Raymonda, l’adattamento di Tamara Rojo per il San Francisco Ballet

di Elio Zingarelli
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Tamara Rojo sostiene che una parte importante della visione artistica sia mantenere vivi i classici, il chè vuol dire anche sfidare e cambiare la tradizione. Secondo questo orientamento ha agito la Direttrice del San Francisco Ballet quando a Londra, alla guida dell’English National Ballet, ha presentato la sua versione di Raymonda, nel gennaio 2022. Diciamolo subito! Non si tratta di una nuova creazione bensì di un adattamento del canone di Marius Petipa che ormai ottantenne nel 1898 metteva a punto quest’ultimo capolavoro. La coreografa, insieme a Lucinda Coxon che ha lavorato alla drammaturgia, hanno ricontestualizzato l’epitome di un genere tardo-romantico ambientandolo nel corso della guerra di Crimea e non durante le Crociate, come nell’originale.

Questo conflitto per il controllo dei Balcani e del Mediterraneo (1853-56) che oppose alla Russia l’impero ottomano, sostenuto da Francia e Gran Bretagna (con l’appoggio di un corpo di spedizione piemontese), ha coinvolto attivamente le donne in un servizio di pronto soccorso e di cura dei soldati feriti. Difatti, qui, il personaggio di Raymonda è ispirato a Florence Nightingale, infermiera britannica nota come “la signora con la lanterna”, fondatrice dell’assistenza infermieristica moderna in quanto è stata la prima ad applicare il metodo scientifico attraverso l’utilizzo della statistica. John de Bryan, invece, è un amico di famiglia di Raymonda e soldato della Brigata Leggera che prima di partire per la battaglia le chiede di sposarlo. Mentre Abdur Rahman, alleato dell’esercito ottomano, promette all’amico John de Bryan di prendersi cura di Raymonda e nel contempo inizia a nutrire sentimenti per lei.

Oltre a queste tre principali, tante sono le personalità di una trama che a tratti si disperde in una miscellanea di danze pure, “ballabili” e danze di carattere che conservano, comunque, lo spirito creativo di Petipa. Nel primo atto, nella scena del sogno di Raymonda, durante il Valzer triste, i danzatori vestiti di bianco discendono da un declivio non altissimo ripetendo lo stesso passo, un arabesque penché con le mani dietro la nuca, sino all’arrivo sul palco illuminato dalle lanterne.

Sono solo in 6, molti di meno delle 32 ombre dell’atto bianco di La Bayadère, ma comunque sufficienti a evocare quell’anticipazione “petipana” del minimalismo della seconda metà del XX secolo, per via della ripetizione dello stesso passo. Inoltre, è bene constatare anche l’adattamento di una discesa notoriamente femminile ma qui al maschile che è in linea con altri momenti di danza veramente ardui e impattanti che vedono impegnati i ballerini della compagnia. Sempre nel primo atto, le infermiere allineate, con le mani nascoste dietro la schiena delle altre, avanzano in una camminata a suono di jetè che ricorda quella nel primo atto della Bella Addormentata.

Ma sono soprattutto i numerosi solo femminili della versione originale che Tamara Rojo cerca di preservare avvalendosi dell’aiuto di Doug Fullington per l’analisi delle annotazioni scritte con il sistema Stepanov raccolte nell’archivio Sergeev conservato all’Università di Harvard. Nel terzo atto destano entusiasmo le danze di carattere che concorrono a definire il contesto storico oltre a celebrare le interferenze culturali della guerra di Crimea. Ispirate alla danza ungherese e mediorentali, queste danze vengono eseguite con precisione e grinta dal corpo di ballo sotto la supervisione sapiente di Vadim Sirotin.

Sempre in Ungheria è stato sviluppato il cimbalom, uno strumento in cui le corde di metallo vengono colpite direttamente con bacchette di legno per creare un suono distintivo. Introdotto nel terzo atto, questo strumento fa da colonna sonora a uno dei soli di Raymonda più iconici di tutto il balletto che beneficia, nella sua interezza, delle melodie meravigliose della musica di Aleksandr Glazunov orchestrata per una grande orchestra. Martin West, Direttore Musicale della SF Ballet Orchestra ha restituito la grandiosità e l’opulenza in perfetto stile imperiale di queste pagine musicali rapinose e qui autenticamente eseguite mediante l’apporto, anche, del raro strumento, solitamente sostituito dal pianoforte.

Ma cruciale per quest’operazione di contestualizzazione del grande classico è l’impianto visivo, ovvero scenografie e costumi firmati da Antony McDonald. Il conflitto in Crimea è stato anche uno dei primi ad essere documentato per mezzo delle fotografie di Roger Fenton del 1855. McDonald è partito da questi scatti per la realizzazione dei 630 costumi, nessun tutù, privi di qualsiasi dettaglio che possa ricondurre a un preciso momento storico e a una resa eccessivamente letterale. E poi c’è l’idea della fotografia nel taglio delle quinte che viene continuamente evocata anche dalla presenza di un fotografo in scena che tanto ricorda il cameraman e i fotografi della Cenerentola di Nureyev (la cui Raymonda, si badi bene, primo balletto messo in scena in Occidente dopo la sua defezione, nella sua versione definitiva della stagione 1983-1984 dell’Opéra national de Paris è già equamente divisa tra uomini e donne pur rimanendo fedele a Petipa per le variazioni e l’argomentazione).

In definitiva, quello che viene mostrato alla platea piena e vivace è una cartolina dai toni seppia di una Raymonda coraggiosa e compassionevole che in diagonale, sul suono del cimbalom, anziché sbattere le mani le sfiora soltanto lievemente attendendo i battiti finali degli spettatori che tanto la applaudono.

CREDITI: San Francisco Ballet in Rojo’s Raymonda // © Lindsay Thomas

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