Lia Courrier: “Ufficializzo l’esistenza del Fronte di Liberazione dei Danzatori dal Masochismo”

di Lia Courrier
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Dopo tanti anni da danzatrice e insegnante, a contatto con altri miei simili condannati a questa strana dipendenza che chiamiamo ‘passione per la danza’, sono arrivata ad una drammatica conclusione, che spiegherebbe in parte anche il motivo per cui la danza si ritrova ad essersi guadagnata questo odioso soprannome di ‘Cenerentola delle arti’.

Che poi a me questa Cenerentola non è mai piaciuta: “povera Cenerella, tutto il giorno a pulire per la matrigna e le sorellastre” quando io stessa, con una cagnolina e due gatte, non faccio che passare le mie poche ore libere a tirare a lucido la casa, e in più veleggio anche da una sala danza all’altra dalla mattina alla sera, ma nessuna fata è mai venuta a casa mia per trasformare una zucca in carrozza o la mia vecchia tuta in un elegantissimo abito da gala. E poi diciamocelo, tutto questo affannarsi solo per conquistare un principe, lo trovo anacronistico, fuori tempo massimo, per di più indossando quelle scarpe di cristallo, che al solo pensiero il mio alluce valgo urla dal dolore. Care fatine, se mai verrete da me sappiate che l’unica cosa che vi chiederò sarà di pulire la casa al posto mio.

Tornando a noi, la tragica verità sui danzatori, che mi si è palesata davanti anno dopo anno in modo sempre più chiaro e cristallino, è la nostra natura masochista, neanche troppo latente. Questa componente del carattere danzerino temo superi persino il nostro narcisismo, che è presente, in modo evidente, ad uno stadio superiore rispetto alla media degli altri esseri umani. Ovviamente generalizzo, mi piace prendermi in giro, sono la prima ad aver avuto un bel da fare per estirpare questa tendenza dalle mie azioni quotidiane, proprio per questo vorrei mettere in evidenza alcune situazioni nelle quali, ne sono certa, in molti vi riconoscerete.

Ufficializzo l’esistenza del Fronte di Liberazione dei Danzatori dal Masochismo!

Già l’iter formativo che bisogna affrontare, per apprendere l’arte del movimento, è tale da far impallidire un militare. Non solo dal punto di vista fisico, ma anche emotivo e mentale: è richiesta una concentrazione continua ed una presenza totale in ogni momento della lezione e della preparazione di uno spettacolo, nonché in scena; senza pensare alle infinite ripetizioni anche del gesto apparentemente più insignificante, prima di ottenere un’esecuzione soddisfacente. Il dolore fisico diventa il tuo compagno per tutte le stagioni, nel senso che in ogni stagione hai un diverso corredo di acciacchi, doloretti, lesioni, usure, immancabili, onnipresenti, al punto che non so come sia possibile che il mio corpo, oggi, riesca a stare ancora tutto insieme senza perdersi i pezzi per strada. Per affrontare simili prove devi essere motivato, certo, avere forza di volontà, di sicuro, ma bisogna anche covare una qualche tipologia di masochismo, altrimenti non si potrebbe resistere così a lungo e con una tale determinazione.

Il maestro, per essere considerato tale, deve almeno insultarti una volta al giorno, ti deve urlare contro e/o usare le mani per forzarti nelle posizioni, il caso contrario può avere solo due significati: o non è un bravo maestro oppure non ti considera all’altezza delle sue correzioni. In pratica quanto più ti tratta -per usare un termine caro a Totò- come una fetecchia, tanto più vuol dire che sei bravo. La gentilezza pare non sia un attributo desiderabile in un maestro, perché il vero danzatore è un duro, che non piange mai, che non molla, neanche quando dovrebbe.

Altrimenti vuol dire che non hai la stoffa.

Una stoffa pesante e spessa come quella di un sipario, però.

Parliamo delle condizioni contrattuali? Ho lavorato tante volte con attori, cantanti e musicisti, e mai nessuno di loro si è piegato ad accettare offerte di lavoro che i danzatori invece hanno sempre preso al volo allegramente: nessun rimborso per gli spostamenti, interminabili ore di sala prove (non pagate), minimo sindacale per gli spettacoli e pagamento effettuato almeno 90 giorni dopo. Manca solo che ti trattengono i soldi del costume dalla paga e siamo a posto. Qualsiasi altro professionista darebbe fondo all’amor proprio e declinerebbe l’offerta, ma il danzatore invece attinge al suo masochismo e accetta, non senza una sottile vibrazione lussuriosa nel farlo. Gli piace essere sfruttato? Sottomesso? Forse qualcuno di voi ha una risposta a questo enigma.

Capita un infortunio? Perché mai stare fermi e cercare di guarire in fretta, quando ci si può rimpinzare di farmaci per inibire il dolore, per continuare a studiare e lavorare, male, provocandosi una costellazione infinita di altri problemi e prolungando all’infinito la riabilitazione? Il sacchetto del ghiaccio e i cerotti colorati sono come trofei, che portiamo con orgoglio, convinti che le risorse auto-rigenerative del corpo siano infinite e che basti fare finta che il problema non esista affinché magicamente scompaia. Quando il danzatore si trova ad attraversare la fase che io chiamo ‘da supereroe’, può credere di essere una sorta di guerriero mistico, un angelo salvatore, come se in sua assenza il mondo rischiasse di finire. Ma noi non stiamo salvando il mondo, stiamo solo danzando, dovremmo sempre ricordarcelo.

Sempre sotto la pressione delle aspettative e dei desideri, è l’esistenza del danzatore. I propri e quelli proiettati dagli altri: dai maestri, dai coreografi, dai genitori, dal pubblico. I danzatori a volte si allontanano da quelli che sono i propri bisogni primari, e si smarriscono nel tentativo di soddisfare quei desideri. A qualunque costo. Si diventa masochisti per restare a galla, per non bruciarsi le occasioni, per non mostrare le ferite.

Ho sempre trovato questo un meccanismo perverso, una prigione nella quale ci si rinchiude da soli, che diventa una sorta di armatura medievale da cui è difficile uscire. Siamo creature spesso drammatiche e contorte, dovremmo imparare ad osservare le cose dalla giusta distanza, per capire davvero se e cosa vale la pena di sacrificare di sé stessi per questa causa.

“Prendete la vita con leggerezza, che la leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto senza macigni sul cuore”, diceva Italo Calvino.

Ti sei riconosciuto in questo racconto? Ma allora cosa aspetti?

Unisciti anche tu al Fronte di Liberazione dei Danzatori dal Masochismo.

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