Lia Courrier: “Il dramma dell’en dehors”

di Lia Courrier
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“L’en dehors completo prevede una rotazione esterna della gamba di 90 gradi ed è severamente richiesto nel ballerino”

Questo scrive Agrippia Vaganova nel suo manuale.

Nelle Accademie di Ballo di tutto il mondo gli allievi vengono sottoposto a rigide selezioni che riguardano il corpo fisico, per verificare la presenza di questo tipo di abilità (innate, bisogna dirlo) ma la maggior parte di noi insegna a persone che non le possiedono. Una mobilità così estrema delle articolazioni coxo-femorali è presente in una piccola percentuale di individui: nonostante i video su instagram in cui i danzatori mostrano numeri da contorsionismo per la maggior parte delle persone si rimane tra i 60 e i 70 gradi di rotazione massima possibile. Questa caratteristica, infine, è strettamente necessaria solo nel caso in cui si ambisca a diventare ballerini classici, perché tutti gli altri linguaggi coreutici tendono ad accogliere la diversità dei corpi come una ricchezza e non come un’anomalia.

Potrei scrivere un volume intero su quanto possa essere dannoso, per un corpo che non possiede questo tipo di elasticità, forzare la rotazione a 180 gradi. Il nostro corpo è un’unità olistica e quando subisce un trauma o viene sottoposto a una sollecitazione innaturale eccessiva  e prolungata nel tempo, è l’intero sistema a prendersi carico di riassorbire il sovraccarico di forze. Questo vuol dire che gli effetti nefasti sulla struttura muscolo-scheletrica, forzando l’en dehors oltre la soglia consentita da quello specifico corpo, non si verificheranno solo nell’area interessata, ma si manifesteranno su tutta la colonna vertebrale, nell’equilibrio delle sue curve naturali, fino ad arrivare a compromettere l’appoggio plantare.

Quando non si possiede naturalmente una rotazione esterna così estrema come quella che il balletto richiede, non è continuando a forzare che la situazione potrà cambiare, anzi: il corpo si sentirà minacciato da questa forzatura e sceglierà di mettere in atto una serie di risposte difensive per minimizzare i danni. Magari potrete vedere l’allievo con i piedi perfettamente ruotati verso l’esterno, ma ad una osservazione più attenta del resto del corpo, potrete vedere le azioni compensatorie attuate nel tentativo di mantenere una posizione innaturale. L’en dehors o ce l’hai oppure no, non c’è modo di aumentare la mobilità, ma si può fare un lavoro intelligente educando il corpo a compiere l’azione giusta, qualunque sia il risultato finale. Questo vuol dire che un allievo che esegue in modo corretto l’azione tecnica della rotazione esterna delle gambe magari non appoggerà i piedi su un angolo di 180 gradi, ma sfrutterà al massimo lo spazio che possiede in quella particolare articolazione. Sarà perfettamente radicato e l’allineamento delle articolazioni della gamba, nonché del corpo intero, verrà mantenuto con consapevolezza, in modo stabile e omogeneo lungo tutta la gamba: dalla testa del femore al piede.

Bisogna fare attenzione quando correggiamo manualmente questo aspetto, perché se continuiamo a suggerire la rotazione esterna manovrando i piedi dell’allievo, la memoria che andremo a costruire sarà che quel movimento avviene nei piedi, mentre invece se aiutiamo toccando il luogo esatto in cui si trovano i rotatori del femore, in quel momento staremo promuovendo una corretta propriocezione del luogo preciso in cui quel movimento avviene.

Tante, troppe volte vedo immagini di insegnanti che correggono, ad esempio, un développé alla seconda afferrando il piede dell’allievo e ruotandolo alla ricerca dell’en dehors perduto, senza alcun rispetto – tanto per cominciare – del ginocchio che si trova lì in mezzo e senza supporto alcuno. Personalmente penso che il miglior modo di correggere quella posizione sia di stare dietro all’allievo, con una mano che tocca la parte interna del ginocchio (inserzione del sartorio) e l’altra nella parte posteriore dell’attaccatura delle gamba, suggerendo (e non spostando arbitrariamente) il movimento corretto da fare su entrambe le gambe e non solo su quella sospesa, lasciando che sia lui stesso a trovare la forza nel punto giusto. Stessa cosa vale anche per l’arabesque in cui è sempre preferibile evitare di agire solo sul piede, dando supporto anche al ginocchio. Le mani toccano precise parti del corpo per offrire un feedback sensoriale utilissimo che aiuta l’allievo a non focalizzarsi solo sui piedi ma a comprendere che bisogna investire forza di volontà e impegno in tutto il corpo per permettere questa condizione costante di rotazione esterna dei femori, così innaturale per molti.

Esiste un enorme conflitto attorno alla questione dell’en dehors, molti insegnanti provenienti dall’ambito accademico sono portati ad applicare la regola scritta da Vaganova alla lettera, anche su corpi che non hanno quel tipo di caratteristica. Questo approccio dogmatico, se protratto a lungo, non solo sedimenterà schemi motori e psichici errati, poi molto difficili da modificare, che potenzialmente potrebbero danneggiare anche pesantemente il corpo degli allievi in molti modi e aree, ma contribuirà a costruire l’idea errata che chi non possiede questa capacità (che si ha per genetica, beninteso) non potrà mai essere un danzatore o sarà un mediocre danzatore. Quest’applicazione dei principi del balletto è motivo di cruccio per molti giovani e talentosi danzatori in erba, che a seguito di questa trasmissione non corretta delle informazioni si sentono respinti dal balletto, se non dalla danza in toto. A meno che non si stia insegnando in una Accademia di Ballo, con corpi selezionati, bisogna forse mettere i dogmi da parte e immergersi nello studio dell’anatomia variabile, della fisiologia, per permettere ad ogni studente di poter eseguire i movimenti correttamente e senza rischi per le articolazioni. Bisogna anche forse superare certi preconcetti che spesso impediscono agli insegnanti di dare valore ad ogni allievo.

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