Lia Courrier: “Quanto ancora possiamo spingere il potenziale corporeo dei danzatori?” – seconda parte

di Lia Courrier
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Quando siamo costantemente esposti al martellamento di video che mostrano ballerini in grado di eseguire movimenti praticamente impossibili, anche giovanissimi, e siamo raggiunti solo da questo ideale di perfezione tecnica, qualcosa nella nostra personale percezione della danza si sposta, veniamo in qualche modo portati a pensare che si diventi bravi danzatori solo quando si è in grado di fare quelle cose. Allora corriamo il rischio di sceglierci gli esempi sbagliati, quelli che ci portano lontani dalla missione che ogni ambasciatore dell’arte dovrebbe avere ben chiara in mente.

Storie come quelle dei personaggi che ho citato nella prima parte di questo numero, oggi sono praticamente impossibili da ritrovare, almeno in questa parte di mondo, dove il capitalismo ha portato ad un profondo cambiamento della qualità della vita. Quelle di cui ho parlato sono esistenze vissute in un’epoca in cui tutto era possibile, anche diventare prima ballerina assoluta ed essere quasi totalmente non vedenti, come la compianta Alicia Alonso recentemente scomparsa.

Vorrei dire a tutti i giovani aspiranti danzatori che non c’è alcun merito nell’essere nati con un corpo perfettamente disegnato per danzare, si tratta solo di una fortunata coincidenza genetica, quella che consente ad alcune persone di avere mobilità articolare, collo del piede, braccia e gambe lunghe, magrezza e un bel viso. Sylvie Guillem in molte interviste ha dichiarato di essere consapevole di aver ricevuto in dono, alla nascita, uno strumento perfetto per danzare. Il suo merito non sta in quello, ma nel modo in cui è stata in grado di farlo risuonare nel movimento.

Ci sono tantissimi ballerini nel panorama del balletto odierno, che trovo quasi grotteschi nel modo in cui spingono le gambe oltre la testa, cambré esasperati, salti spinti al punto da perdere il controllo negli atterraggi, pirouette fuori musica perché si punta solo a farne il più possibile, e tutto questo a discapito dell’espressività, del personaggio, del senso di quello che si sta facendo in scena. Eppure sto parlando di ballerini famosi e osannati da critica e pubblico, ma che non riescono a toccarmi, non mi coinvolgono, non credo nella loro interpretazione se non come una mera esibizione di virtuosismo e di ego. Si tratta di persone di cui percepisco spesso, quando le ascolto parlare nelle interviste, la mancanza di profondità, di quella sensibilità e senso di responsabilità che ogni artista dovrebbe avere ogni volta che mette piede in scena, non solo nei confronti del gesto tecnico, ma del ruolo, e per ruolo intendo non solo quello che si sta interpretando sulla scena, ma quello che si ritiene di occupare nei confronti della società, del pubblico, dei giovani danzatori che si pensa di poter ispirare, nel messaggio mediatico che tutti i personaggi famosi emanano ad ogni apparizione o dichiarazione.

Viviamo nell’era dell’immagine, il senso della vista domina le nostre esistenze e sceglie, si lascia attrarre, fascinare, catturare da tutto ciò che viene esposto maggiormente, da tutto ciò che non richiede uno sforzo per poter essere assorbito passivamente: siamo dei consumatori compulsivi di immagini, e nella foga di incamerarne il più possibile non ci soffermiamo mai ad ascoltare cosa quelle immagini provocano nel nostro corpo emozionale. Un ballerino che assurge alle prime pagine delle riviste è automaticamente bravissimo, il più bravo, il più grande ballerino di tutti i tempi, titolo che viene spesso assegnato da chi forse ha dimenticato cosa vuol dire essere artisti, da chi non lo ha mai saputo, oppure dai critici, che spesso hanno interessi personali a promuovere un danzatore o un coreografo piuttosto che un altro (non me ne abbiate, ma gli esempi nel passato sono tanti ed eclatanti). A maggior ragione oggi, quando praticamente tutto è stato già fatto e detto, emergere dalla banalità diffusa, con un messaggio degno di interesse, è ancora più difficile e raro, e forse è proprio per questo che il terreno su cui si gioca la partita è quello dell’atletismo e del virtuosismo, poiché ancora in quella direzione si può tentare qualcosa che non è mai stato fatto prima. Ma questa direzione dove ci porta? Quanto ancora possiamo spingere il potenziale corporeo dei danzatori? Quanto ancora possiamo allontanarci dalla danza?

Vorrei chiedere ai giovani allievi, di qualsiasi età, livello e obiettivo, di non lasciarsi abbindolare da questi numeri da circo di cui spesso ci si ubriaca sul web. Passate pure il tempo a guardare queste cose, se vi piace, ma siate consapevoli che si tratta solo di superficiale intrattenimento e nulla di più. Un gioco puerile. Una trappola della vanità.

Intendiamoci: fare tante pirouette richiede certamente un lungo studio ed un buon controllo del corpo, ma la danza non è lì. O meglio, la danza può essere presente anche nelle pirouette se dentro a quella pirouette riesco ad infondere l’anima del personaggio che sto interpretando, se riesco a renderla musicale dalla partenza alla chiusura, altrimenti rimane un puro esercizio ginnico, certamente ben eseguito.

Sceglietevi degli idoli che non siano necessariamente belli e virtuosi, ma che siano autentici. Non sempre questo tipo di artista non arriva ad una fama planetaria, per questo vi consiglio di non accontentarvi di quello che vi raggiunge facilmente, ma di andare a cercare voi stessi l’ispirazione, scovare quel danzatore che vi fa vibrare quando lo guardate, che vi sorprende per senso del rischio, personalità, interpretazione, versatilità e, ancora una volta: autenticità.

Quando ci si sceglie degli idoli a cui ispirarsi, se proprio pensiamo sia necessario averne, è bene puntare all’inarrivabile, perché se avere dei riferimenti può servire a qualcosa è proprio questo: non ad accarezzare il nostro senso estetico, ma a smuoverci nel profondo, a metterci in contatto non solo con il successo ma anche con la difficoltà e la resistenza che si incontra per raggiungerlo. Non solo luce ma anche zone d’ombra.

Porci di fronte a ciò che la danza chiede in cambio, per quell’istante di pura, esaltante  elettricità.

Se c’è un argomento di cui volete parlare, e che non ho mai finora affrontato in questa rubrica, potete scrivermi una lettera alla casella di posta [email protected], leggerò volentieri il vostro punto di vista sulla danza, per ampliare e arricchire la discussione sull’insegnamento della danza.

Scrivetemi!

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