l’istituzione. La disciplina che mi è stata insegnata mi è stata di grande aiuto nella vita. Non osavo fiatare per paura di essere ripresa dai maestri e dalla direttrice che da piccolina mi sembrava tremendamente severa. Ma sono molto grata alla Signora Penzi perché con il suo rigore mi ha trasmesso l’impegno e la determinazione che ci vogliono per riuscire in questa professione, e crescendo ho capito l’affetto che nutriva per me e per ognuno dei suoi allievi.

Quali sono le doti fisiche indispensabili per intraprendere la carriera del danzatore?

Idealmente un fisico perfetto, longilineo, flessibile, un bel collo del piede, grande estensione, mobilità articolare, ma soprattutto una grande testa! Alcune carenze fisiche si possono migliorare, soprattutto oggi con lo studio della fisiotecnica, o del Pilates o del Gyrotonic, applicato e affiancato alla danza. Ma sono l’impegno, l’umiltà, l’espressività e l’intelligenza che alla fine determinano il successo di un artista e lo rendono unico.

Raccontaci della tua esperienza di perfezionamento alla Royal Ballet Upper School di Londra?

Che dire, è stata un’esperienza magnifica e una tappa fondamentale nella mia formazione. Sono stata fortunata a ricevere dal British Council di Londra una borsa di studio che ha permesso di perfezionarmi in questa prestigiosa scuola determinando così la mia carriera artistica. Qui sono cresciuta tanto, sia tecnicamente sia artisticamente. Durante la settimana, oltre allo studio giornaliero della tecnica accademica, seguivo lezioni di repertorio, variazione, passo a due, punte, coaching, Cecchetti, RAD, contemporaneo, carattere, trucco da scena, mimo, e benesh notation (un metodo per trascrivere i passi di danza sul pentagramma). Di tutti gli insegnanti ricordo con grande affetto e stima Mrs. Kilgour, le sue lezioni erano estremamente dinamiche e musicali ed i suoi insegnamenti mirati a farci raggiungere una forte tecnica accademica arricchita da una raffinatezza e cura dei movimenti dettagliati della parte superiore del corpo priva però di manierismi. Inoltre studiare insieme a allievi talentuosi, provenienti da tutte le parti del mondo, mi è stato di grande stimolo e mi ha spronato a impegnarmi per migliorare ancora di più .

Poi per 17 anni hai danzato con la compagnia Nazionale scozzese dello Scottish Ballet di Glasgow, quali sono stati i momenti più importanti ed emozionanti?

Sicuramente i primi due anni nella compagnia, quando era ancora vivo il direttore e fondatore Peter Darrell, un uomo di teatro oltre che di danza. Cosa non amare di lui? Era una persona eccezionale e una guida per tutti noi, era la nostra forza. è stato lui ad offrirmi il contratto e mi ha fatto sentire unica e indispensabile… faceva questo con ognuno di noi. Ci aveva scelti perché dietro alle nostre capacità tecniche aveva visto un qualcosa in più. Scorgeva quelle qualità individuali che ci lasciava esprimere nelle sue creazioni e che spesso erano lo stimolo per le sue nuove coreografie. Così ci sentivamo tutti parte fondamentale dei suoi lavori e sotto la sua guida eravamo coccolati e sicuri. Dopo la sua morte ci siamo sentiti persi, ci mancava la sua figura paterna e abbiamo passato un periodo grigio, di stasi, mentre si cercava una nuova guida per la compagnia. Con l’arrivo di Nanette Glushak personalmente ho ritrovato una nuova fonte d’ispirazione. Lei ha portato una ventata d’aria nuova introducendoci alla tecnica americana e ai lavori del genio Balanchine! Questo nuovo modo di muoversi così dinamico e musicale era molto vicino al mio modo di ballare e valorizzava le mie doti fisiche e stilistiche. Per me Nanette è stata molto più di una direttrice, e l’anno che è rimasta con noi è stato uno dei più felici della mia carriera artistica.

Secondo te chi ha creduto e valorizzato maggiormente le tue doti?

In parte ho già risposto a questa domanda… oltre a Peter Darrell e Nanette Glushak, sono molto grata a Patricia Neary che mi ha scelta per il ruolo principale in Concerto Barocco (Balanchine) e a Rosalyn Anderson che mi ha sempre affidato dei ruoli di prestigio nelle coreografie di Jiri Kyllian. Comunque ho sempre appreso qualcosa da tutti i maestri e i coreografi con i quali ho lavorato. La lista dei grandi che vorrei ringraziare è molto lunga…tra i maestri che hanno creduto in me voglio dire “Grazie” di cuore a Victor Litvinov, Gabriel Popescu, Ricardo Nunez, Vladimir Lupov, Michael Messerer, Sulamith Messerer, Sorella Englund e Galina Samsova. Purtroppo alcuni di questi grandi maestri ora non ci sono più, ma il loro ricordo e insegnamento non mi abbandonerà mai. Tra i coreografi vorrei inoltre ringraziare Robert North che è stato anche il direttore dello Scottish Ballet e che mi ha affidato il ruolo di Carmen, così vicino al mio carattere istintivo e passionale.

Qual è il balletto che hai più amato tra tutti quelli visti da spettatrice?

Romeo & Juliet di Cranko. Semplicemente emozionante!

E invece tra quelli danzati?

Ogni balletto mi ha regalato emozioni indescrivibili, il profumo del teatro è inebriante e ogni volta che sono entrata in scena il mio cuore ha battuto forte come la prima volta.

E il coreografo?

è un pari merito tra Balanchine e Kylian! Ma ci sono tanti altri coreografi che ammiro e apprezzo.

E il partner?

Quelli che hanno avuto voglia di lavorare e impegnarsi tanto quanto me!

Hai raccontato la tua storia di danzatrice in un bellissimo libro dal titolo “Emozioni in punta di piedi”, è stato difficile trasferire una carriera “in movimento” sulla carta?

Ho provato a scrivere i ricordi che mi sono rimasti più impressi e perciò i più significativi della mia carriera. Spero di essere riuscita almeno in parte a condividere con i lettori la mia passione per la danza, senza però annoiarli. è un regalo che ho voluto fare ai miei genitori, per aver sempre creduto in me e per tutti i sacrifici che hanno fatto al fine di permettere di realizzare il mio sogno…ma è anche un regalo per mia figlia Gaia perché vorrei spronarla a cercare il suo sogno e a inseguirlo.

Ora sei un’affermata insegnante, come vivi la questione del tramandare l’insegnamento della danza?

Amo tutti coloro che hanno voglia di imparare e che trovano il tempo di farlo nonostante gli impegni scolastici e le crescenti difficoltà familiari. I miei allievi hanno fiducia in me e per questo cerco di tramandare tutto il mio know-how durante le lezioni che devono essere creative dinamiche e musicali. Oltre alla tecnica cerco di spingerli a danzare e a trovare il loro stile indirizzandoli alla tecnica di danza più adatta alle loro potenzialità.

Oggi insegni presso la Formazione Bartolomei danza. Che tipo di scuola è e quali sono i punti di forza?

La Formazione Bartolomei è una scuola di danza, di musica e di teatro, diretta da Raffaella Appia’. Il punto di forza della scuola è il triennio di alta formazione, TAF, con il coordinamento organizzativo di Michele Pogliani, che si pone come obiettivo quello di formare danzatori che possano rispondere ai molteplici aspetti del mercato professionale nazionale e internazionale. I ragazzi seguono giornalmente lezioni di classico, contemporaneo, modern jazz, laboratorio teatrale e seguono workshop di coreografi con esperienze internazionali. Durante i tre anni di studio inoltre gli allievi prendono parte agli spettacoli della giovane compagnia D.I.A. Oltre alla scuola di danza Bartolomei insegno anche presso la Scuola di danza “Tersicore” di Ostia diretta da Gabriella Lodi.

Secondo te quali sono i maggiori problemi della danza italiana, tu che l’hai vissuta danzando all’estero? Ci sono grandi differenze?

Io sono andata via dall’Italia a malincuore ma sapevo che quella era la cosa giusta da fare. Ho praticamente ballato solo all’estero ad eccezione dei primi spettacoli che ho fatto da ragazzina con il corpo stabile dell’A.N.D. Il problema in Italia purtroppo non è solo legato al campo della danza…tante sono le persone di talento, ingegneri, scienziati, musicisti, ecc. che sono costretti ad esercitare all’estero perché lì c’è più possibilità di lavoro, si è spesso pagati di più e si viene tutelati meglio anche per il futuro.

Cosa ti ha donato la danza, oltre il successo e la possibilità di danzare in giro per il mondo?

La danza mi ha reso la persona che sono adesso, una donna più forte ma estremamente sensibile che si emoziona costantemente e che ha non smetterà mai di sognare perché sa che i sogni, a volte, si avverano.

Un messaggio per tutti i giovani che desiderano accostarsi all’arte coreutica?

Spegnete la televisione, i tablets e i cellulari e venite a danzare e ricordatevi che la danza non è quella che appare nei talent show. La danza è disciplina, sacrificio, impegno, i risultati si vedono con il passare degli anni ma se si ha la volontà e la pazienza di continuare a provare si avrà in cambio l’euforia dell’anima e un grande senso di libertà!

Hai ancora un sogno nel cassetto legato alla danza o ti senti appagata pienamente dal tuo percorso tersicoreo?

Mi piacerebbe collaborare con alcune compagnie e lavorare al fianco di ballerini professionisti seguendoli durante le prove e la messa in scena degli spettacoli. Se fossi rimasta in Gran Bretagna sarebbe stato molto più facile poter far ciò, ma dopo vent’anni trascorsi all’estero non sono più tante le persone che qui in Italia mi conoscono o che conoscono il mio background.

Per finire: come definiresti la nobile arte della “danza”?

Per un ballerino la danza è la sua vita, è una trasformazione che trasporta da una dimensione in bianco e nero a una a colori. Quando si entra in scena si cambia identità, si diventa fluidi come l’acqua e impalpabili come l’aria. La danza è magia e rende la vita magica.

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