La musica e la danza nel Novecento

di Elio Zingarelli
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“Non riesco assolutamente a comprendere cosa voi intendiate con ciò che chiamate musica per balletto e per questo non vi garbi. Intendete dire che la mia musica è scritta nello stile di Minkus e di Pugni?”

Così Pëtr Il’ič Čajkovskij, il compositore che ha cambiato la storia della musica per balletto, risponde al critico che ha definito la sua Sinfonia n. 4 (1877) simile alla musica per danza. Ad incrocio con questa composizione, Čajkovskij scrive la musica de Il lago dei cigni rappresentato per la prima volta nel 1877 al Teatro Bol’šoj di Mosca. Invece nel 2001, Maurice Béjart per lo spettacolo Lumière sceglie alcune canzoni di Jacques Brel. Cosa è successo in questi anni?

Agli inizi del Novecento Michail Michajlovič Fokin afferma:

“Contrariamente al vecchio balletto il nuovo non richiede musica da balletto come accompagnamento alla danza.”

Il coreografo accetta musica di ogni tipo “purché sia buona ed espressiva.” L’inizio di una nuova epoca. Nel 1905 Fokin crea La morte del cigno per Anna Matveevna Pavlova su un brano musicale di Camille Saint-Saëns, Il cigno, da Il carnevale degli animali (1886). È un assolo breve che unisce tradizione e modernità: il cigno, che è un simbolo romantico per eccellenza, il tutù, le scarpe da punta e insieme una scena neutra, una musica non scritta per balletto, un solo tema ovvero un cigno che muore e che accenna movimenti non presenti fino ad allora nella grammatica della danza accademica. Da questo momento ogni scelta musicale sembra possibile.

Johann Sebastian Bach è forse il compositore più disturbato dai coreografi. La musica del compositore tedesco guarda al passato e nel contempo inaugura un presente influenzato dall’antica Ars Retorica per cui è importanti la compostezza e il movimento del corpo, la mimica e soprattutto i gesti. In Bach la danza è ovunque: suite, partite, sonate, concerti, oratori, variazioni.

Georgij Melitonovič Balančivadze (meglio conosciuto come George Balanchine) usa il Concerto in Re minore per il suo lavoro Concerto Barocco (1949) in riferimento al quale afferma:“la sola preparazione per questo balletto è la conoscenza della partitura sulla quale hai danzato.”

Heinz Spoerli per Goldberg-Variationen (1993) si ispira alle Variazioni Goldberg che Bach compone tra il 1741 e il 1745. Anna Teresa de Keersmaeker usa I sei concerti Brandeburghesi (dal 1717 al 1723) per la sua coreografia omonima (2018).

Invece John Neumeier per La Dame aux camélias si affida alla musica di Fryderyk Chopin. Il compositore polacco è a Parigi al tempo in cui vive Alfonsina Duplessis, ovvero la vera traviata che poi diventa Margherita in Alexandre Dumas figlio e Violetta in Verdi, e muore di tisi esattamente come la protagonista.

Jiří Kylián, esteta e “musicista” oltre che coreografo, per il suo capolavoro, Petite Mort (1991), opta per i concerti K.488 (1786) e K.467 (1785) di Wolfgang Amadeus Mozart.  Il coinvolgimento del genio della musica non sembra inappropriato giacché Stanley Sadie nella biografia di Mozart sostiene che la prima apparizione pubblica del compositore è nel 1761, in qualità di danzatore in una recita scolastica quattro mesi prima del suo esordio come musicista prodigio. Che strano! Quasi a dire che le prime ispirazioni artistiche di Mozart abbiano a che fare con la danza. Il tema del balletto di Kyliàn è la petite mort, ovvero quella morte che non è definitiva, quella perdita dei sensi che si avverte quando si è molto felici, in unione con un altro corpo: l’orgasmo. Una componente sensuale e sessuale presente anche nella musica che Čajkovskij scrive per il II atto del Lago, e che Marius Petipa fatica a cogliere a dispetto del suo collaboratore Lev Ivanov, omosessuale come il compositore, e che infatti sarà il coreografo dei due atti bianchi del balletto.

Ritornando al compositore austriaco, l’adagio del concerto K.488 viene scelto anche da Angelin Preliocaj per il passo a due finale del balletto Le parc (1994) ove dopo un’ora e mezza dall’inizio dello spettacolo, su un Re acuto liberatorio arriva finalmente il bacio volante tra i due protagonisti.

Differente è il percorso di un altro pezzo iconico del Novecento: il Bolero di Maurice Ravel. In America il compositore incontra Ida Rubenstein che gli chiede di comporre una musica per una “danza Spagnola”. Nel 1928 Ravel scrive il Bolero come musica per danza anche se oggi siamo abituati a sentirlo in esecuzione sinfonica. Ravel cerca di sminuire la fama della sua partitura che presenta un modulo ritmico su cui i due temi, il primo introdotto da un flauto e il secondo da un fagotto, si ripetono a coppie per nove volte seguiti da una coda tematica.Tra tutte le versioni coreografiche, la più memorabile e rappresentata sui palcoscenici del mondo è quella di Bèjart, coreografata nel 1961 per i Ballet du XXème Siècle. C’è una perfetta corrispondenza tra partitura musicale e coreografia.

Scrive Béjart:

“Una melodia, simbolo femminile morbido e caldo, di una inevitabile unicità si avvolge senza posa su sé stessa, un ritmo maschile che pur restando lo stesso va aumentando di volume e intensità, divora lo spazio inghiottendo infine la melodia”.

Una donna o un uomo (in realtà anche uomo e donna insieme come nel caso di Marcia Haydée e Richard Cragun con The Stuttgart Ballet), danzano seducendo tutti gli altri che sono seduti attorno e si uniscono man mano che il volume dell’orchestra cresce.

E come un crescendo ricco di variazioni si configura, oggi, il rapporto tra danza e musica. Sembra non esserci alcun freno che possa limitare la libertà dei coreografi nella scelta dei brani musicali. Scelte che a volte fanno gridare allo scandalo perché indifferenti alle intenzioni dei compositori, alterate, tradite o ignorate. Pertanto, possiamo almeno sperare che queste infedeltà generino dei capolavori come quelli del Novecento.

Crediti fotografici: La Dance Emotions

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