Paquita di Pierre Lacotte alla Scala: tanta danza di accademia e due ore di spensieratezza

di Nives Canetti
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Balletto ottocentesco di pura impronta accademica, Paquita  ha debuttato al Teatro alla Scala nella versione a serata intera che Pierre Lacotte creò per l’Opéra de Paris nel 2001 con Clairemarie Osta e Manuel Legris (che ha fortemente voluto questa Paquita alla Scala) come primi protagonisti. Lacotte grazie alle sue ricerche meticolose, alla conoscenza di insegnanti che avevano lavorato con Petipa e alla sua conoscenza profonda dello stile, riuscì a coreografare, ricostruendolo in parte seguendo Joseph Mazilier (1846) e Marius Petipa (1881), un balletto abbandonato per tanto tempo nella sua completezza. E questo ha voluto essere un omaggio del Teatro e del Corpo di Ballo milanese al grande coreografo francese scomparso due anni fa,

In effetti le motivazioni per cui la storia di Paquita si era persa nel tempo, sono da ricercare probabilmente in una trama piuttosto inconsistente: lui nobile ama lei plebea, lei lo salva dal cattivo antagonista, si scopre che lei è nobile e si sposano. Ambientata in Spagna ma con tanta Francia e con tocchi magiari, Paquita difficilmente reggerebbe se non ci fosse tantissima danza e una componente tecnico-virtuosistica molto importante che porta ad ammirare i ballerini nella loro pura esibizione. Infatti nel mondo si vede soprattutto l’estratto puramente virtuosistico  del Grand Pas finale di Petipa, come avvenuto alla Scala negli ultimi anni.

Paquita per i ballerini è un balletto elegante ma molto faticoso: lo stile francese ottocentesco adattato all’accademia di oggi non dà tregua, è pieno di batterie e salti piccoli e grandi e tutto il balletto è il tripudio dei brisé, più o meno volé. È come un soufflé: difficile da fare ma soprattutto difficile da mantenere gonfio.  Ci vuole un ensemble tecnico pieno di entusiasmo, di joie de vivre e di carattere per reggerlo e alla Scala tutto questo c’è stato. Il Corpo di Ballo della Scala, in particolare quello femminile nel Grand Pas, ha trasmesso una performance di grande eccellenza, con lo spirito giusto e con un entusiasmo che era palpabile. Non hanno nulla da invidiare ai cugini francesi dell’Opéra.

Tutto il balletto ruota intorno a Paquita che è sempre in scena, ruolo faticosissimo che sia Nicoletta Manni in primo cast che Martina Arduino nel secondo, hanno reso con grande leggerezza e brillantezza. La prima sempre sorridente, assolutamente nel ruolo e con una tecnica davvero abbagliante, la seconda più maliziosa  e altrettanto lucida nelle difficoltà tecniche.

Il primo atto racconta i personaggi: Paquita ha tante variazioni, il corpo di ballo ha tanti momenti di gruppo tra contadini e zingari, bellissimo il Pas des Manteaux dei maschi. Poi nel tripudio delle danze si innesta un po’ di sorpresa il Pas de Trois di puro repertorio. Entrambi i cast che abbiamo visto, Virna Toppi Mattia Semperboni Alice Mariani e Gaia Andreanò Darius Gramada Maria Celeste Losa, sono stati di eccellenza. Da sottolineare la performance di Darius Gramada che non solo ha mostrato musicalità, accenti e un legato notevole ma anche una presenza scenica rara. Nel ruolo del nobile Lucien, sparigliando le coppie scaligere nella vita, Nicola  Del Freo, partner della Manni, e Timofej  Andrijashenko, partner della Arduino, sono stati entrambi danseurs nobles bellissimi e con carattere. Il cattivo zingaro Inigo era interpretato da Claudio Coviello, morbidissimo nella variazione del primo atto e molto divertente nelle pantomime della scena dell’osteria, e da Marco Agostino, cattivo molto credibile come già aveva dimostrato con il suo Lankedem nel Corsaro.

Il secondo atto è un continuo di danze con la risoluzione della storia e il matrimonio finale. Molto impegnativo il passo a due di Paquita e Lucien prima del Grand pas con alcune prese ad una mano veramente difficili, ben affrontate da entrambe le coppie dei diversi cast. La Mazurka dei bambini è un intermezzo delizioso portato in scena con verve e precise geometrie dagli allievi dell’Accademia. E il Grand Pas è sempre una vetrina di grande tecnica da affrontare con sicurezza per la coppia principale e per il corpo di ballo femminile. Brave le sei soliste in entrambi i cast:  peccato che non siano presenti le sei variazioni del Grand Pas della versione russa, occasione per mostrare la bravura delle soliste. In effetti in questa versione completa di Lacotte avrebbero allungato a dismisura un divertissement che arriva dopo un balletto praticamente di pura danza.

La coreografia è stata ripresa con grande maestria da testimoni diretti del lavoro di Lacotte alla creazione ovvero  Jean Guillaume Bart, il secondo Lucien dopo Legris e Gil Isoart, che fu il primo Inigo di Lacotte, e i costumi di grande impatto cromatico sono di Luisa Spinatelli, anche lei presente nel 2001 alla creazione. Le musiche di Deldevez e Minkus, frutto di una revisione da parte di David Coleman, sono state rese brillanti dalla direzione di Paul Connelly.

Gran parte del pubblico, con molti giovani in sala, ha accolto con entusiasmo un balletto ottocentesco che in fondo era un po’ una scommessa: ma Paquita è così spensierato e lontano dai nostri tempi che forse era proprio quello che ci voleva per rallegrare per due ore l’animo di una platea del 2025.

Manca ancora i terzo cast da ammirare con Alice Mariani e Navrin Turnbull che andranno in scena il 19 e il 26 giugno. Mentre nelle prossime date vedranno ancora in scena Nicoletta Manni e Nicola Del Freo il 20 giugno, e Martina Arduino e Timofej Andrijashenko il 17 (Invito alla Scala Giovani e Anziani) e il 25 giugno.

Paquita, Teatro alla Scala , 11 e 12 giugno 2025.

Foto Brescia e Amisano

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