Tony Lofaro: “La danza è una scelta di vita, una sorta di grandissima storia d’amore”

di Francesco Borelli
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Prima danzatore, poi coreografo. Il passaggio da un’attività all’altra è stato un’evoluzione naturale oppure una scelta ben precisa?

Sono un uomo fortunato: sin dall’inizio del mio percorso lavorativo ho avvertito una forte attitudine alla coreografia e alla direzione, qualità cresciute nel tempo in modo naturale attraverso la sperimentazione e l’impegno.  Ero il tipo di danzatore che arrivava in teatro molto prima della convocazione e mi perdevo a osservare tecnici, datori luci, registi o coreografi impegnati, ciascuno, nella propria specifica mansione. Sono sempre stato curioso e con una grande sete di imparare e carpire dettagli che normalmente a un danzatore non competono o interessano troppo. E poi molte persone mi hanno dato fiducia, offrendomi grandi opportunità di crescita.

Qualcuno diceva: “La vita è l’arte degli incontri”. Quali sono stati quelli importanti per la tua vita?

Mi risulta molto difficile rispondere: sono tante le persone che ho incrociato sulla mia strada e che mi hanno fatto diventare “grande”. Certamente, se non avessi incontrato il Maestro Dmitri Chabardin, durante gli anni della mia formazione accademica, oggi sarei una persona diversa.

Mi disse, in un momento di commiato, una frase che ancora m’imbarazza ripetere ma che ho piacere il di condividere con la stessa emozione di quando, fumando seduto su una panchina e senza guardarmi negli occhi mi disse: “Tonino, (mi chiamava così), tu non fai il ballerino, tu sei un ballerino”.

Che frase importante..

Per me é stato come un papà, un papà artistico e, anche se non lo vedo o sento da tanti anni, lo porto fra le cose più preziose che ho.

Che cosa, ancora bambino, ti ha condotto verso una scuola di danza?

Ho incontrato la danza a diciotto anni compiuti e fino a quel momento non avevo mai pensato di fare il danzatore. Dopo solo un anno dall’inizio dei miei studi debuttavo al Teatro Comunale di Bologna sotto la regia di mauro Bolognini. E poi, come un disegno ben scritto, tutto è accaduto in maniera naturale, senza interruzioni.

Studi tra Milano, Miami, Londra e New York. Quali differenze hai costatato a livello di formazione tra queste grandi città? E dove, oggi, consiglieresti a un ragazzo di recarsi?

Il bello della danza è che puoi studiare ciò che più ti attrae e piace.  Spinto da una curiosità costante, ho fatto lezioni di ogni genere, in Italia e all’estero, spesso imbarazzandomi per la mia assoluta negazione nei confronti di alcuni stili. Ma tutto è stato utile e mi ha consentito, nel tempo, di crearmi un bagaglio ricco e colmo di esperienze differenti. In Italia tendiamo a lamentarci moltissimo e spesso siamo ancorati alla moda del momento cercando lezioni dove “si balla” molto e si studia poco. La tecnica passa quasi in secondo piano. Questo fa male alla danza e ci rende poveri.

Ai ragazzi consiglierei di studiare con maestri preparati, onesti, con esperienze importanti di palcoscenico, persone per cui valga la pena spendere del denaro, che durante una lezione ti correggono, ti consigliano, e ti fanno sentire non ancora all’altezza. Questa per me é la vita del danzatore.

Molti danzatori raccontano di un momento in cui scattò in loro qualcosa e capirono ciò che sarebbero voluti diventare. Qual è stato per te questo momento?

Non ho mai vissuto questo momento. Sono il figlio di un uomo che ha lavorato trentasette anni in fonderia in fabbrica. Io, scherzando, dico sempre che voglio essere un operaio, un bravo operaio della danza.

Quali sono gli aspetti del mondo della danza che ami? E quali invece non t’interessano?

Amo farmi sorprendere, assistere a spettacoli che, con semplicità toccano le corde più intime dell’anima senza voler a tutti i costi stupire.  E amo i danzatori che hanno luce negli occhi e che non hanno bisogno di troppe parole: nel rapporto tra coreografo e danzatore esiste una condivisione che, se trova forma ed espressione, si concretizza in una connessione magica.

Non m’interessano le mode, la danza di plastica, tutta uguale, stereotipata.

Una scelta o un sacrificio: cos’è per te la danza?

La danza é una scelta di vita, una sorta di grandissima storia d’amore. Smetterò solo quando verrà meno questa magia, se mai finirà.

Ricordi la tua primissima esperienza di lavoro come danzatore?

Alla primissima esperienza di lavoro ho accennato prima. Ma dopo quell’esperienza al Teatro Comunale di Bologna conobbi la coreografa Adriana Cava, residente al Teatro Nuovo di Torino e direttrice della Compagnia Jazz Ballet. Con lei ho scoperto un nuovo modo di lavorare e sono cresciuto moltissimo. Da danzatore del corpo di ballo mi ha promosso solista, poi assistente e infine coreografo.

E la tua prima coreografia?

Non ho una buona memoria. Spesso capita che alcuni danzatori che hanno lavorato con me, mi mostrino video di alcune coreografie ed io, totalmente ignaro, mi trovi a dire: “Carino questo, di chi é?”. Si tratta di mie coreografie.

Che cosa caratterizza la tua “poetica coreografica”?

Non saprei davvero rispondere. So solo che quando creo una coreografia cerco di dar voce a me stesso. Tutto è spontaneo, un fluire naturale che trova espressione in una sequenza coreografica. Forse in questo può trovarsi la poesia.

Qual è il punto di partenza?  Una suggestione, la musica, i passi, la narrazione?

Amo partire da un’immagine, una fotografia, la scena di un film, un incontro. Ascolto la musica in continuazione e mi lascio condurre da essa fino a farmi suggestionare.

Non sono mai stato uno da quaderno e montaggio a casa, non sono capace. Ho bisogno dei danzatori e di trovarmi in sala, condividere, avvertire l’energia dei ballerini che ho di fronte e di “sporcarmi le mani”.

Quali sono i criteri in base ai quali scegli un danzatore durante un’audizione?

Amo i bravi danzatori, quelli che uniscono un perfetto balance fra tecnica e stile, quelli che ti sorprendono perché capaci di usare l’una o l’altra cosa adeguandosi alle coreografie. Non capita sempre ma, se accade, è bellissimo.

Esiste un danzatore sul quale ameresti creare una tua coreografia?

Scelgo e lavoro soltanto con i danzatori che amo. E domani, arriverà un danzatore col quale sarà bello condividere la sala prove e per il quale sarà emozionante montare una coreografia. Credo che quello sia il momento più bello del mio lavoro.

Nel mese di marzo debutterà l’opera musical OTELLO, L’ULTIMO BACIO con la regia di Wayne Fowkes. Di questa grande produzione firmerai la parte coreografica. Ci dai qualche anticipazione?

Otello, L’Ultimo Bacio é un’opera moderna scritta da Fabrizio Voghera. Debutteremo il 23 Marzo a Torino e il tour di presentazione toccherà diverse città del nord e Italia centrale. Musicalmente unica nel suo genere, avrà la direzione e regia di Wayne Fowkes.

Ho l’onore di lavorare con persone d’immenso talento e la sera, tornato in hotel, mi sento sempre frastornato dall’energia e dalle sensazioni che mi hanno accompagnato durante la giornata. Da un punto di vista coreografico sto tentando di infondere me stesso in ogni quadro ballato, senza artifizi, mettendo la mia personale dinamica e la mia passione al servizio dello spettacolo.

Questo bellissimo lavoro mi sta facendo rivivere le emozioni dell’inizio, quelle dei primi debutti e delle prime esperienze. E credo che in questo risalga la vera bellezza del nostro mestiere. Non si finisce mai di vivere “la prima volta”.

Che tipo di approccio hai con i tuoi danzatori durante la sala prove?

Proprio in questi giorni di sala prove per Otello, immersi nella pace di una location unica sul Lago di Garda, e coccolato dalla produzione, sto vivendo momenti assolutamente speciali con i miei danzatori: dieci solisti scelti con cura di cui vado orgoglioso, pronti, entusiasti, bravi professionisti e fortemente motivati. Tendenzialmente sono una persona leggera che ama ridere e scherzare. A volte, certo, necessita essere più severi ma cerco di affrontare il lavoro, sempre, col sorriso.

Sognare non costa nulla: qual è il progetto più ambizioso che ameresti realizzare?

Il progetto più ambizioso non riguarda il lavoro ma la mia vita privata. Mi piacerebbe, nel tempo, creare una famiglia.

Se dovessi immaginarti fra trent’anni, come ti vedresti?

Mi vedo un uomo sereno, una persona che ha dedicato la propria intera vita alla danza, con impegno, dedizione e sacrificio. Che ha rispettato quest’arte meravigliosa, amandola e godendone appieno.  Proprio come la mia famiglia mi ha insegnato a vivere la vita.

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