La Sylfiden: da Filippo Taglioni a August Bournonville nella storia del repertorio

di Massimiliano Craus
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Il primo balletto del repertorio ancora sulle scene oggi è “La Fille mal gardée” di Jean Dauberval del 1789, anno della rivoluzione francese che spodestava i crismi aristocratici ed ecclesiastici appannaggio di quelli più umili di Lise e Colas. A quel tempo la danza viveva della recentissima impronta della riforma di Jean-Georges Noverre e delle sue molteplici conseguenze e sfaccettature. Fino ai primi decenni dell’Ottocento quando la storia cedette il posto alla letteratura ed alle infusioni culturali del nascituro Romanticismo, figlio di un contesto molto diffuso in Europa e che non poteva non essere intercettato dai librettisti del balletto.

Del resto proprio in quell’epoca la danza stava occupando una posizione sempre migliore in termini di credibilità e visibilità ed il filone romantico fu sfruttato appieno in quell’ottica, scrivendo pagine fondamentali della definitiva crescita dell’intero movimento coreutico. Intanto con “La Silfide” di Filippo Taglioni del 1832, titolo che segnerà per sempre la storia del repertorio con la sua prima rappresentazione parigina pioniera sotto svariati punti di vista. Innanzitutto per il libretto ed il soggetto tipico di quegli anni, con una leggenda che sapeva catturare le sensibilità coeve di pubblico e critica. Ed in quelle silfidi si voleva infondere proprio tutto l’armamentario letterario romantico, associando il mondo del balletto agli altri filoni del tempo con esperienze legate indissolubilmente l’una alle altre. E da questi fermenti si ha la genesi delle silfidi di Filippo Taglioni e successivamente di August Bournonville del 1836. I due atti, di cui il primo terreno ed il secondo bianco, hanno segnato il destino di tanti altri successivi balletti immaginati e coreografati negli eterei atti bianchi.

Atmosfere simil-gotiche che tengono il pubblico col fiato sospeso, avvolte dalle tenebre e popolate da personaggi alati, spiriti, anime e similari. Boschi, foreste, cimiteri e vendette paiono solo comparse del personaggio principale del secondo atto bianco di queste storie e leggende: la morte.

Scriviamo in particolare delle due versioni delle silfidi intitolate “La Silfide” di Filippo Taglioni del 1832 e della “Sylfiden” di August Bournonville del 1836, evidentemente figlie della stessa natura con la seconda prevaricatrice sulla prima del coreografo italiano. Il quale aveva deciso di far indossare le scarpette da punta alla figlia Maria nell’intento di dar voce proprio ad uno degli elementi salienti di quel primo Romanticismo: la superiorità della donna al cospetto dell’uomo errante. Eh sì, l’uomo era così incapace di amare che vedeva sfumare o morire la sua donna e/o creatura amata. Un destino incontrovertibile per il James/Albrecht di turno, incapaci di salvare le proprie donne ed i propri sentimenti al cospetto della propria stessa incapacità di amare. Un circolo vizioso che porterà a morire la silfide e Giselle. Un destino scritto a caratteri cubitali nella letteratura del primo Romanticismo e che i quattro coreografi Filippo Taglioni ed August Bournonville, per le rispettivi silfidi, e Jean Coralli a braccetto con Jules Perrot per la loro Giselle non hanno voluto difendere in alcun modo. A difesa strenua della letteratura che tanto piaceva ai lettori in una proporzione che voleva avvicinare ancor più il balletto ai suoi spettatori. E così le punte ai piedi consentiva scenicamente alle ballerine di ergersi al di sopra del partner, sminuendone la figura fisicamente e moralmente in un gioco dei ruoli che vedeva la donna primeggiare in amore ma perdere la vita! E alle punte Filippo Taglioni aggiunse le ali, così da consentire alle silfidi di librarsi in volo e marcare ulteriormente la propria superiorità rispetto all’errabondo James, portatore sano degli infimi valori maschili. Questi accorgimenti meramente scenici significavano tanto nell’immaginario del coreografo, degli artisti, del pubblico e della critica, soprattutto se paragonato a “La Fille mal gardée” del 1789 e di tanti titoli meno letterari di quegli anni. Soprattutto perché per la prima volta ne “La Silfide” si affidava al corpo di ballo un ruolo istituzionale, con costumi di scena identici ed il rispetto gerarchico delle file per le ballerine. Un’evoluzione crescente che si accompagnava alla riforma di Jean-Georges Noverre con l’Illuminismo a braccetto con il Romanticismo in una miscellanea di grande respiro artistico e culturale per il balletto di quegli anni. Con un risultato capace di arricchire la storia della letteratura di danza che ha man mano scompaginato le convenzioni del balletto stesso, trasferendo da Parigi a Copenaghen le sorti delle silfidi in ben che meno di un lustro. Non si può dimenticare del resto il trasferimento coatto delle sorti stesse del balletto, coreografato da Filippo Taglioni nel 1832 sulle musiche di Jean Schneitzhoffer e sull’idea del tenore Adolphe Nourrit che ha poi dato i natali alla silfide interpretata da Maria Taglioni. E quattro anni più in là August Bournonville, dopo aver assistito in prima persona ad una replica del titolo di successo, pensò bene di riprendere quel filone e soprattutto quel balletto con una sua “Sylfiden” composta dalle musiche di Herman Severin von Loevenskjold che interpretò in prima persona nel pas de deux con Lucile Grahn.

Ma chi è la silfide? E’ una creatura alata che compare nei sonni del protagonista scozzese James, promesso sposo di Effie ma invaghito della silfide che compare qua e là per la sua casa. Eh sì, giusto il giorno delle nozze il baldo giovane si fa scoprire intento a danzare invano con la silfide proprio da Effie, dai suoi amici e dalla maga Madge. In quella stessa occasione la maga legge le mani a tutti i presenti e quando giunge il turno di Effie legge ad alta voce che la sua gravidanza sarà dovuta all’amore per Gurn, amico suo e di James. A quel punto il protagonista la caccia via di casa ma la maga gli promette vendetta. Il secondo atto, in realtà il primo atto bianco della storia del balletto, è ambientato in una fitta boscaglia con James alla ricerca della sua silfide fuggita dalla paura di essere scoperta. Qui lo scozzese incontra Madge che gli dona un foulard magico che saprà trasformare la sua silfide in una donna in carne ed ossa. Una volta incontrata tra tante James danza con lei, le copre le spalle con il foulard nel tentativo di renderla umana ma, inaspettatamente, si accorge che invece le sta tarpando le ali fino ad ucciderla. Alla disperazione si aggiunge la beffa: James vede sfumare l’amore etereo con la silfide e le nozze terrene con Effie, nel frattempo accompagnata all’altare da Gurn proprio come predetto dalla maga Madge.

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