Maurizio Tamellini: tra ricordi, progetti e famiglia

di Miki Olivieri
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Caro Maurizio, come ti sei avvicinato alla danza e qual è stato il tuo percorso artistico?

In realtà è stato lo studio del disegno e della scenografia che mi avvicinarono all’arte della danza. A Verona mio padre mi iscrisse al C.E.A. Era una scuola dove le materie artistiche erano sperimentali. Mi iscrissi al corso di pittura con il professore Luigi Scapini, un pittore e un personaggio pieno di energie e motivato artisticamente. Un giorno ci invitò a scendere nel seminterrato dove c’era una palestra dove si svolgevano dei corsi di danza. L’insegnante era Loredana Venchi, la mia prima maestra di danza classica. Iniziammo a disegnare, come faceva Degas… Fu subito amore a prima vista! Da quel momento la mia vita ebbe una drastica svolta. 

Come descriveresti la tua esperienza all’Accademia Nazionale di Danza di Roma?

La mia esperienza all’A.N.D. di Roma è stata una tappa fondamentale per la mia carriera. La mia prima e vera scuola accademica professionale. Ricordo ancora con affetto le mie due insegnanti, Caterina Commentucci e Anna De Angelis. In quegli anni le danzatrici iscritte all’Accademia erano più di 900. I maschi solamente in due. Il sottoscritto e Massimo Acri. 

Che ricordi hai di Giuliana Penzi, allora direttrice dell’Accademia?

Giuliana Penzi era una danzatrice, una grande Signora della danza, sensibile e gentile. Sicuramente un po’ dura e severa, ma erano anni in cui la disciplina era ai primi posti. Mi ha aiutato molto, mi ha concesso la prima borsa di studio negli anni 1975/76. Mi ha mandato anche all’Accademia del Costume e di Moda a fare il modello per contribuire al mio mantenimento all’Accademia. Insomma, una mia seconda mamma. 

Hai poi fatto parte dei Ballet Classique de Paris… che aria si respirava in quel mondo?

Questa compagnia privata di danza aveva una grande storia alle spalle. Jaquelin Jacquet era la Direttrice e l’ètoile della compagnia. Aveva una tecnica formidabile. La danza nel 1979 era al culmine, soprattutto in Italia. In Francia svettava sempre l’Opéra. Era il mio sogno poter entrare in quella compagnia. Allora si poteva entrare solamente se si vinceva il Concorso di Varna. Ogni anno si preparava un balletto di repertorio per poi portarlo in tournée in Europa del nord, nel periodo natalizio. Abbiamo montato il Lago dei Cigni di e con N. Beriozoff in un mese, presso una scuola dietro al Moulin Rouge a Parigi. In tournée facemmo 94 spettacoli in 98 giorni. Un’esperienza unica e affascinante.

Poi sei entrato nel Corpo di Ballo della Scala e lì hai trascorso tra spettacoli in teatro e tournée gli anni più prolifici come danzatore? Quali ricordi conservi di quel periodo?

Sono entrato alla Scala nel 1980. Erano gli anni di maggiore espansione della danza. Anni pieni di vigore e di vivacità artistica. Provenivo dal Comunale di Firenze e la Scala era per me una meta. L’italia vantava i migliori danzatori, da Paolo Bortoluzzi, Amodio, Fascilla, poi passato alla coreografia e Direttore in molti teatri italiani, L. Savignano, A. Razzi, L. Cosi, C. Fracci, O. Dorella, R. Paganini. Poi D. Bombana, M. Pierin, M. Bellezza, R. Calderini e Alessandra Ferri. Siamo andati in tournée a New York, Argentina, Brasile, Canada, Giordania, Egitto, Malta. Grandi successi con grandi balletti di repertorio. Anni splendidi… 

Hai sposato poi una bravissima danzatrice della Scala, Katya Pianucci e  anche vostra figlia, Susanna, è iscritta alla Scuola di Ballo della Scala… una famiglia tutta votata alla danza! È stato un caso o il destino era proprio “una vita per la danza”?

Sono stato davvero fortunato. Katya è stata un’ottima e bellissima ballerina, con una grande tecnica. Ricordo che quando ero in corpo di ballo, lei era ancora in scuola di ballo, con l’allora direttrice Anna Maria Prina. Io andavo a vedere le sue lezioni da dietro la porta. Tornavo e dicevo ai miei colleghi: c’è una ragazzina con delle gambe lunghissime e bravissima. Andate a vederla!! Poi il destino… Sono felice che mia figlia Susanna abbia intrapreso la nostra professione. Lei è nata in teatro e per molti anni era diventata la mascotte della compagnia. Ricordo che a mio padre piaceva la musica, mio nonno paterno suonava la fisarmonica. Avevo un fratello, Roberto, che faceva danza. Aveva danzato in grandi teatri e compagnie italiane. Poi ci fu una svolta… adesso è sacerdote. 

Un tuo ricordo del Ballet National de Marseille in cui tu sei stato solista?

Ricordo la sala ballo, l’unica nel museo de Beau Arts, a Place Carli. Era una sala prova in attesa della nuova sede della compagnia marsigliese. Una sala ballo dove si respirava danza dalle 10 del mattino a sera tardi, senza orari. Veniva spesso Zizì Jeammaire a fare le prove dei suoi spettacoli a Parigi. Grandi ètoile come Denis Ganio, D. Khalfouni, P. Dupont e molti altri. Poi Roland ci invitava a pranzo tutti insieme. Una grande famiglia. Great Time!! 

Com’era lavorare con Roland Petit?

Lavorare con Roland è stata per me una grande esperienza artistica e di vita. Persona alquanto volubile, ma con una grande forza interiore. Personaggio con un alto senso artistico e una grande e invidiabile cultura. Ha sempre cercato nei suoi ballerini l’energia e la personalità in ognuno. Sempre propenso alla battuta con un grande “Sense of humor”.

Lo spettacolo di danza che ricordi come il più emozionante al quale hai assistito da spettatore?

Lo spettacolo più emozionante è stato assistere, nel lontano 1974 al Teatro alla Scala, dove in cartellone c’era Excelsior. Andammo a vederlo con la mia maestra Loredana Venchi, ospiti del direttore d’orchestra Enrico de Mori. Danzava Paolo Bortoluzzi. Un bellissimo ricordo indelebile che ancora oggi conservo nel mio cuore. 

Nel tuo repertorio, il ruolo che hai interpretato che ti ricordi ancora con maggiore emozione?

Sicuramente è stato il ruolo di Tebaldo, danzato alla Scala con la coreografia di J. Cranko. Ruolo splendido ed affascinante per carattere e fedeltà storica. Poi Zampanò nella Strada di M. Pistoni. Ricordo ancora l’emozione nell’ultimo quadro quando la disperazione di lui lascia il posto al rimpianto e alla solitudine. 

Ora sei uno stimato maestro di danza, stage e giudice in concorsi di danza, nonché direttore artistico del Teatro Alfieri di Garfagnana. Quali sono i tuoi progetti e i prossimi appuntamenti?

Ho messo in scena proprio quest’anno una bellissima Stagione di Danza per il mio Teatro. Sono felice perché ho avuto dei bellissimi risultati in questi cinque anni. Abbiamo condiviso tantissimi successi. Il prossimo anno il Teatro sarà aperto a nuove sperimentazioni. Finalmente nella provincia di Lucca e nella valle del Serchio il teatro è all’avanguardia, sia come spettacoli sia come compagnie a livello nazionale. 

Com’è l’esperienza di Direttore di un teatro storico come il tuo?

Avere a disposizione un Teatro ottocentesco con tre ordini di palco, con una capienza di 500 posti e 2 sale ballo è per me un vanto e una sfida.

Teatro di grande tradizione di operetta nel tardo Ottocento, magnifico, situato in un punto strategico della città. Aperto alle idee e a tutte quelle persone che vogliono adoperarsi per la rilancita della Danza con la “D” maiuscola.

Dei ruoli solistici che hai interpretato, in quale ti sei rispecchiato di più?

Di tutti i ruoli che ho interpretato in 36 anni di carriera in sei compagnie, i ruoli sono stati tantissimi. Mi sono rispecchiato in parecchi, da Tebaldo, a Zampanò, dall’Orco nello Chat bottè di R. Petit, da Troy Games, nei Partigiani nell’Uccello di fuoco, da Design for four, da Rothbart nel Lago dei Cigni, da Five Tango’s ecc. Li ho amati tutti. 

Hai un desiderio o un sogno legato alla danza che vorresti realizzare?

I sogni legati alla danza fanno parte di me. Ne ho tantissimi, certo. Forse i sogni hanno un’orizzonte molto più ampio al quale io aspiro. I desideri pure. Però la mia carriera l’ho vissuta molto bene, piena, soddisfacente e felice. Non ho ambizioni particolari. Certo, mi arrivano tantissime proposte di lavoro e ne sono felice. Mi godo quello che ho, tutto il resto è un bellissimo regalo. 

Con quale coreografo hai amato maggiormente lavorare?

In particolare nessuno. Ho trovato in molti invece tanta spontaneità. Tutti avevano un loro linguaggio, una visione della danza davvero particolare. Mi è piaciuto lavorare, oltre a quelli citati, con Robert North, Elisa Monte, Hans van Manen, Alvin Ailey, E. Polyakov e R. Nureyev: geniale e spericolato. 

E con quale danzatrice?

Luciana Savignano è stata ed è un’étoile con cui ho avuto per la danza un rapporto previligiato. Abbiamo danzato moltissimi balletti, da Yerma, a Le Marriage of Heven and Hell di R. Petit, il Mandarino Meraviglioso e molti altri… Una danzatrice con cui potevi sentirti a tuo agio. Eclettica e molto duttile, con un fisico invidiabile.

A quali ballerini del panorama attuale riconosci l’eccellenza?

Riconosco l’eccellenza nell’attuale panorama internazionale ai danzatori russi, alla loro bellissima e invidiabile scuola. Danzatrici/ri come S. Zakharova, P. Semionova, O. Novikova, L. Sarafanov e molti altri… Roberto Bolle, star internazionale. Anche molti giovani danzatori/ci italiani hanno poco da invidiare alle nuove stelle sul mercato internazionale. 

Danza classica e danza moderna possono convivere di pari passo?

Sì, convivono benissimo. Il 90 per cento dei passi moderni hanno i nomi dei passi classici. L’approccio alla danza parte sempre dalla base classica accademica e poi si sviluppa. Non potrebbe esistere la danza moderna senza la danza classica. Loie Fuller, Isadora Duncan e Ruth Saint-Denis sono state tre grandi coreografe americane della danza moderrna. La danza accademica in quegli anni era al suo massimo splendore. Essa era spirituale, eterea, la danza moderna era più fisica e materiale. Molti linguaggi hanno influenzato notevolmente tutti gli stili di danza, specialmente in questo nostro periodo. 

Quali sono le doti maggiori per diventare dei grandi danzatori?

Sicuramente l’umiltà. Sembrerebbe scontato, ma questa prerogativa è fondamentale. Fiduciosi nell’insegnante e pronti ad apprendere i segreti del palcoscenico. La grande forza di volontà e di sacrificio. Abbiate la voglia, non solo di danzare, ma di rimanere in un ambiente artistico. Noi danzatori facciamo una delle professioni più belle ed invidiabili che una persona possa desiderare. 

Secondo te, quali sono le qualità che un giovane danzatore dovrebbe possedere per diventare degno di questo nome?

Le qualità necessarie sono, a parer mio, avere una buona base accademica, aver danzato in compagnie professionali, almeno per qualche anno e conoscere i vari stili di danza. Possedere un solido repertorio ed essere consapevoli che gli allievi sono persone e non solamente numeri. Donare veramente i propri segreti per arricchire gli allievi di strumenti per la loro crescita professionale. Questo dovrebbe essere la partenza per avere un livello professionale e competitivo. 

Cosa è riuscita a regalarti la danza?

 

La danza è riuscita a regalarmi il mio modo di essere, scoprire la mia vera natura, l’incontro con me stesso. Questa nostra natura ci impone dei grandi sacrifici, siano essi fisici che familiari ed anche in maniera molto diretta. E’ un modo di vita che ci insegue. Ho provato a cambiare, sempre nel campo artistico ovviamente, ma sono sempre rientrato nel mondo della danza ancor più prepotentemente, senza accorgermene. Quest’arte ci insegna molto, dal savoir faire, alla gentilezza, all’amore per il bello e ci regala emozioni e momenti di grande intensità, entusiasmo e di riconoscenza che il pubblico ti sa sempre ricompensare.

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