PINEAPPLE DANCE STUDIOS: LA RIVOLUZIONE SILENZIOSA DI DEBBIE MOORE

La storia dell’ex-modella che fece ballare Londra (ed il mondo) in un magazzino di ananas.

di Susanna Mori
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Nel cuore pulsante di Covent Garden, tra teatri storici e vicoli pieni di turisti, si nasconde uno dei luoghi più iconici della danza londinese e mondiale: il Pineapple Dance Studios. Da fuori potrebbe sembrare solo un altro edificio, ma dentro si muove, da cinquant’anni, una storia viva fatta di musica, sogni, sudore e rivoluzione. E al centro di tutto c’è lei: Debbie Moore, una donna che non ha mai seguito le regole, perché preferiva scriverne di nuove.

Debbie Moore, non è un’imprenditrice qualunque. Il suo percorso, dalla moda di alta classe ai problemi di salute e infine al successo imprenditoriale, è una di quelle rare storie che uniscono perfettamente tenacia, creatività e impeccabile tempismo.

Con la scusa di un the insieme, ci diamo appuntamento per un’intervista al bar dello storico bookshop Stanfords, di fronte ai famosi Studios. Ci siamo già incontrate in precedenza e ogni volta sono rimasta ammaliata da questa signora, gentile e misurata nei movimenti e nelle parole, ma soprattutto sorridente. Un sorriso genuino, pieno di allegria. Debbie arriva sorridente, come sempre, con fare deciso ed elegante mi abbraccia e cominciamo a parlare.

Le ho chiesto di incontrarla per invitarla ufficialmente al Novara Dance Experience, il Festival della danza che si svolge al Teatro Coccia di Novara da ormai sette anni, a cavallo fra l’ultima settimana di maggio e la prima di giugno, con la direzione artistica di Francesco Borelli. In occasione del Gran Gala che suggella la fine del Festival – e che si terrà sabato 6 giugno – avremo fra i nostri ospiti anche l’icona Debbie Moore per consegnarle il premio alla carriera.

Terminata la nostra veloce colazione, andiamo nei suoi uffici che si trovano all’ultimo piano degli Studios. E qui mi si apre il mondo.

Il mondo della danza, qualunque stile di danza, dei Musical del West End e di Broadway. Dalle locandine dei musical, al vestito originale di Tina Turner, alle foto assieme ai più grandi artisti, danzatori e cantanti, Mick Jagger, Bruce Springsteen fra gli altri. In 3 ore ne vedo talmente tanti che alla fine i miei occhi ed il mio cuore confondono le immagini per l’emozione. Gli uffici sono così pieni di ricordi e memorabilia che non so dove guardare. Vorrei abbracciare tutto con lo sguardo, felice e riconoscente.

Mi presenta i suoi collaboratori, persone serie ed affidabili, non solo assistenti e consigliere ma anche amiche, con cui condivide da anni quest’avventura. La sensazione è molto bella. In distanza arrivano gli echi delle musiche provenienti dagli studi limitrofi (oggi c’era l’audizione per il nuovo musical Lapland).

Cominciamo l’intervista, interrotte spesso da tutta una serie di problemi che, ovviamente, un business come il suo comporta diariamente.

Debbie Moore nasce a Urmston, vicino Manchester, verso la fine degli anni 40.
A 15 anni lascia la scuola senza qualifiche e senza un piano preciso, ma dotata di una bellezza superlativa e di una innata determinazione. Il colpo di scena arriva quando un’amica la iscrive, a sua insaputa, a un concorso di bellezza per la rivista Honey. Debbie lo vince e da lì, il salto nel mondo della moda è quasi immediato. Lavora con British Vogue, diventa volto di Revlon, posa per i più grandi fotografi, tra cui John Swannell. È tutto scintillante… finché il suo corpo inizia a mandare segnali.

Nel 1976 le viene diagnosticato l’ipotiroidismo. Aumenta di peso, è sempre esausta. La carriera da modella si spegne quasi da un giorno all’altro. Per tirare avanti lavora in due caffetterie, mentre cerca di capire cosa fare. Un medico le consiglia qualcosa di insolito: ballare. Trova così il Dance Centre di Floral Street, un posto iconico dove danno lezione maestri del calibro di Lindsay Kemp, Arlene Phillips, Lynn Seymour. Un’oasi per chi, come lei, ha bisogno di movimento, salute e bellezza nella propria vita.

La danza la protegge e le salva la salute. Ma nel 1978, anche il Dance Centre chiude. Nuovamente un’altra porta sembra serrarsi finché — quasi per caso — camminando per Covent Garden, nota un vecchio magazzino abbandonato. Un deposito di ananas (ananas si dice pineapple in inglese). Dentro è fatiscente, ma a Debbie non serve vedere pavimenti lucidi o specchi: lei vede possibilità. E così nasce il Pineapple Dance Studios.

Fin dall’inizio, Pineapple rompe le regole. Non è elitario, non è caro, non è pretenzioso. È aperto, vivo, e soprattutto accessibile. Un luogo dove principianti e professionisti condividono lo stesso spazio perche’ Debbie vuole abbattere il muro che circonda il mondo della danza. “Chiunque può ballare” è il suo slogan, la sua filosofia. Ed infatti Pineapple continua tutt’ora ad accogliere tutti, dai bambini di 3 anni ai pensionati di 90, dai turisti ai professionisti del West End.

Debbie rivoluziona anche il modello di insegnamento: gli insegnanti affittano la sala e vengono pagati direttamente dagli studenti. Questo crea una meritocrazia autentica: se sei bravo la gente torna. Se non lo sei…no. I primi 15 insegnanti arrivano proprio dal Dance Centre, gli altri vengono per passaparola. Tra i primi sostenitori ci sono leggende come Wayne Sleep e Marian Lane, che aiutano a far decollare il nome di Pineapple.

Il risultato è un ambiente elettrico. Le sale si riempiono. Le voci circolano. E poi… arrivano le Star.

Baryshnikov si allena lì. Così come Madonna. E poi Beyoncé, David Bowie, Twiggy, Kylie Minogue ed in tempi più recenti Girls Aloud, Justin Bieber e molti altri. Pineapple diventa rapidamente il quartier generale ufficioso dei musical più importanti degli anni ’80, ’90 e 2000. Le prove per Il Fantasma dell’Opera, Les Misérables, Hamilton, Wicked, Mamma Mia, Moulin Rouge, Priscilla, La regina del deserto, The Lion King, We Will Rock You… tutte lì. Danzatori da tutto il mondo arrivano a Londra per allenarsi in quegli studios.

Ma Debbie non si ferma. Durante le lezioni nota che tutti — lei compresa — sono costretti a indossare abiti in nylon ruvido, stretto, fastidioso. I ballerini li modificano da soli: tagliano collant per farne leggings, sformano tutù per creare body. Debbie, sempre attenta a ciò che serve veramente, ha un’altra idea rivoluzionaria: collabora con DuPont per creare un nuovo tessuto: un mix di cotone e Lycra, comodo, elastico, traspirante.

All’epoca il Lycra era usato solo per corsetti e collant — due mercati in declino. DuPont fiuta l’opportunità e scommette sul progetto. Così nasce la linea Pineapple di abbigliamento da danza e tempo libero, contribuendo — senza volerlo — a inventare quello che oggi chiamiamo activewear. E sì, i leggings così come li conosciamo oggi in parte li dobbiamo a lei.

Nel 1982, Debbie fa ancora storia: è la prima donna in Gran Bretagna a quotare una società alla Borsa di Londra. Senza rumore. Senza clamore. Ma con una sicurezza che lascia il segno. Negli anni seguenti riceve riconoscimenti importanti: il premio Veuve Clicquot Business Woman of the Year nel 1984, un OBE nel 2010 per i suoi contributi al business, e nel 2012 una laurea ad honorem dalla University for the Creative Arts per il suo ruolo pionieristico nella moda. Nella primavera di quest’anno 2025, si inaugurerà il Pineapple Dance Studios di Dubai, che sarà gestito da Lisa Scott-Lee del gruppo pop ‘Steps’ e da suo marito, il coreografo Johnny Shentall-Lee.

Ma nonostante i premi e le celebrazioni, Debbie non dimentica mai da dove viene. Rimane fedele alla sua missione: la danza è per tutti. E lo dimostra con fatti, non parole. Pineapple ha sempre avuto programmi di inclusione, con lezioni sovvenzionate per bambini e adulti svantaggiati. “Abbiamo sempre avuto programmi per chi non se lo poteva permettere,” dice spesso. Per lei non è mai stato solo un business: è stato un modo per dare dignità, libertà, movimento e voce a chi non l’aveva.

Ha scritto due libri: The Pineapple Dance Book e When a Woman Means Business — in parte autobiografia, in parte guida motivazionale per chiunque abbia un sogno e voglia realizzarlo con le proprie mani.

Parlare con Debbie Moore è davvero speciale: ha fatto la storia della danza e, in parte, anche quella della moda contemporanea. Vederla così tranquilla, serena, è un grande insegnamento, perché’ come dice lei: “a un certo punto della vita, bisogna sapersi riprendere la propria umanità”.

Oggi Debbie continua a trascorrere gran parte delle sue giornate nei Pineapple Dance Studios, dove lavora da quasi cinquant’anni e si mantiene in splendida forma, dedicando il suo tempo anche per aiutare gli altri a realizzare i propri sogni.

È stato bello parlarle, una conferma che comportarsi in modo etico ha ancora un senso, senza ostentare il proprio successo o vantarsi delle proprie conoscenze con personaggi famosi. Debbie Moore, che di VIP è sempre stata circondata — e lo è tuttora — ha scelto invece di vivere in modo diverso, lontano dalle luci della ribalta. Vive la sua vita con entusiasmo, felice di poter essere d’aiuto agli altri. Soprattutto ha ancora quella straordinaria capacità di innamorarsi delle cose, della vita stessa, e di essere profondamente riconoscente.

Son passati gli anni (anche se a vederla non sembra, è sempre bellissima) ma ancora oggi Debbie Moore rimane una figura di silenziosa influenza. Non ama stare sotto i riflettori, ma la sua presenza si sente. Pineapple è ancora lì, pieno di energia, di musica, di storie che nascono ogni giorno, sempre aperto a chiunque voglia mettersi in gioco. Ed è la prova vivente che con un pizzico di visione, tanta passione e la voglia di andare controcorrente, si può cambiare davvero il mondo.

O almeno, il modo in cui lo si danza.

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