Lia Courrier: “Il nuovo anno sarà un buon anno per la danza soltanto se riusciremo a vedere le problematiche che affliggono il settore”

di Lia Courrier
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Nello scrivere il primo articolo dell’anno il foglio mi appare più bianco del solito.

Abbiamo l’abitudine di pensare che il nuovo anno sia come usare un gessetto per tirare una riga  oltre la quale tutto ciò che è stato e che non ci piace sparisce magicamente.

Magari fosse così.

La verità è che lo spazio vuoto e pieno di potenziale va creato distruggendo o trasformando il vecchio ormai saturo, anacronistico bagaglio che ci trasciniamo sulle spalle appesantendo il cammino. Per pigrizia o per affetto fatichiamo a lasciar andare non solo l’inutile ma persino ciò che ostruisce il passaggio: far entrare qualcosa di fresco e nuovo in un ambiente da accumulatori seriali è un po’ come mettere il profumo dopo settimane in cui non ci si lava e sperare che funzioni.

Non basta cambiare un numero sulla data per compiere magie.
Non serve attendere il primo giorno dell’anno per essere propositivi e portare azioni virtuose.

Il nuovo anno sarà un buon anno per la danza soltanto se riusciremo a vedere le problematiche che affliggono il settore. Dall’insegnamento alla scena, la danza in Italia sta vivendo una stagione tra le più difficili. I teatri chiudono uno dopo l’altro, vengono abbattuti, trasformati in negozi o ristoranti e questo avviene nel silenzio generale di un paese che evidentemente non sa cosa farsene dell’arte o la cerca con la stessa modalità con cui usa il telecomando per fare zapping davanti ai programmi serali.

Mi è capitato tra le mani un post di Michele Maccagno che inizia così:

“Il teatro deve aver raggiunto un tale punto di degrado nell’immaginario collettivo, deve sembrare così vecchio e inutile che ci viene chiesto perché passiamo le nostre giornate a cercare di tenerlo in vita… ci viene chiesto perché mantenere in vita un fuoco che, secondo chi lo chiede, aspetta solo di essere spento nell’indifferenza generale.”

L’attenzione è rivolta sempre e solo alle grandi realtà o ai grandi nomi, spesso portatori di  tematiche accomodanti e mai di contrasto rispetto al potere costituito. Il pubblico che non frequenta i teatri rimane così nella totale ignoranza rispetto al fatto che la buona danza non si fa solo in quelle sedi.

Il nuovo anno sarà un buon anno per la danza se non si aspetterà solo il primo di gennaio per diffondere e promuovere la danza attraverso i media di massa. Nel giorni attorno a capodanno ci sono stati tantissimi appuntamenti nella programmazione televisiva, la maggior parte cose già viste e riviste però abbiamo visto anche la produzione Scaligera di Coppelia andata in scena nella stagione corrente, finalmente qualcosa di nuovo e diverso dalle solite cose che Rai ci rifila ciclicamente. Credo sarebbe utile avere, almeno a cadenza settimanale, uno spazio per la danza nella programmazione, che non sia limitato solo al balletto ma che spazi anche in altri linguaggi.

Spero proprio che questo 2024 porti bene alle sorti dei corpi di ballo italiani, ci sono state nomine importanti e certamente non si può più ignorare il prestigio che la presenza di una compagnia di ballo può dare all’interno delle fondazioni liriche. Ribadisco però l’importanza di diffondere un’idea di danza più ampia, di cui il balletto rappresenta solo una piccola parte.
Salvare i corpi di ballo non vuol dire salvare la danza italiana, così come trasmettere in televisione sempre e solo balletto non vuol dire diffondere la cultura della danza.

Il nuovo anno sarà un buon anno per la danza se i programmatori si decideranno a inserire nelle proprie stagioni teatrali, nei festival e nelle rassegne la danza con progettualità, intenzione e visione chiara, con la speranza che questo sistema basato sulla politica dello scambio e sul seguire i trend del momento venga interrotto, assumendo un atteggiamento che abbia come unico interesse quello di fare bene alla danza e non solo al prestigio e al potere  personali (per fortuna nel panorama italiano ci sono delle brillanti eccezioni che spiccano sul piattume generale).

Il sistema produttivo della danza, in Italia, non sostiene per nulla la qualità del lavoro poiché le compagnie sono spesso costrette a creare le loro opere in una manciata di settimane, con zero mezzi o quasi, senza la possibilità di pensare in grande, in termini di numero di interpreti, scene e costumi appositamente disegnati e realizzati o la possibilità di collaborare con musicisti e drammaturghi per poter realizzare opere originali, che siano il frutto di un lungo processo creativo e non il risultato di una residenza di pochi giorni. A parte qualche sparuta eccezione, la produzione italiana relativa alla danza è sensibilmente sottotono ripeto ai prodotti che arrivano dal resto dell’Europa, specialmente per la danza contemporanea.

Il nuovo anno sarà un buon anno per la danza se tutti noi, danzatori, insegnanti, programmatori, coreografi, ci impegneremo a proteggere quest’arte in ogni suo aspetto ed emanazione, il che vuol dire studiare, approfondire, conoscere non solo quello che accade oggi nel panorama formativo, didattico e artistico ma anche quello che c’è stato prima, apprezzando e rispettando tutti i grandi maestri e i pionieri che hanno contribuito a creare tutto ciò che noi oggi consideriamo danza. Vuol dire anche essere aperti all’altro, alla collaborazione, abbandonando l’attitudine alla critica e al giudizio a cui ci hanno abituato i social, per capire come la ricchezza della condivisione possa migliorare la qualità del singolo e anche della collettività, a differenza del conflitto e del pregiudizio che divide e inaridisce. Difendere la danza vuol dire anche essere in grado di leggere e interpretare il quadro legislativo che ci compete, capire il ruolo che ogni cittadino ha nella società e quale posto la danza debba occupare, perché – ormai dovreste averlo capito tutti – la credibilità di una figura professionale passa anche dal poter accedere a dei titoli di qualifica ministeriali e dal  contributo alla spesa pubblica che ogni cittadino è chiamato a dare per poter essere considerato parte del tessuto, ossia pagare le tasse. Senza tutto questo si rimane nella sfera del dilettantismo e delle attività da svolgere nel tempo libero e da questa posizione non potremo mai chiedere allo Stato di ascoltarci e di riconoscere il nostro ruolo.

Penso che i buoni propositi non vadano formulati solo nei primi giorni dell’anno ma ogni giorno e per gli anni a venire perché la situazione non è per nulla positiva, lascia ben poca speranza davanti a noi se non agiamo immediatamente e con fermezza.

Qualsiasi tavolo di discussione su questi argomenti arriverebbe già in notevole ritardo, nella situazione in cui siamo non si dovrebbe neanche parlare della necessità di istituirlo ma di una situazione emergenziale in cui non farlo, esimendosi dal mettere in atto un dialogo aperto, colto e continuativo sull’argomento vorrebbe dire non solo lasciare la nave della danza alla deriva ma anche compromettere i sogni di tutti coloro che alla danza si avvicineranno in futuro.
Già adesso la grande maggioranza di giovani che vogliono danzare vanno a cercare la propria strada altrove, di certo non restano qui con tre lavori diversi per potersi permettere di fare uno spettacolo ogni due mesi. Non è così che si può diventare bravi danzatori.

Non ci resta quindi che vivere questo 2024 e sperare che, nonostante le terribili premesse che ogni anno bisesto si porta dietro, sia arrivato a confutare questo pregiudizio.

Buon anno a tutti i lettori di DHN!

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