Lia Courrier: “L’uso della mascherina durante la lezione di danza”

di Lia Courrier
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Si fa un gran parlare degli effetti che l’utilizzo prolungato della mascherina, per tutti questi anni, possa aver provocato nelle nostre percezioni, specialmente nei più giovani.

È ancora troppo presto per poter disporre di ricerche, ovviamente, ma dalle prime osservazioni di professionisti che lavorano con bambini fino ai 3 anni, emergerebbero già dati interessanti su quella che qualcuno ha chiamato “la relazione mascherata”. Il bambino comincia a leggere le labbra di chi gli sta parlando già a partire dagli otto mesi, momento in cui si cimenta anche nelle prime vocalizzazioni e tentativi di comunicare attraverso la voce, chiamato “lallazione”. Da questo momento la capacità di leggere le labbra diventa la risorsa preferita di elaborazione del parlato ogni volta che emergono difficoltà di comprensione. Ciò di cui si ha timore adesso è che, data la prolungata privazione per questi bambini della possibilità di interagire con adulti dal volto scoperto, si possano manifestare difficoltà in questo ambito dell’apprendimento. Non bisogna allarmarsi troppo però, per fortuna siamo esseri resilienti: è stato infatti osservato come la relazione con l’adulto che indossa la maschera non sia compromessa ma solo differente, ossia il bambino andrà a compensare questa mancanza attingendo ad altri canali, come ad esempio il tono della voce, l’espressione degli occhi o i gesti. Si è potuto vedere come, a seguito di un momento di perplessità iniziale del bambino quando la mamma indossa la mascherina, subito dopo riallaccia una normale relazione se la mamma comunica attraverso questi canali di supporto.

Nei bambini più grandi, fino a 3 anni, che frequentano già l’asilo, qualcuno parla di un importante rallentamento nell’apprendimento linguistico, a causa della mancata possibilità di vedere bene i movimenti della bocca di chi sta interagendo con loro. Non tutti sanno quanto l’imitazione della mimica facciale svolga un ruolo fondamentale nell’imparare a parlare, non solo per ciò che riguarda la questione puramente bio-meccanica, ossia dei movimenti necessari per produrre un determinato suono, ma anche per connettere suono e significato, parola ed espressione facciale. A questo fenomeno è stato dato un nome, Covid-delayed speech, ossia ritardo nel linguaggio causato dal Covid, anche se in effetti il problema non riguarda il virus in sé ma la conseguente pratica di indossare la mascherina, forse la dottoressa Jaclyn Theek, Direttrice dello Speech and Learning Institute a North Palm Beach in Florida, avrebbe potuto coniare un termine più appropriato.

Molti osservatori e studiosi però asseriscono che non ci si debba allarmare troppo, perché le famiglie possono attuare delle strategie per minimizzare questi effetti, ad esempio leggendo spesso i libri ad alta voce insieme ai figli, aiutandoli a colmare quel vuoto comunicativo che sperimentano nelle sedi formative. Ci muoviamo, come dicevo in apertura, in un territorio ancora inesplorato ma trovo molto importante parlare di questi contenuti, per avere una visione il più ampia possibile anche su tutte quelle tematiche che potrebbero apparire a prima vista forse meno importanti, meno urgenti ma che sul lungo termine potrebbero fare la differenza.

Per gli adolescenti è tutta un’altra storia. Molti di loro la mascherina l’hanno usata per due anni come scudo, per proteggersi dagli sguardi altrui e celare le proprie emozioni. Credo che quella dell’adolescenza sia stata la fascia d’età che più ha pagato questo periodo, i dati relativi ai giovani che ricorrono a un supporto psicologico la dicono lunga sul prezzo che hanno pagato e probabilmente dovranno continuare a pagare, specie se non saranno supportati adeguatamente da noi adulti. Ora che dispongono della possibilità di togliere la mascherina, infatti, in molti continuano a tenerla persino all’aperto, è diventata per loro come la coperta di Linus. Allo stesso tempo, però, la mascherina è stata anche la causa di un allontanamento reciproco tra gli individui, perché con il volto parzialmente coperto non sempre è facile interpretare le espressioni degli altri e quindi sconforto, timore e incomprensioni hanno creato una distanza sociale prima ancora che fisica. In Giappone, paese che da tempo immemore utilizza mascherine chirurgiche per evitare contagi (le grandi città giapponesi sono quelle con la massima densità di popolazione al mondo, le usano per questo e non per lo smog che, essendo il Giappone un arcipelago, quasi non esiste neanche nelle zone più popolose), da ricerche e interviste è emerso che molti giovani utilizzano la mascherina per proteggersi dagli sguardi altrui o magari per coprire quelle che percepiscono come imperfezioni. Alla mascherina si aggiungono poi lunghe frangette davanti agli occhi e capelli a fare da quinte al viso, ed ecco che la persona può andarsene in giro protetta dagli sguardi altrui.

Siamo solo all’inizio della strada per comprendere gli effetti a lungo termine che gli ultimi due anni lasceranno nella popolazione, ma credo no ci sia nulla da temere se saremo in grado di riconoscere questi comportamenti e trattarli con l’unico rimedio possibile: l’amore.

Anche io nel mio piccolo ho potuto osservare gli effetti che la permanenza prolungata della mascherina sul viso ha avuto sulle mie allieve. Al di là dell’evidente difficoltà di danzare con una limitata possibilità di respirare, che ha avuto pesanti ricadute sulla loro risposta atletica e sulla resistenza (meno ossigenazione), quando abbiamo finalmente potuto toglierle mi sono trovata davanti ad uno spettacolo alquanto bizzarro che ci ha anche divertite molto. Sotto alla mascherina quelle bocche nel tempo hanno cominciato a contrarsi indisturbate, i denti hanno affondato sulle labbra, le lingue hanno fatto capolino, o si sono messe a spingere qua e là contro le pareti interne della bocca. Qualcuno ha anche preso l’abitudine di contare la musica e io di tutta questa attività non ne potevo sapere nulla fino a che non è venuta allo scoperto, così adesso mi trovo con delle fatine leggiadre, linee curate, piedini, manine e braccine al loro posto ma con delle facce che tradiscono la fatica, la concentrazione e lo sforzo.

Le espressioni facciali sono create da centinaia di muscoli, che in questo caso si sono contratti per tanto di quel tempo, senza controllo, da essersi depositati come abitudini, come parte del movimento stesso. Ora non ci resta che lavorare per cercare di riportare consapevolezza in quella zona del corpo che è stata abbandonata a sé stessa e che si è fatta carico di innumerevoli tensioni, portando via la forza da dove serve davvero, perché infine il pubblico paga un biglietto e non credo voglia vedere gli interpreti danzare con quelle facce lì!

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