L’Operetta a ritmo di Danza

di Elena D'Angelo
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Carissimi amici, vorrei dedicare alla danza l’articolo di questa settimana, interrompendo per un attimo il nostro discorso sulla storia dell’operetta.

Tutto ha inizio con uno sfrenato galop danzato dagli spiriti dell’oltretomba nell’Orfeo All’Inferno di Offenbach; nasce così, il meraviglioso can can.

Da quel momento, l’operetta si serve delle danze più in voga per impreziosire e corredare le sue melodie più accattivanti; già ne La Fille du Regiment di Donizetti, uno dei primi esperimenti della proto-operetta, il secondo atto ospita una danza tirolese. In breve tempo, le idee musicali di Offenbach, Lecocq, Planquette e degli epigoni austro-ungheresi Von Suppè e Strauss si sposano perfettamente ai ritmi del valzer e della polka, della mazurka e della gavotta.

Nel 1886 fa capolino, all’interno del repertorio dell’operetta, il ballo del tango; la prima apparizione risale a La Gran Via di Chueca e Valverde, con l’Aria della Serva, accanto alla Polka dei Marinaretti e al Valzer del Cavaliere di Grazia. Sempre parlando di passi a ritmo di tango-habanera, ecco il brano più famoso dall’operetta Dall’Ago al Milione: la celeberrima Serenata del Torero, del 1904.

F. Lehar, poi, introduce, nel terzo atto de La Vedova Allegra, un ballmusik a tempo di cake-walk, mentre la mazurka, presenza fissa e amata nel genere, si rinnova nella variante più moderna della mazurka russa in Ivonne di Virgilio Ranzato. Altra danza privilegiata all’interno delle operette è la czarda, già presente nel secondo atto de Il Pipistrello; nel 1915 Kalman la celebra e ne esalta lo stile scegliendola per l’esibizione della sua Principessa.

Per dare uno sguardo alla situazione italiana, la magia del tango approda nel nostro Paese nel 1913 con El Choclo; curioso il commento di Papa Benedetto XV, il quale, dopo aver assistito per la prima volta a un’esibizione di tango, pur non trovando sconvenienti le sue movenze, esprime la sua preferenza per i balli popolari della tradizione italiana, come la veneta furlana. Di questa danza in particolare, si ricorderà qualche anno più tardi, nel 1927, Virgilio Ranzato con I Gigli del Redentore e Cri Cri.

One-step, two-step e Fox-trot…dal 1918 in poi saranno loro i protagonisti sulla scena; in Italia, i primissimi esempi arrivano con Nel Parco di Salice del 1919 sempre di Ranzato. Dagli anni Venti, altro genere amatissimo è lo Shimmy, che arricchisce Scugnizza (1922) e Il Paese dei Campanelli (1923), operetta in cui troviamo anche la giava, nota anche come giavanese, che nasce dai ritmi della mazurka russa, con un abbassamento di un tono, e la già nominata gavotta.

Dal 1926 in avanti, a primeggiare tra le danze in scena nei nostri teatri è il frenetico charleston, stile che anima lavori come Primarosa di Pietri e La città Rosa di Ranzato. È doveroso poi citare il black-bottom, come quello dei burattini ne La Danza del Globo, la rumba in Parigi di Notte di Carlo Lombardo, e ancora il filone dell’operetta ungherese, rinnovato dalla fortunata unione di tradizione magiara e melodie jazz, operata dai maestri Kalman e Abraham.

Ancora nel 1942, incontriamo i nostalgici giri di valzer viennese ne La Leggenda del Bosco Incantato da Il Grillo al Castello, operetta musicata dal maestro Pasquale Frustaci, portata al successo da Macario.

Chi poteva immaginare che la nostra amata operetta ospitasse questo autentico tripudio di ritmi, movenze e danze di ogni genere? Non solo il valzer e il charleston; ecco svelato il ricco e variegato mondo dei balli popolari e delle danze di folklore, la cui tradizione, attraverso il genere operetta, si è mantenuta viva nel corso del tempo, rinnovandosi e reinventandosi, certo, ma senza essere mai dimenticata. 

 

Elena D’Angelo

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