Hervé, Offenbach e Lecocq. La nascita dell’operetta in Francia

di Elena D'Angelo
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Benché il termine operetta fosse già stato utilizzato nel settecento per definire un’opera lirica di piccole proporzioni, il significato che si diede in Francia grazie ai lavori di Offenbach e di Hervè definì precisamente il tipo di spettacolo: soggetto brillante, spesso satirico, sottolineato da una musica facile, orecchiabile ma mai banale, legata anche ai ritmi dei balli in voga.

La necessità di proporre spettacoli “leggeri” che permettessero al pubblico di svagarsi dalle incombenze della vita portò all’ampliamento e alla valorizzazione del genere che, nei diversi paesi, assumeva peculiarità proprie. In Italia per esempio si evolveva l’opera buffa, in Francia nasceva l’Opéra Comique che, mantenendo le forme chiuse dell’opera buffa italiana, proponeva al posto dei recitativi, veri e propri dialoghi. In Germania invece, nel 1847, si rappresentava la prima opera buffa interamente cantata; Marthe di Frederic von Flotow che ebbe grandissimo successo in tutto il mondo nella traduzione italiana e che fu, tra l’altro, un cavallo di battaglia di Caruso al Metropolitan.

In Francia l’operetta nasce ufficialmente il 5 luglio del 1855, data in cui Offenbach inaugura il teatro dei “Bouffes Parisiens”. Con Offenbach, l’operetta diviene uno spettacolo “completo”, in cui, non solo la musica è valorizzata, ma anche la trama, il testo e l’azione drammatica. Tutto quello che succede nella vita reale, nella società dell’epoca e tutto quello che è tradizione culturale e teatrale diventa oggetto di parodia e spunto per confezionare operette di successo. Offenbach fu indiscutibilmente il padre dell’operetta francese ed ebbe il merito di elevare il genere al livello di opera d’arte anche grazie alle preziose collaborazioni con librettisti quali M. Meilhac, L. Halevy e H. Cremieux. Scrisse un centinaio di operette tra cui ricordiamo Orphée Aux Enfers (1858), La Belle Helene (1864), La Vie Parisienne (1866), La Grande-Duchesse de Gerolstein (1867) e il suo ultimo successo, La Fille du Tambour Major del 1879.

Ma se Offenbach fu il padre dell’operetta, Hervé ne fu l’inventore. Le sue operette erano caratterizzate da vicende improbabili come ne L’Oeil Crevé o in Chilperic, da parodie di opere liriche come ne Le Petit Faust ispirato al Faust di Gounod, dall’uso dell’elemento grottesco e comico e dalla feroce satira verso la società del tempo. Il suo più grande successo fu Mam’zelle Nitouche del 1883, rappresentata anche in Italia con il titolo di Santarellina. Intanto i tempi stavano evolvendosi; la sconfitta di Napoleone III, la caduta del Secondo Impero e l’avvento della Terza Repubblica portarono notevoli cambiamenti. Furono bandite le satire e burle sarcastiche. Il divertimento è poco tollerato. In un periodo come questo, Offenbach dovette cedere inevitabilmente il passo a composizioni più serie. Ad approfittare della situazione fu Charles Lecocq che divenne l’operettista ufficiale della Terza Repubblica. Pacata nei toni melodici e più che altro incline al puro dilettevole, l’operetta di Lecocq suscita il sorriso, ma mai la risata impetuosa.

Con Hervé, Offenbach e Lecocq, l’operetta francese giunge ai più alti livelli espressivi. Nè va dimenticato l’apporto fondamentale di Robert Planquette, le cui Campane di Corneville rivaleggiavano in popolarità con la lecocquiana Figlia di Madame Angot. Eredi di questa tradizione saranno tra l’ottocento e il novecento Edmond Audran, la cui Mascotte nella versione italiana fece innamorare di sè addirittura Nietzsche; Luis Varney, di cui sono tuttora in repertorio I Moschettieri al Convento e I Piccoli Moschettieri il cui “Duetto dei Granchiolini” fu addirittura inciso su disco all’inizio del 900; Luis Ganne con i due capolavori, I Saltimbanchi e Hans il Suonatore di Flauto; e infine l’operetta da camera di Cristiné, il cui miglior lavoro Phi-Phi, varcò i confini nazionali invadendo l’Europa all’inizio degli anni venti.

Elena D’Angelo

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