Nuovo anno nuova danza. Il primo “SetteOtto” del 2017 profuma di fresco

di Lia Courrier
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È la stagione dei propositi e dei bilanci, il momento ideale in cui fare il punto della situazione per trovare dei luoghi adatti da cui poter ripartire verso nuovi obiettivi, raggiungibili, ma che portino a qualcosa di mai vissuto prima. L’originalità è la bestia nera di chi fa un lavoro creativo, qualcosa cui si anela con ogni fibra del proprio essere ma che allo stesso tempo si teme, per la sua natura ineffabile, per i suoi confini liquidi e sottili. Si ha paura di non riconoscerla, di non afferrarne il vivo nucleo, di non possederla. Una volta che l’originalità trova un canale per mostrarsi in tutta a sua bellezza, il limite viene spostato un po’ più in là, poiché quando si viene folgorati dall’originalità di un’idea non è più possibile tornare indietro, che tu sia il tramite che le ha permesso di esprimersi o lo spettatore che ha assistito alla sua manifestazione.

La danza negli ultimi anni sta vivendo una era e propria rivoluzione silenziosa che si rende ogni giorno più visibile. Il danzatore sta modificando il suo corpo, il modo di formarlo al lavoro, di tenerlo in allenamento, la sua relazione con la storia e con la società a lui contemporanea. La danza in questi anni sta diventando un importante strumento di cronaca dei tempi, forse proprio perché è il corpo ad essere protagonista di questa arte, attraverso un linguaggio non verbale, quindi universale e comprensibile a tutti, che parla dell’umano all’umano rivolgendosi al suo nocciolo più ancestrale e in qualche modo animale.

Io vedo una danza nuova affermare la propria presenza, lontana da tutto ciò a cui siamo abituati e con cui, almeno quelli della mia generazione e delle precedenti, siamo cresciuti. Una danza libera, democratica, etica, selvaggia, che se ne sbatte delle distinzione di genere e delle buone maniere, che non ha paura ad affondare le mani nel buio bituminoso dell’inconscio, di mescolarsi con altri linguaggi creativi, fino a perdere la sua stessa identità, a svanire quasi, nel tentativo di raccontarsi.

In Italia siamo sempre un po’ lenti nel metabolizzare questo tipo di cambiamenti, poiché noi ci portiamo addosso il peso della storia, di una danza che è nata proprio qui, anche se poi ha visto il suo maggiore sviluppo altrove: accademica, formale, molto legata alla tecnica e ad una estetica che forse oggi sente di non avere aderenza con la società in cui si trova, che non ha tanto bisogno di struttura ma più di fluidità e resilienza. La danza in Italia a volte mi ricorda un grosso, anziano animale mitologico, un dinosauro dalla pellaccia dura e coriacea che avanza lentamente sotto il carico degli anni e delle esperienze, con un corpo che non è abbastanza agile per adattarsi velocemente ai cambiamenti ambientali. Attorno a questo gigante cercano di sopravvivere altri piccoli e velocissimi animaletti che invece non hanno paura del cambiamento e possiedono un olfatto sottile e raffinato che gli permette di sentire cosa sta accadendo anche a grande distanza, rendendoli capaci di annusare qual è la giusta via da seguire. Purtroppo però, la mole del bestione è troppo grande e non riescono quasi mai a uscire dalla sua ombra abbastanza a lungo per prendersi il calore del sole direttamente in faccia. Parlo ovviamente delle piccole realtà presenti nel territorio italiano che con grandi sforzi cercano di portare avanti un ricerca sincera, onesta e a volte anche di qualità, tra mille difficoltà, prima tra tutte quella di riuscire a creare qualcosa di qualità in un contesto così indifferente al nuovo.

Mi piace immaginare che in questo nuovo anno riusciremo a liberarci di qualche fardello, per poter essere pronti ad accogliere tutte le giovani energie che metteranno in movimento la linfa vitale della danza, e che l’Italia possa vantare quel tessuto culturale che in molti paesi europei consente ad un pubblico curioso e aperto ai nuovi linguaggi, di assistere agli spettacoli di ricerca con lo stesso interesse e senso critico con cui va a vedere il balletto, comprendendone il valore, il messaggio e il contesto in cui esso è inserito.

Mi piace immaginare che in questo nuovo anno la danza torni nelle programmazioni teatrali, non solo con i titoli che sbancano i botteghini, con gli spettacoli di intrattenimento o con i soliti nomi, ma che i curatori manifestino la volontà di rischiare per premiare anche chi tenta di portare qualcosa di nuovo nel panorama culturale di questo paese, aiutando queste realtà a svilupparsi qui, senza obbligarle a cercare sempre altrove uno spazio in cui essere visti e ascoltati. Salvo poi vantarsi della loro italianità una volta ottenuti successi oltreconfine.

Mi piace immaginare che  in questo nuovo anno l’immagine della ballerina non venga più associata alla magrezza estrema, e che la danza possa essere invece proposta attraverso corpi in salute, che esprimano forza e armonia. Ricordiamoci che le ballerine sono prima di tutto donne, con una propria morbida femminilità che non dovrebbe mai essere umiliata o schiacciata in virtù di un canone estetico. Liberiamo definitivamente la danza di questi orribili spettri affinché mai più nessuna si costringa alla catena del disturbo alimentare.

Mi piace immaginare che in questo nuovo anno la danza possa rivelare sé stessa, e che non abbia paura di lasciarsi indietro tutto ciò che le impedisce di evolversi.

L’era dei dinosauri è già finita da tempo.

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