I gioielli di Balanchine brillano alla Scala: corpo di ballo, solisti, primi ballerini in forma smagliante

di Nives Canetti
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Salendo le scale della galleria e sentendo i discorsi intorno a me, mi sono chiesta quante persone del pubblico alla Scala non avessero mai visto Jewels. Vero è che ad ogni apertura di sipario si sentiva nettamente un sommesso e meravigliato “wow” dalla sala. Ed era davvero bello sentire un pubblico vivo, che freme di stupore, soprattutto di questi tempi.

E ce ne sono state tutte le ragioni perché Jewels è un capolavoro di altri tempi eppure attualissimo: tre stili completamente diversi, francese, americano e russo e tre scelte musicali incredibili su cui Balanchine cuce coreografie perfettamente calibrate per non invadere la musica. “See the music, hear the dance”.

In effetti rivedere Jewels dopo otto anni è stato un piacere vero; l’ultima volta lo ricordo con Semionova e Vogel étoiles in Diamonds , e con Vasiliev in Rubies (così fuori ruolo e in serata no che non riuscivo a vedere tutto il resto. Nota, la danza è cattivissima, non so se capita anche a voi, ma se c’è qualcosa che non va in scena, a me l’occhio si incolla lì).

Oggi invece, grazie alle scelte di Manuel Legris, è stata data la possibilità di vedere diversi cast scaligeri (ho visto i primi due), con scambi di ruolo, conferme, debutti e nuovi giovani di cui parlare. Manca il carisma delle grandi étoiles internazionali che danno certamente allure alla scena, qualcuno forse avrà storto il naso, ma decisamente ce ne facciamo una ragione.

Il corpo di ballo è smagliante, soprattutto in Rubies e in Diamonds. Più difficile da affrontare Esmeralds, dove l’atmosfera rarefatta e leggerissima è stata un po’ spezzata dalle espressioni sorridenti stampate sulle facce del corpo di ballo. Ma lo stile morbido e impalpabile che ricalca la musica liquida di Fauré c’era eccome. E nel procedere delle recite tutto è diventato anche più fluido. Belle tutte le coppie principali, molto lirici Vittoria Valerio e Claudio Coviello, splendida la Mariani. Bene Semperboni e Fagetti nei pas de trois.

Rubies è per me ogni volta una scoperta. In effetti è particolare che a rappresentare lo stile del balletto americano ci siano voluti due russi come Balanchine (ok era georgiano) e Stravinsky, immersi nella cultura d’oltre oceano tanto da esserne maestri di stile, raffinandola e dandole grande classe.

E alla Scala Rubies è stato entusiasmante: linee precise e verve da musical per il corpo di ballo, brillanti tutti i solisti con una particolare attenzione alla “ragazza alta” di Maria Celeste Losa, a Coviello decisamente in forma, a un’esuberante Virna Toppi, e a Domenico di Cristo con i movimenti jazzati molto naturali al debutto con una Agnese di Clemente che ha preso sicurezza con il passo a due nelle varie recite.

Diamonds è il trionfo del balletto imperiale russo ma rivisto da Balanchine in chiave attualizzata, ad esempio con i suoi off balance elegantissimi. È da vedere dalla galleria per poter apprezzare gli incroci delle linee che cristallizzano i diamanti disegnati dalle ballerine nel primo movimento alla tedesca della terza sinfonia di Tchaikovsky (in realtà musicalmente sarebbe il secondo, Balanchine non ha coreografato il primo). Il passo a due sull’Andante elegiaco (gli andanti di Piotr Ilic sono per me tra le prime ragioni di vita) è il più elegante in assoluto che io conosca. Il profondo rispetto nei confronti della ballerina e la regalità che le si attribuisce è quasi commovente in questi tempi odierni in cui nella vita reale dobbiamo spesso affrontare maschi tendenzialmente buzzurri (eheheh). E Nicoletta Manni con Timofej Andrijashenko qui sono stati meravigliosi, imperiali: forse è necessaria più velocità nei momenti solistici del terzo movimento (la cui musica mi ha sempre evocato una nevicata a San Pietroburgo). E qui ho trovato molto giusta Martina Arduino.

La polacca è il degno finale di un balletto strepitoso che, grazie al coinvolgimento di tutta l’orchestra e di 16 coppie in scena, ti riempie gli occhi di una bellezza maestosa non fine a sè stessa ma piena di gioia.

A pensarci bene, peccato che Mr B. non abbia voluto coreografare Sapphires, ci sarebbe stato così bene anche il blu.

Alla fine bravi tutti, neanche sembra che i ragazzi abbiano dovuto passare due anni da incubo di Covid, chiusura della sala, sbarre a casa, distanziamenti, prove con mascherine e cambi cast. Grande successo di pubblico.

E ora alla Scala arriverà il Gala Fracci, un’altra occasione per mettere in luce i nostri jewels scaligeri e per mostrare brani di balletti direttamente legati alla gigantesca figura della Fracci. Aspetto con grande interesse di rivedere la Strada, Cheri, La Peri, La Vedova Allegra, soprattutto perché sono balletti che si vedono molto poco in giro.

Ma poi se ben guardo, tutta la serata avrà il fascino di un evento imperdibile.

Da vedere rannicchiata in galleria e da commentare, con passione, nel foyer all’intervallo.

Crediti fotografici: Brescia e Amisano

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