Tango – L’esilio di Gladys Fernandez

di Vittoria Maggio
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“Per la danza non esiste essere paralizzata, è la privazione della libertà del ballerino, è lo spezzarsi delle ali.”

Nominare la parola esilio con Gladys Fernandez è aprire una “ferita terribile”, è tornare al ricordo di una ragazzina di dodici anni che ha vissuto il buio della dittatura in Argentina. La paura di essere fermata per le strade era quella vera, quella che “ti fa rimanere muta”, attenta, vigile a qualsiasi informazione ti verrà chiesta, perché ogni dettaglio sarà sottoposto al controllo, quello vero, quello che in un batter d’ali ti può fare davvero volare via per sempre.

Gladys è una ballerina con una storia internazionale alle spalle. Nata in Argentina, ha scelto giovanissima l’esilio artistico ed è scappata dalla dittatura grazie alla danza, grazie a un’audizione per l’accademia di Maurice Bejart a Bruxelles.

Dall’Argentina, al Belgio, tanta vita anche in Asia e in India, per approdare un giorno in Sardegna accolta da amici cari e dove vive stabilmente da 3 anni. Il viaggio della vita di Gladys, a passo di tango, è ricco, lungo e tanto si potrebbe raccontare, ma a noi basta sapere che quel giorno di tanti anni fa fu lo stesso Maurice Bejart a dirle: “Il tango, tu è questo che devi ballare nella vita, il tango!”

Gladys raccontaci del tuo tango oggi:

“La nostra vita in Sardegna in questi mesi inizia alla mattina molto presto e finisce alle dieci di sera, la notte porteña è un ricordo, noi tangueri siamo abituati a vivere la notte e in questo periodo abbiamo imparato a vivere il giorno.

Non ho paura di questo esilio dal tango, ho visto un esilio peggiore nella vita, quello vero, quello che ti paralizza nell’anima.

Oggi la danza, il tango, vive una paralisi fisica, emotiva, economica; siamo fragili, tutti quanti e per noi ballerini il non ballare è come sentirci spezzare le ali, privati di quella libertà di espressione legata al corpo che è la verità più intima e più vera.

Come i miei colleghi e amici, non posso tornare in Argentina, non posso volare nella mia patria di nascita, mi sento però fortunata ad essere qui in Sardegna nella mia seconda patria, dove sono stata accolta più volte nella mia vita e dove ho messo radici. Amo la cultura e la civiltà antica di questa terra magica, ricca di energia, quella stessa energia che anche la mia terra natia possiede. Ho viaggiato, ballato e insegnato in tutto il mondo, ma invecchierò certamente in Sardegna. È una benedizione vivere qui.

La Sardegna è una delle regioni italiane più longeve e ho in mente un grande progetto che unirà il tango alla salute e alla longevità. Ho avuto paura del vero esilio nella mia vita, questo esilio di oggi non mi fa paura, sto creando, sto progettando, mi metto i tacchi e mi preparo per il nuovo mondo che ci aspetta.

Come vedo il tango che verrà?

Il tango cambierà come cambierà il mondo, come sta cambiando il mondo, come forse è già cambiato. Ci saranno scelte più mirate.

Questa esperienza tremenda che stiamo vivendo fa capire che cosa sia la superficialità e fa comprendere che non porta in nessun luogo e che quindi non ci sarà più spazio per il pressapochismo in nessun ambito.

Viviamo un momento dove possiamo avere solo un dialogo vero, partendo dalla profondità che dobbiamo trovare dentro di noi, nelle nostre radici, nella nostra cultura. È una fase detox, è una purga: c’era un’overdose di tango con poca vera conoscenza e valorizzazione della sua cultura e della sua storia. È stato trascurato il patrimonio culturale dell’espressione urbana della città di Buenos Aires, facendo di questa forma di arte un’attività principalmente commerciale oppure leggera.

Tutto questo è finito.

La gente, il popolo tanguero vorrà altro dal tango. La vanità lascerà posto al racconto dell’anima, del cuore e alla comunione di due anime che fanno del camminare un poema!”

Grazie Gladys! E sulle note del suo tango preferito, Bahia Blanca di Carlos Di Sarli, un caro abbraccio e siate felici.

Credit: Loredana Mantello Photography

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