Marco Batti: “Dirigo e insegno secondo la regola del buon padre di famiglia”

di Francesco Borelli
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La storia di ogni danzatore si caratterizza di eventi illuminanti che, ancora bambini, li han portati verso una sala danza. Qual è stato, per te, questo evento?

Credo di aver avuto un percorso un po’ insolito; già da bambino la mia ambizione più grande era insegnare. Ricordo che amavo trovare il modo di far capire le cose, tra le più varie, ai miei amici e imitavo in tutto e per tutto la mia Maestra delle elementari. All’età di undici anni poi, sono entrato nella prima scuola di danza: quella del Piccolo Teatro di Siena, allora diretto dalla Baronessa Margherita Sergardi. Simona Cieri, che tra l’altro è mia zia, fu la mia prima insegnante di danza, nonché la prima persona a cui espressi il desiderio di insegnare. Iniziai quindi a studiare e ricordo che, a differenza dei miei compagni di corso, annotavo qualsiasi cosa facessero gli insegnanti o le loro assistenti: gesti, atteggiamenti, persino gli esercizi che facevano durante i corsi che precedevano o seguivano la mia lezione. Passavo ore ed ore ad osservare, affascinato da come venivano fatte capire certe figure e passi, per me così complesse e difficili quanto la terminologia francese.

“Quando si parla di danza non è corretto parlare di sacrifici ma di scelte”. Questo sostiene la Signora Anna Maria Prina; tu sei d’accordo?

Assolutamente sì, non cambierei niente di ciò che ho fatto. Ho compiuto scelte che hanno cambiato il mio modo di pensare, che hanno formato il mio carattere e la mia mente. Oggi reputo che durante le esperienze più dure, e allo stesso tempo importanti – penso a New York o alla Russia – per quanto sia stato difficile, non ne percepivo il peso reale. Ero determinato, e l’unico pensiero costante era quello di migliorarmi, giorno dopo giorno. Ci sono stati molti momenti di sconforto, ovviamente, ma ho sempre avuto la fortuna di avere accanto la mia famiglia che mi appoggiava e sosteneva ad ogni crollo.

Quali sono stati gli incontri per te importanti?

Dovrei fare veramente un lunghissimo elenco. Penso innanzitutto a Franco De Vita e Raymond Lukens – all’epoca Direttore e Codirettore della JKO, scuola dell’American Ballet– che mi hanno aperto gli orizzonti della pedagogia della danza e che sono stati al mio fianco nelle principali tappe del mio percorso coreutico e didattico; hanno perfino composto una splendida prefazione alla mia tesi di Laurea, che non potrò mai dimenticare. Poi, a San Pietroburgo, è stato determinante l’incontro con la Direttrice dell’Accademia Vaganova, Altynai Asylmuratova che con grande fiducia mi ha permesso di conoscere e assistere Natalia Makarova. E infine il mio Direttore all’Eglevsky Ballet di New York, Ali Pourfarrokh che mi ha accolto nella sua compagnia assegnandomi sin dal primo momento ruoli di primo piano. Parlando “in Italiano”, non posso dimenticare il grande, anzi, grandissimo contributo culturale, artistico ed umano dato da Bruno Vescovo, ormai uno dei maestri di riferimento della mia scuola, e da Anna Maria Grossi.  Insieme a questi, tanti altri sono però i nomi che in diversi ambiti e momenti sono stati importanti per la mia carriera.

Hai avuto una formazione internazionale che ha inciso notevolmente sulla tua preparazione, e come danzatore prima e come docente poi. A livello di insegnamento, quanto è importante aver calcato il palcoscenico?

Moltissimo. Io non ho avuto una lunghissima carriera da danzatore, tant’è che a soli 26 anni decisi di ritirarmi dalle scene. Ho lavorato per anni nella compagnia Motus, allora residente presso il Teatro Comunale di Siena, per poi volare oltre oceano a “farmi le ossa” nella compagnia newyorkese Eglevsky Ballet. Qui ho danzato tanti ruoli del repertorio classico e numerose nuove creazioni.  Quando poi, da docente, mi è capitato di insegnare il repertorio agli allievi, ho capito quanto la mia esperienza sul palco fosse determinante.  Accadeva che insegnando mi ritornassero alla mente le parole della Sig.ra Marek o degli altri maître e, l’esperienza accumulata negli anni faceva capolino pronta a divenire veicolo efficace per l’insegnamento. Penso per esempio al ruolo di Espada, l’ultimo che personalmente interpretai a Long Island e che insegnai ad un mio allievo Jacopo Grabar che oggi è uno degli elementi di punta della Sidney Dance Company.

Marco Batti insegnante e Marco Batti coreografo. In quale veste ti senti maggiormente a tuo agio?

Assolutamente come insegnante. Reputo il mio lavoro coreografico molto simile al concetto Felliniano “di necessità virtù”. Il Balletto di Siena è stato fondato per dare un’opportunità concreta di lavoro a tutti i ragazzi che necessitavano di una reale esperienza lavorativa prima di tuffarsi nel mondo dei “big”. Nacque tutto grazie al M° Giuseppe Carbone: egli vide alcuni miei lavori coreografici e mi spinse a chiedere l’appoggio del Comune per fondare una compagnia. Dopo pochi anni la compagnia non si rivelò essere una mera “palestra” per i giovani artisti, ma divenne un vero organico che oggi conta 12 ballerini stabili. In questo progetto, che ormai ha preso piede non soltanto in Italia, mi hanno affiancato talentuosi coreografi che hanno contribuito ad arricchire e la compagnia e il suo repertorio.

L’ Ateneo della danza è un centro di studi professionale riconosciuto per la qualità dell’insegnamento e dei maestri. Perché bisogna scegliere la tua accademia?

Ringrazio per questa domanda: l’argomento mi sta molto a cuore. Ho dato tutto me stesso all’Ateneo della Danza, ho voluto creare esattamente quello che mi sarebbe piaciuto trovare in una scuola di stampo accademico. Ho girato molto, ho avuto la fortuna di essere accolto in grandi istituzioni di livello mondiale, ma purtroppo mi è mancato sempre qualcosa, quel “qualcosa” che reputo sia stato un certo calore familiare. La mia realtà la gestisco come fosse una famiglia, con i pro e contro che ciò comporta, questa è una delle ragioni per cui ho fortemente cercato la collaborazione di Maestri che, in aula, avessero una certa sensibilità. Ne ho conosciuti tanti e adesso, finalmente, lavoro con un team che ha come primario obiettivo il benessere psicofisico dei nostri studenti, oltre alla crescita necessaria per intraprendere una carriera lavorativa nel balletto. Inoltre, l’Ateneo della Danza nel 2014, dopo anni di controlli qualità da parte della Regione Toscana, è stato riconosciuto come Agenzia Formativa, riconosciuta ed accreditata. Ne sono entusiasta.

Esiste un approccio corretto per insegnare la danza ai giovani allievi?

Assolutamente sì, ma non ne esiste uno solo. Sono fermamente convinto dell’esistenza di vari approcci pedagogici, alcuni decisamente più corretti di altri.

Oggi l’approssimazione nell’insegnamento della danza, regna sovrana. Da che cosa si riconosce un buon maestro? Quali sono le linee guida da seguire nella scelta di una buona scuola?

Difficile e spinosa domanda. Una buona scuola si basa innanzitutto sulla presenza di maestri capaci, su una buona organizzazione e sui traguardi che i tuoi allievi riescono a raggiungere. E, ovviamente, non parlo della vittoria ad un concorso. Bisogna poi imparare a valutare i singoli allievi, le qualità psicofisiche di ciascuno e che tipo di approccio desiderano avere nei confronti della danza. Tanti giovanissimi, per esempio, aspirano a studiare in un accademia come la scuola di ballo Teatro alla Scala, ma purtroppo non tutti sono predisposti e non tutti sono disposti ad affrontare ciò che questo comporta. Potrei utilizzare una massima ormai molto famosa per risponde alla tua domanda: “la danza è di tutti, ma non per tutti”.

La danza in Italia vive giorni difficili: quali sono le cause principali e cosa farebbe Marco Batti per risolvere il problema?

Credo che il periodo storico che stiamo attraversando sia uno dei peggiori, ma sono ottimista, e sto lavorando, soprattutto nella mia città, affinché il pubblico torni a teatro a vedere la danza. Purtroppo per troppi anni la danza ha subito una sorta di “qualunquismo” che ha allontanato il pubblico dai teatri. Linguaggi troppo ermetici presentati erroneamente in stagioni teatrali non specializzate hanno contribuito ad allontanare il pubblico di amanti della danza, permettendo di continuare ad appassionare solo gli addetti ai lavori. C’è bisogno di avvicinare i giovani e i meno giovani con spettacoli facilmente comprensibili e godibili. Mi spiego con un esempio: se imponiamo ad un ragazzino di 10 anni la lettura di un testo di Seneca, che cosa accadrebbe? Non comprendendo il linguaggio utilizzato, così lontano dalla propria quotidianità, il ragazzino di cui sopra abbandonerebbe la lettura. Continuando con questo tipo di approccio il giovano fanciullo si allontanerà definitivamente dai libri. Posto ciò, il mio intento è proprio quello di muovere l’interesse dei giovani, estranei al mondo della danza, dedicandogli progetti come “Dall’aula al teatro”, in cui l’obiettivo primario è quello di far comprendere il linguaggio del balletto. Questo progetto, nella mia città, sta portando i suoi primi frutti, e sta donando alla danza un pubblico nuovo.

Molte delle colonne portanti della danza italiana stanno pian piano lasciandoci. A mio avviso l’Italia è un paese che dimentica in fretta: poco rispetto per il passato e per chi ha fatto grandi cose per la danza nel nostro paese. Tu che hai vissuto, studiato e lavorato all’estero, ti sei mai domandato il perché?

Questo mi fa molta paura. Quando mi dedico all’insegnamento mi piace non solo insegnare la tecnica ma anche creare l’occasione per fare”cultura”, scegliendo per esempio musiche tratte dal repertorio, raccontando di cosa si tratta e tutto ciò che concerne il balletto, il coreografo o l’autore. Capita di citare Petipa, Balanchine, Cecchetti, Agrippina Vaganova e vedere volti atterriti. Questo problema è fortemente legato all’argomento affrontato prima. Le persone non vanno a teatro a vedere la danza, nonostante i saggi delle scuole siano pieni di genitori che si azzuffano per avere i posti migliori. C’è interesse solo verso ciò che ci riguarda individualmente, e questo è molto triste. Io mi ricordo che passavo giornate intere dentro le librerie newyorkesi tra libri, video, conoscenza e sapere. Purtroppo è sempre più raro incontrare studenti interessati, realmente curiosi e appassionati. Non che non ci siano, ma è sempre più raro.

Quali sono i tuoi obiettivi?

Mi piace l’idea di rispettare il passato al fine di migliorare noi stessi. Ciò che è stato è una straordinaria fucina da cui attingere per andare avanti e cambiare le cose in meglio.

In un’ottica più personale, vorrei portare la compagnia e la scuola che dirigo a livelli di stabilità e produzione internazionali. Molti i progetti in cantiere di cui non parlo anche un pò per superstizione. Al momento sono felicissimo di essere riuscito, in totale autonomia, dopo la passata tournée negli USA con il Balletto di Siena, a ricevere grandi riconoscimenti in ambito comunale, nazionale e perfino in Oriente, in Giappone.

Chi è Marco Batti oggi?

Un Maestro totalmente immerso nella formazione.

Non saprei come definirmi, sono direttore e coreografo ma reputo che tutto sia basato sulla trasmissione delle regole e delle conoscenze. Dirigo ed insegno secondo la regola del buon padre di famiglia, una famiglia allargata, ovviamente, ma pur sempre una famiglia. Vorrei che molte forme di malsana competizione e cattiveria gratuita, spesso dettate da rabbia o frustrazione, cessassero. Ciò porterebbe la danza italiana a livelli tecnici più alti, ma soprattutto a livelli umani ed artistici migliori. Le energie dovrebbero essere economizzate e focalizzate sulla crescita dei ragazzi nella danza, non su altri aspetti futili ed inutili.

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