Lia Courrier: “Vogliamo davvero cancellare dalla storia del mondo tutto ciò che i russi hanno fatto? Vi pare una cosa giusta?”

di Lia Courrier
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Léon Baskt (Lev Schmule Rozenberg), Marc Chagall (Mark Zacharovič Šagal), Pëtr Il’ič Čajkovskij, Vassily Kandinskij, Dmítrij Dmítrievič Šostakóvič, Boris Leonidovič Pasternak, Natalija Romanovna Makarova, Fëdor Michajlovič Dostoevskij, Sergej Pavlovič Djagilev, George Balanchine (Georgij Melitonovič Balančivadze), Michail Nikolaevič Baryšnikov, Vladimir Vladimirovič Nabokov, Anton Pavlovič Čechov, Andrej Arsen’evič Tarkovskij, Tamara Platonovna Karsavina, Lev Abramovič Dodin, Igor’ Fëdorovič Stravinskij, Modest Petrovič Musorgskij, Sergej Vasil’evič Rachmaninov, Anna Matveevna Pavlova, Rudol’f Chametovič Nureev, Sergej Sergeevič Prokof’ev, Michail Afanas’evič Bulgàkov.

Sono solo alcuni dei nomi che mi vengono in mente, andando a memoria perché conosco la loro arte o le loro opere, provenienti da quella parte del mondo che oggi sembra proprio si voglia eliminare. La lista potrebbe essere molto più lunga, ma dal momento che io, nella mia assoluta ignoranza, non sono in possesso di una conoscenza tanto ricca nella cultura russa, lascio a voi lettori il compito di completarla con i nomi di tutti quegli uomini e donne straordinari che nei secoli hanno donato ai posteri importanti lasciti.
È di questi giorni la notizia che gli artisti del corpo di ballo del National Opera of Ukraine hanno ricevuto una telefonata che ha intimato loro di cancellare le date de “Il Lago dei Cigni” dalla loro tournée, dal momento che l’autore è un compositore russo. Al posto di questo balletto sarà portato in scena “Giselle”, di un più rassicurante autore francese: Adolphe-Charles Adam.

Questa è l’ennesima operazione di quella che viene chiamata “cancel culture”, per usare uno di quegli inglesismi che trovo così detestabili, che segue la cancellazione del ciclo di lezioni a cura di Paolo Nori su Dostoevskij; il cambio di nome dell’evento della Space Foundation “Yuri’s night” , dedicata a Yuri Gagarin, il primo uomo nello spazio, ribattezzata “A Celebration of Space: Discover What’s Next” (è stato scritto molto per giustificare questa scelta ma di fatto il nome del primo astronauta nello spazio è scomparso dalla serata a lui dedicata, e addirittura una sua statua commemorativa in Lussemburgo è stata coperta “per evitare tensioni in questo momento, ma anche vandalismi”); persino lo stesso Putin si è visto revocare la cintura nera onoraria di 9° DAN, come artista marziale, dal World Taekwondo.

Non so se anche voi, come me, trovate tutto così incredibilmente grottesco, ma io davvero mi chiedo dove si pensa di andare seguendo questo tipo di approccio al problema, che non è evidentemente di alcun aiuto alla risoluzione del conflitto, anzi, getta benzina su un fuoco che potrebbe accendersi in una polveriera pronta ad esplodere. Vogliamo davvero cancellare dalla storia del mondo tutto ciò che i russi hanno fatto? Vi pare una cosa giusta?

Un nome su tutti, però, occupa il primo piano nella mia mente: Agrippina Jakovlevna Vaganova.

Senza di lei il balletto non esisterebbe neanche, per come lo conosciamo e insegniamo tutti i giorni, in ogni angolo del mondo. Questa donna straordinaria crebbe artisticamente al Teatro Marinsky, dove era conosciuta come “la regina delle variazioni”, sebbene il suo riconoscimento con il titolo di prima ballerina arrivò tardivamente, a poca distanza dal suo ritiro dalle scene. Agrippina Vaganova, in prossimità del ritiro, affrontò un periodo di riflessione sull’efficacia delle proprie competenze tecniche, con sguardo critico e approcciandosi alle altre due grandi scuole dell’epoca, quella francese e quella italiana di Enrico Cecchetti. Da questo periodo di grandi approfondimenti e intuizioni riuscì a sintetizzare un connubio tra la scuola italiana e quella francese: questo accadde negli anni 20 del ‘900. Entro un decennio il risultato del suo lavoro appassionato si poteva vedere nella danza e nei corpi degli allievi che avevano studiato con lei, tra cui si ricordano alcune leggende del balletto, in grado di mostrare eccezionale tecnica ma anche grande morbidezza nei movimenti.

Questo metodo pieno di sapienza e saggezza, che porta il suo nome, è condensato nella sua opera letteraria “I Principi della Danza Classica”, pubblicato per la prima volta a Leningrado nel 1934 (anni incredibilmente floridi di grandi menti, quelli), che rimane ancora oggi un testo incredibilmente importante per tutti i ballerini.

Alla luce dei fatti di cui sopra, vedo già giungere il momento in cui bisognerà rinunciare al balletto stesso, perché senza l’apporto che la Russia ha dato a questa arte (nata in Italia ma nomade per natura) è impossibile praticarla. No Agrippina no party. Menomale che almeno i nomi dei passi sono in francese altrimenti non so proprio come avremmo potuto fare lezione, anche se ricordo che un mio Maestro, nato nel 1929, una volta mi raccontò di quando, durante il ventennio fascista, i termini stranieri erano vietati e così i passi di danza venivano nominati con la traduzione letterale dal francese. Così, per dire.
Su uno degli articoli che hanno riportato la notizia della cancellazione del Lago, relativa alla data al teatro Rossetti di Trieste, dove lo spettacolo previsto è stato sostituito da un Gran Gala con musiche di Chopin, Adam, Camille Saint-Saëns, Ludwig Minkus, il titolo riporta questa frase “ma la cultura deve rimanere strumento di dialogo”.
Continuo a trovare tutto questo grottesco all’estremo. Come il soggetto di un film apocalittico.

Per fortuna Franceschini ha stanziato 2 milioni di euro per gli artisti ucraini in Italia, e spero proprio che vadano a supportare anche il teatro ospitante, dal momento che per chi non gradisse questa sostituzione è previsto il rimborso dell’intero costo del biglietto, un aspetto estremamente spiacevole, specie dopo due anni di lavoro quasi assente per tutti i luoghi di cultura. Dal mio punto di vista invece, sarebbe bene che a questo punto i programmatori spostassero le loro attenzioni verso le tante compagnie italiane di danza, da troppi anni assenti nei cartelloni delle stagioni, che non vedono l’ora di portare sulla scena il proprio lavoro e il proprio valore.

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