Sylvia: grande ritorno al Teatro alla Scala e il debutto di Alice Mariani.

di Nives Canetti
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“Sylvia” di Léo Delibes con la coreografia di Manuel Legris, ripresa dall’originale ottocentesca di Merante, e le scene e i costumi di Luisa Spinatelli, ritorna alla Scala dopo la sua prima trionfale comparsa nel dicembre 2019, e l’ho rivista in una serata di grazia di tutta la compagnia in occasione del debutto di Alice Mariani nel ruolo principale.

Per chi non la conosce, piccolo ripasso della trama: il pastore Aminta devoto ad Eros si innamora di Sylvia, ninfa di Diana che rifugge l’amore perché dedita solo alla caccia. Lei, su istigazione di Diana, gli tira una freccia, lo uccide, Eros lo risuscita e colpisce Sylvia con una freccia che a questo punto si innamora di Aminta. Ma arriva il cacciatore Orione che la brama e la rapisce. Fine primo atto. Secondo atto: nella caverna di Orione, Sylvia fa bere il cacciatore fino allo sfinimento e scappa rifugiandosi da Eros che la riporta da Aminta. Fine secondo atto. Terzo atto: festeggiamenti bacchici e divertissment di Sylvia e Aminta riuniti. Orione arriva e affronta Aminta e Sylvia la quale implora l’aiuto di Diana che uccide Orione. Diana sulle prime non vuole assecondare la sua ninfa nel suo amore per Aminta, ma poi si ricorda del suo amore per Endimione anche lui pastore e benedice l’unione. E vissero felici e contenti.

La trama come si vede è un po’ arzigogolata ma l’ambiente mitologico e la numerosità dei personaggi permettono di sviluppare una drammaturgia divertente e per nulla noiosa. E in questo Legris ha colto perfettamente l’occasione per dare tutto lo smalto alla sua “Sylvia” ricostruendo e creando un raffinato tripudio della danza classica nella sua accezione più francese negli adagi e italiana negli allegri.  Un balletto da cui si esce con gli occhi pieni di gioia, di allegria, di colori. Tecnicamente complesso e faticoso, pieno di passi (alla Nureyev), di intrecci coreografici dei gruppi, non se ne percepisce la difficoltà perché la coreografia scorre fluida e morbida. I passi sono tanti ma estremamente musicali e l’uso delle braccia è meraviglioso, parlano da sole.

La musica di Delibes è brillante, sempre diretta magistralmente da Kevin Rhodes, maestro che unisce l’arte di una direzione limpida, smagliante e piena di coloriture, ad una capacità di mettersi in contatto con i ballerini in scena, tenendo i tempi giusti per loro e per la partitura. Quasi un mago.

Veniamo al cast: al suo debutto nel ruolo di Sylvia come dicevo c’era Alice Mariani. Arrivata da Dresda dove era prima ballerina, e ora alla Scala come solista, è una ballerina splendida, estremamente musicale ed espressiva. Segue perfettamente le sfumature caratteriali del ruolo così diverse nei tre atti, riuscendo ad essere autoritaria e un po’ Walkiria nel primo atto, seduttiva nel secondo e perdutamente innamorata nel terzo. Dal punto di vista tecnico è precisa, molto pulita, ha la caratteristica di superare le difficoltà tecniche con nonchalance, in grande sintonia con la partitura. Il suo Pizzicato è stato un ricamo con tutti gli accenti giusti e bellissime sfumature grazie alle quali riesce a far suoi i passi, mentre i passi a due con i vari partner sono sempre stati affrontati con sicurezza (anche la presa un po’ tanto acrobatica del secondo atto con Eros che la solleva da sotto la gonna portandola in arabesque in alto a braccia tese)

Per il resto hanno tutti ballato bene la loro parte: dalla giovane Camilla Cerulli, che debuttava nel ruolo della Naiade, anche lei tecnicamente forte e sicura (era stata una brillante seconda ombra in Bayadère) a Rinaldo Venuti, altro italiano all’estero rientrato dal Polish National Ballet, che è stato un fauno degno di Walpurgisnacht (cui sicuramente Legris si è ispirato in coreografia).

Ottimi la Diana di Alessandra Vassallo (grandi jeté) e l’Eros di Mattia Semperboni (batteria notevole), entrambi due certezze scaligere. Marco Agostino è stato un Aminta preciso equilibrato e signorile, Gabriele Corrado Orione impetuoso, decisamente poco sobrio nel secondo atto e con elevazioni notevoli. Brillanti anche i tre contadini Antonella Albano, Francesco Mascia e Alessandro Paoloni.

Un plauso al corpo di ballo che in un periodo di grande impegno e nonostante le varie difficoltà, ha saputo riprodurre la freschezza del debutto di questo balletto che esige una verve speciale da parte di tutti.

Insomma ho rivisto Sylvia con grande piacere, e anche nel foyer all’intervallo c’era grande entusiasmo, sia tra chi non lo aveva ancora visto e chi era tornato a rivederlo: dopo due anni e mezzo decisamente difficili, è stato un momento di grande sollievo.

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