Tango: l’esilio di Giovanni Dolci

di Vittoria Maggio
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“Ci vuole tempo per superare le emozioni, quelle che ti fanno male, che ti feriscono, che ti uccidono un po’ dentro…devono andare via da sole.”

Giovanni Dolci è una persona dai modi gentili, dolci come anticipa il suo cognome. Chissà, forse non a caso è la prima delle nostre interviste a raccontare il tango che verrà, timidamente, silenziosamente, “come l’aurora del mattino con quel magico primo raggio che appare nel cielo poco prima del sorgere del sole annunciando la nuova vita.”

Giovanni ci aveva già raccontato una bellissima storia qualche anno fa, fra le più delicate della nostra rubrica, e che vi invito a rileggere perché parla proprio di “aurora”: https://www.dancehallnews.it/aurora-che-balla-il-tango-a-scuola/

Giovanni oggi ci aiuta a dare il via a un breve ciclo di interviste sul sentimento dell’esilio nel tango che viviamo da tanti mesi. Esilio è una parola importante, forte, dolorosa ed abbinarla al ballo è certamente ardito, ma l’esilio è dentro a ciascuno di noi in quell’attimo di solitudine profonda che tutti conosciamo e che ci fa sentire senza più riferimenti dentro e fuori da noi. Come tutta la danza del mondo, anche il tango argentino è stato congelato, paralizzato, messo da parte per aiutare a proteggere il mondo dalla sua parte malata.

Ma ricordiamoci che la danza cura la malattia del corpo e dell’anima, sono tanti ormai gli studi scientifici che lo dimostrano e non dimentichiamo che l’Unesco ha dichiarato il tango patrimonio culturale dell’umanità nel 2009 e che la danza è terapia fin dai primi del ‘900.

Grazie Giovanni per aprire con le tue parole la nuova rotta del viaggio della nostra rubrica:

Ho provato una forte rabbia sentendomi privato di quella parte di me che vive col tango, cambiare la mia routine, non vedere più i miei allievi, non sentire più l’abbraccio, le emozioni condivise con le persone, perderne il contatto. Mi dava quasi fastidio ascoltare anche la musica. Ero fermo per un agente esterno che sentivo come un’ingiustizia cui non potevo ribellarmi, ho dato i pugni sul tavolo, la musica mi faceva venire in mente i bei ricordi. Ho vissuto la mia rabbia, mi era stato tolto quell’aspetto ludico, quel sorriso come quando ti portano via un gioco da bambino.

Ci vuole tempo a superare le emozioni che ti fanno male dentro. Si, mi sono sentito come esiliato, con quella malinconia che sembra sconfinata, insondabile.

Quella mattina lavoravo nel mio laboratorio di scarpe artigianali da passeggio e da ballo, e il tango mi ha richiamato, come già mi era successo nella vita, un invito inaspettato, un’occasione, il Teatro di Bologna mi chiamava e mi chiedeva il mio spettacolo per fine anno. Ho pianto di gioia e si è sciolta la rabbia, sono tornato il bambino che guardava per ore incantato e rapito quel carillon sul mobiletto dei trucchi di mia madre, una coppia di ballerini che giravano, giravano come nell’eterno fluire della milonga.

Torneremo a ballare, mi chiedi?

Sicuramente, danziamo da sempre, ho trovato il primo cenno a un ballo che assomiglia al tango in Spagna nel 1520 e non potrà che continuare, è radicato nel tempo e nell’uomo. Cambierà, certo, in meglio: abbiamo perso quel 30% di persone che ballavano per “distrazione”, ma c’è una voglia di tornare all’abbraccio vero, a quello che ti mette in contatto con un’altra persona nel profondo.

Il tango sarà un rimedio alla privazione di oggi. Avrà un futuro importante e si vorrà comprendere di più questa forma di cultura danzante. Ci sarà una nuova generazione di tangueri più consapevoli.”

Grazie Giovanni! E sulle note del suo tango preferito, Remembranza nella versione di Osvaldo Pugliese del 1956, un caro abbraccio e siate felici!

https://www.youtube.com/watch?v=8Gl0sI2ruTU

 

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