Tango – L’esilio di Yoko Kinomoto

di Vittoria Maggio
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“Il sorriso, quella luce sul volto di ognuno di noi, questa sorta di esilio ce lo sta togliendo, non sorridiamo più.”

Avrete certamente notato lo strano modo di sorridere dei giapponesi, discreto, appena accennato, spesso coperto con la mano. Si tratta di un’usanza molto antica che ritiene buona educazione il coprire i denti quando si sorride. Nell’antichità per esempio le geishe erano solite celare il sorriso con ventagli di carta: questo modo di fare è sopravvissuto nei secoli ed è rimasto fino ai giorni nostri, con quel piccolo gesto della mano che va a nascondere le labbra.

Ecco è proprio il sorriso il fil rouge della nostra Yoko Kinomoto, la fotografa più amata nell’ambiente del tango. Yoko vive in Italia da tanti anni, complice una scelta d’amore che l’ha vista radicarsi nel nostro Paese anche quando quell’amore è poi finito.

Forse in quel momento Yoko ha provato una sensazione di esilio: l’amore non c’era più, il Giappone era un mondo lontano: lei aveva sposato il calore mediterraneo, il sorriso aperto italiano, la voglia tipica di ridere, la gioia che l’ha conquistata la prima sera che ha messo piede in una milonga milanese. Non si sentiva una brava ballerina, aveva imparato da poco e quindi ha preso in mano una macchina fotografica. Si sa, i giapponesi hanno nel DNA la fotografia per quel loro gusto di riprodurre in piccolo qualcosa di immensamente grande! Piccolo e ben curato come un bonsai, come un haiku.

Yoko con la sua Canon ha iniziato a ritrarre i volti del tango e soprattutto i sorrisi che i ballerini condividevano fra di loro, quando si incrociavano o quando aspettavano l’invito al ballo.

Cosi è diventata molto amata dalla comunità tanguera, che si rispecchia nella profondità della sua predilezione per il bianco nero, con semplicità, discrezione, senso del rispetto della privacy, attenta ed educata.

“Mi piaceva ritrarre quella gioia che vedevo nei sorrisi della milonga arricchita dall’eleganza degli abiti. Mi ricordo quei bellissimi momenti. Sapevo poco di tango, ma quel mondo mi ha conquistata e ho voluto esserne uno specchio discreto. Ero molto emozionata. Tutte le volte mi sembrava di assistere a una magia.

Nella cultura giapponese non abbracciamo, raramente ci diamo la mano, sorridiamo poco, solo un cenno per far comprendere la nostra accoglienza. Siamo abituati ad osservare, a cercare di comprendere, il nostro sorriso è calibrato, controllato, per noi è segno di misurata accoglienza.

Nel mondo del lavoro al pubblico è però diverso: se fai una professione di servizio, il sorriso diventa un obbligo, risulta costruito, quasi una maschera. In Giappone si studia il volto, le sue espressioni, la muscolatura; lo stretching facciale e il make up per la tradizione giapponese sono fondamentali, il trucco si deve stendere sul volto con estrema dedizione, e con regole ben precise. Penso purtroppo che questo periodo che ormai viviamo da così tanti mesi, ci abbia tolto il sorriso, coperto dalla mascherina non si vede, si immagina solamente. Più che l’esilio dal tango vivo l’esilio dal sorriso. Mi fa molto soffrire questa assenza di luminosità sul volto.

E allora mi sono messa a pensare che cosa potevo fare per aiutare un poco quel sorriso perduto e ho attinto a quello che avevo imparato in Giappone quando lavoravo in una azienda cosmetica.

Insegnavo trucco e massaggio, la tradizione dello yoga in Giappone viene applicata da tanti anni anche al viso, lo yoga facciale per la nostra cultura è tradizione molto antica.

Sono convinta che il sorriso che abbiamo perso, oltre ad essere un fattore espressivo, sociale, emotivo, è anche un esercizio muscolare che stiamo perdendo. I muscoli del nostro viso lavorano meno, non sono più allenati.

Il mio bagaglio professionale mi stava dando una bellissima opportunità: ho iniziato a fare brevi video dove parlo di stretching facciale, e non solo, ho consigliato degli esercizi molto semplici per allenare con simpatia anche il nostro cervello: la testa contiene le informazioni più preziose per noi e per il nostro corpo e possiamo prendercene cura con leggerezza e serietà nello stesso tempo. Possiamo tornare ad allenare il nostro sorriso con semplici accorgimenti.

Mi chiedi se torneremo a sorridere nell’abbraccio del tango? Quando non abbiamo più potuto ballare abbiamo perso la parte più importante del tango, la sua socialità e quindi non volevo accontentarmi di lezioni on line o incontri furtivi di nascosto. Il bello del tango è proprio l’incontro, l’abbraccio, il sorriso, l’ascolto dell’altro, del diverso da te.

Tornerà il tango, certamente, ci vuole pazienza.

Chissà bisognerà ricominciare piano piano perché il timore, la ferita che ci porteremo dietro dopo questo periodo è profonda. Ci sono state perdite, litigi, discussioni anche in questo mondo.

La paura del contatto rimarrà inizialmente. Dovremo riabilitarci da questo timore a piccoli passi. E allora inizieremo a rimettere un piede in milonga, magari per scambiare due chiacchiere, per rivedere un amico, bere una birra, poi balleremo una prima tanda, con garbo e cercando di non sentirsi soffocati in quell’abbraccio cui non siamo più abituati. Seguirà poi una seconda tanda.

Un caffè.

Una brioche nella notte…

 Ci sarà un sorriso, due sorrisi e poco per volta torneranno tanti sorrisi! Non vedo l’ora.

La mia Canon sarà pronta!”

E sulle note del tango preferito da Yoko, che è un romantico Vals come Soñar y Nada Mas di Francisco Canaro, nella versione di Alfredo De Angelis del 1944, torniamo a sognare un mondo di illusioni e a sorridere nella realtà.

Un caro abbraccio e siate felici!

https://www.youtube.com/watch?v=cdACtXG7lAE

Foto Elvis Picture (Eroica Tango Marathon)

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