Poetica, candida e delicata: “La Strada” di Alina Cojocaru al Regio di Parma

di Nives Canetti
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Serata piena e calorosa al Teatro Regio di Parma per questa prima nazionale de La Strada di Nino Rota. Una prima di questa nuova versione che suscita una certa curiosità vista la vicinanza del titolo al vissuto del pubblico italiano: la prima rappresentazione mondiale è andata in scena lo scorso anno al Sadler’s Wells di Londra.

Questa nuova Strada nasce da un’idea totalmente personale e piuttosto coraggiosa di Alina Cojocaru che l’ha prodotta dopo aver visto il film di Federico Fellini, senza prendere alcun riferimento dal balletto di Mario Pistoni che Cojocaru sostiene di non aver volutamente visto, in quanto ispirata dalla sola vicenda e dalla sua vicinanza al personaggio di Gelsomina:  è una versione che richiede di essere vista con occhi nuovi, come fosse la prima volta, cercando di dimenticare molti dei riferimenti visivi, musicali e drammaturgici della storia che in Italia  sono fortemente radicati nell’immaginario di molti. Esercizio certamente non facile: comunque non citare Mario Pistoni e Carla Fracci in queste poche righe, sarà per noi cosa ardua.

L’approccio di Alina Cojocaru nel pensare a questa vicenda è stato molto personale, intimista, e lei, che è interprete di grande esperienza e sincerità, si è cucita addosso una Gelsomina totalmente centrale rispetto alla storia:  timida, stralunata, innocente e fragile, balla sorretta da due angeli che la accompagnano quasi sempre in scena, e che rappresentano la sua natura e il suo modo di interagire con il mondo. La capacità di unire sempre cuore e mente irradia bontà e candore su chi ha intorno, in primis su Zampanò. Ma dovrà soccombere alla fine e, diversamente dal film, la vediamo morire: il sipario si chiude sulla sua anima che fissa il pubblico.

La drammaturgia qui si riduce davvero all’essenziale: la vendita di Gelsomina a Zampanò, le scene dell’incontro con gli artisti del circo, l’intesa fra Gelsomina e il Matto, la morte del Matto che poi ritorna più volte nel pensiero di Gelsomina, la morte di Gelsomina. L’intento è quello di concentrarsi sull’interiorità personaggi, che però, a parte la figura di Gelsomina, restano un po’ sfuocati e non sono chiaramente delineati. Zampanò è disegnato come un uomo bruto, pieno di dubbi in cui emerge una certa tenerezza per Gelsomina, ma i suoi contorni non sono chiarissimi. La libertà e l’allegria di vivere nonostante la povertà, tipiche della figura del Matto, non vengono abbastanza sottolineate. È un lavoro che ha puntato a sottrarre riferimenti iconici privilegiando il sentire dei personaggi, ma che è stato troppo asciugato dagli accenti contrastati e dai personaggi così scolpiti della sceneggiatura originale a cui si ispira, che è poetica ma profondamente reale.

Altra particolarità sta nella musica utilizzata. La musica di Nino Rota infatti non proviene soltanto dalla colonna sonora de “La Strada”, ma anche da diverse partiture di Rota per altri film, quali ad esempio il Gattopardo. Spaziare tra le opere di uno o più compositori per creare nuovi balletti è prassi consolidata, ma qui sono state usate colonne sonore strettamente legate all’immaginario del film per cui sono state composte, e il risultato di vederle traslate è decisamente strano. Ad esempio, prendere dei momenti famosissimi come il ballo dal Gattopardo di Visconti per coreografare le scene di circo della Strada, o il ritorno di Tancredi, in cui la prima immagine evocata è una Claudia Cardinale ansimante, scapigliata e sensuale mentre sul palco vediamo una dimessa scena di felicità di Gelsomina in vestaglietta, è una scelta spiazzante. D’altronde, sorge un dubbio che un po’ sconcerta: siamo sicuri che oggi come oggi queste musiche siano davvero riconoscibili per tutti? e soprattutto all’estero, per cui questa produzione è stata principalmente concepita?

A parte queste considerazioni, la serata si fonda in primis sulla profonda capacità attoriale della Cojocaru con il perfetto physique du rôle e tutte le sfumature di interpretazione che la rendono una Gelsomina di una fragilità disarmante (anche senza la zazzeretta della Masina e delle Fracci). La delicatezza con cui gira intorno a Zampanò quando la sta comprando, un senso di paura misto a curiosità per la vita futura, la tenerezza nei confronti di Zampanò che alla fine diventa quasi per lui contagiosa, l’imbarazzo quando si esibisce negli spettacoli del circo, il bel passo a due con il Matto pieno di esitazioni e slanci, l’impalpabilità della sua danza con gli angeli, sono davvero commoventi. Cojocaru interpreta a meraviglia la coreografia di Natalia Horečna spesso ripiegata su se stessa e poi aperta in grandi slanci a riflettere il carattere timido e candido di Gelsomina.

Intorno a Cojocaru ruota un cast di grande pregio: Mick Zeni, storico primo ballerino scaligero ha confermato di essere una forte presenza in scena, molto naturale e ha reso uno Zampanò credibile, brutale ma profondamente umano. Johan Kobborg, il marito di Cojocaru, è un Matto di grande classe e il suo assolo è tra i momenti più belli di danza della serata.

Intensi i due angeli Claudio Cangialosi e Marc Jubete, da Anversa e Amburgo, perfetti nel rappresentare l’anima candida di Gelsomina e supportare Cojocaru dando un forte senso poetico e dinamico alla coreografia. Di buon livello la compagnia di sei danzatori di varie provenienze a fare da cornice al racconto. Dopo i molti applausi al termine della serata,  La Strada continuerà il suo tour a Bonn.

Uno spettacolo  poetico e onirico, dai tempi forse un po’ troppo dilatati rispetto alla drammaturgia, interpretato da artisti fantastici, certamente da vedere con occhi nuovi e innocenti. Un po’ come quelli di questa Gelsomina.

Sabato 8 gennaio al Teatro Regio di Parma per Parma Danza 2025 – Prima nazionale, in esclusiva per l’Italia

La Strada

Gelsomina Alina Cojocaru

Zampanò Mick Zeni

Il Matto Johan Kobborg

Angels. Marc Jubete, Claudio Cangialosi

Corpo di ballo Lukas Hunt, Maria Tolstunova, Winnie Dias, Yaiza Coll, Giulio Galimberti, Jonathan Enea Costa

Musica Nino Rota

Coreografia Natalia Horečná

Scene e costumi Otto Bubeníček

Luci Andrea Giretti

Produzione Acworkroom Ltd

Management per l’Italia Art Works Production Antonio Gnecchi Ruscone

Cover photograph: Tristram Kenton

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