Lia Courrier: “Oggi parliamo di braccia. Come si usano nella danza? Come le si percepisce all’interno del nostro corpo?”

di Lia Courrier
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Oggi parliamo di braccia.

Molti allievi le considerano delle strane e inutili protuberanze che si prolungano a partire della spalle e che molto spesso sono d’impiccio perché non si sa bene cosa farne, come e quando muoverle: ecco, proprio quelle lì.

In verità sanno benissimo quanto gli arti superiori siano importanti per una buona gestione del movimento e per la componente espressiva, ma esistono molti condizionamenti e idee preconcette che rendono gambe e piedi indiscussi sovrani del balletto; di conseguenza molte energie fisiche e mentali vengono spese per servire i monarchi.

Quando si affronta un lavoro sulle braccia sarebbe meglio sempre indicarle come parte superiore del corpo perché il sostegno di cui le braccia hanno bisogno non proviene dalle braccia stesse bensì dalla collaborazione di diversi comparti che coprono un’area molto estesa. Le forze biodinamiche che percorrono la parte superiore del corpo non hanno un andamento lineare, come accade per gli arti inferiori dove, ad esempio, in posizione statica eretta le forze gravitazionali provenienti dall’alto vengono trasmesse dall’acetabolo al femore, da lì alla tibia, con il sostegno del perone, per dirigersi infine verso il piede. Per la parte superiore del corpo la questione si fa un po’ più complessa e comprendere il tragitto di queste forze è importante per individuare il luogo del corpo da cui le braccia poi possono trarre forza e sostegno.

Immaginiamo un giocatore di baseball che intercetta nel suo guantone una palla ad alta velocità. Nel momento dell’impatto della palla con la mano guantata, le forze vengono trasmesse attraverso le ossa della mano al magico duo composto da ulna e radio. Da lì attraversano il gomito e percorrono tutta la lunghezza dell’omero per giungere alla glena della scapola che è il punto in cui l’omero si articola con la scapola, luogo in cui anatomicamente prende vita l’articolazione della spalla. Una volta giunte alla scapola, queste forze di collisione percorrono il margine esterno della scapola, fino all’angolo inferiore, per poi risalire lungo il margine mediale e da lì scorrono attraverso la spina della scapola (una lamella ossea che percorre orizzontalmente la scapola, perpendicolarmente alla sua superficie) contattano la clavicola nell’articolazione acromio-clavicolare (unico punto di connessione tra scapola e clavicola). Dalla clavicola le forze vengono trasmesse poi allo sterno, che suddivide il carico comunicando con ogni costa e da lì, attraverso queste ossa a forma di manico di secchiello, queste forze arrivano infine alla colonna vertebrale, con cui le coste intrattengono delle relazioni articolari. Dalla colonna vertebrale poi ovviamente scendono verso il bacino e da lì alle gambe per scaricare a terra. Così avviene che la potente collisione della palla nella mano non viene assorbita e dissipata dalla mano stessa ma da tutto il corpo.

Il caso della danza prevede direzioni diverse delle forze biodinamiche, rispetto all’esempio del giocatore di baseball, poiché si tratta di azioni meccaniche del tutto differenti. L’esempio dato mira essenzialmente ad evidenziare la natura olistica del nostro corpo e comprendere in che modo possiamo cercare il sostegno delle braccia a partire dalla colonna vertebrale, precisamente dalla colonna lombare, dal centro, insomma. Possiamo teorizzare quindi che se consideriamo l’origine anatomica delle braccia nell’articolazione scapolo-omerale, quella energetica va cercata nel centro, origine comune con gli arti inferiori, ed è proprio in virtù di questa condivisione che avere consapevolezza e controllo del proprio centro permette di far dialogare la sfera superiore e quella inferiore con grande coordinazione, armonia e fluidità.

Bisogna precisare che l’appoggio che questo centro ci fornisce non è dato solo dalle ossa e dal core, ossia da quel comparto di muscoli che avvolge il centro del corpo come un corsetto, ma anche dal supporto degli organi interni, considerati da molti (almeno da chi non ha mai avuto esperienze con le pratiche somatiche) come passeggeri di un auto che non hanno alcun ruolo se non quello di starsene lì fermi a farsi trasportare fino all’arrivo a destinazione. Il sistema degli organi occupa un posto, ha un volume, un peso e una consistenza che dona loro la capacità non solo di supportare il corpo in movimento ma anche di dargli una particolare qualità, di questo non dovremmo mai dimenticarcene.

Ma torniamo alle nostre braccia.

Un’altra faccenda annosa che riguarda la postura di questa parte del corpo è il posizionamento delle scapole. Come abbiamo visto le scapole si connettono al tronco solo ed esclusivamente attraverso l’articolazione acromio-clavicolare, quindi godono di una grande libertà di movimento ed è proprio per questo posizionarle correttamente richiede un certo impegno. Qui la peculiarità specifica di ogni corpo gioca un ruolo importante perché la morfologia delle ossa può rendere più o meno difficile sviluppare consapevolezza e controllo in quest’area. Quello che posso dire, partendo proprio da anatomia e  fisiologia, è che le scapole hanno questa bella forma a triangolo con la punta che guarda in basso, come due frecce che puntano in una direzione ben precisa, che è esattamente quella da seguire.

Possiamo quindi far ricadere naturalmente le scapole verso il basso cercando di farle aderire alla gabbia toracica ma senza bloccarle e allo stesso tempo allontanarle dalla colonna vertebrale. Per ottenere un movimento tridimensionale, è necessario agire sul davanti muovendo la clavicola, osso decisamente sottovalutato che forma con la scapola un’unità funzionale, ossia non è possibile muovere l’una senza muovere anche l’altra. Percepire quindi la direzione orizzontale delle clavicole che, come un puntello, allontanano le spalle dalla linea mediana, può aiutare a posizionare correttamente le scapole. La forza muscolare per compiere tutti questi movimenti non va cercata nello spazio al di sopra ma in quello al di sotto delle braccia, quindi non useremo trapezio superiore o deltoide, ad esempio, ma punteremo piuttosto alla porzione inferiore del trapezio, al gran dorsale, al pettorale e più in profondità al sottoscapolare e al piccolo rotondo, per stabilizzare la scapola e permetterle di divenire non solo luogo di transizione delle forze ma anche supporto.

Elencare tutti i muscoli che vengono contattati e attivati per il mantenimento della postura delle braccia comporterebbe la formulazione di una lista infinitamente lunga e noiosa, quindi mi fermo qui, la cosa importante non è tanto compiere speculazioni da nerd dell’anatomia ma fare esperienza somatica di cosa voglia dire percepire le braccia integrate nel sistema e garantire supporto e sostegno a questa parte del corpo in modo che possa liberamente esprimersi attraverso la danza. Quando le braccia sono correttamente sostenute non avremo bisogno di contrarre il viso, il collo, le spalle o le mani, parti del corpo che potranno essere mantenute con una certa naturalezza e funzionali ad alcuni movimenti (la rigidità al collo è nemica delle pirouettes, per esempio).

Ancora una volta diventa cruciale comprendere che l’estetica del movimento non è un adesivo che si può attaccare dall’esterno ma va cercata nelle ragioni profonde che muovono il corpo. Una buona consapevolezza somatica è decisiva per fare chiarezza nell’organizzazione interna del movimento e nel creare percorsi e dialoghi interni che poi possano portarsi in superficie. Questo non vuol dire che l’estetica del movimento non sia importante ma è necessario che questa emerga dalla consapevolezza e da una chiara visione. Quando il percorso di ricerca è dall’interno verso l’esterno il risultato sarà esteticamente appagante, poiché l’armonia dell’insieme e la presenza consapevole renderanno quel gesto unico e significativo.

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