Una delle grandi tematiche nell’insegnamento della danza, specialmente in ambito amatoriale, è quella dell’attaccamento reciproco tra insegnante e allievo.
Quando la relazione è sana e armoniosa, nel rispetto dei reciproci ruoli, rappresenta il frutto naturale della della stima reciproca e dello scambio umano e energetico che intercorre tra le due figure. Nei casi in cui il limite viene oltrepassato, da una o da entrambe le parti, delle ombre potrebbero farsi strada e rendere meno cristallina la relazione.
Dalla prospettiva dell’allievo, può manifestarsi un’idealizzazione della personalità dell’insegnante, oppure un’ intimità emotiva, amicale, espressa con una qualità che poco si addice ai confini che dovrebbero sempre essere mantenuti in questi casi. L’allievo, tuttavia, può occupare solo lo spazio che l’insegnante lascia disponibile, ci deve essere un’intenzione comune affinché la condivisione tra insegnante e studente si trasformi in qualcos’altro, sta all’adulto mantenere una distanza ben definita, pur sempre con gentilezza, accoglienza, rispetto e una grande capacità di ascolto, specialmente se ci si relaziona con adolescenti.
In ambito amatoriale capita spesso di incontrare l’insegnante da bambini e continuare a studiare con lui o lei fino all’età adulta. È del tutto naturale in questi casi sviluppare affetto per una persona con cui si è trascorso così tanto tempo, si diventa quasi come di famiglia, per tutte le volte che ci si è sentiti supportati nelle tante fasi di trasformazione e scoperta di sé. Tuttavia questo legame esclusivo rischia di inibire la curiosità dell’allievo verso altri insegnanti, assaporando altri punti di vista, aprendosi a ciò che non si conosce, preferendo restare nel conforto di una connessione così consolidata e priva di rischi.
Dalla prospettiva del docente, a volte si può cadere in un radicato e persistente senso di possesso nei confronti dell’allievo, come se lo si volesse tenere con sé per sempre, desiderio comprensibile, che nasce quando c’è un’intesa speciale, ma che resta pur sempre irrazionale, inconcepibile, irrealizzabile.
Le persone appartengono a loro stesse soltanto, persino i genitori dovrebbero aver capito che i propri figli sono anime venute al mondo con un proprio percorso da seguire e che il modo migliore per sostenerli è accompagnarli nel loro cammino lasciandoli il più possibile liberi di scegliere, anche di fare errori, se questo può servire ad imparare nuove abilità e consapevolezze. Nella visione che lo yoga mi ha donato, persino il nostro corpo fisico non ci appartiene ma ci è stato dato in prestito per vivere questa straordinaria esperienza umana. Da questa prospettiva è evidente: pensare che qualcuno ci appartenga, qualsiasi sia la natura della relazione personale in oggetto, è un’aspettativa che inevitabilmente concluderà la sua parabola in una delusione.
Può anche capitare che l’insegnante proietti sull’allievo ambizioni che sono proprie, usandolo inconsapevolmente per realizzazioni personali. Gli allievi, alla constante ricerca di conferme e riconoscimento da parte della guida che stimano, possono accontentare queste richieste, anche quando si allontanano da quelli che sono i propri obiettivi, bisogna sempre restare in guardia per rimanere lucidi e aiutare le persone a realizzare ciò che sono e non ciò che vorremmo che fossero.
Nella mia esperienza ho capito che il lavoro dell’insegnamento porta costantemente a fronteggiare le proprie insicurezze, allo stesso tempo però il ruolo richiede di mantenere un’apparente fiducia in sé stessi e questo sforzo può trasformarsi in una maschera. Quando la indossiamo, volontariamente o meno, ci sentiamo protetti dagli sguardi, certi che nessuno possa colpire nel nostro ventre molle, vulnerabile ed emotivo, ma questo è un palliativo che può funzionare solo temporaneamente. In qualità di guide è bene guardare dentro alle nostre aree più fragili per vederle e sanarle un po’ alla volta, lasciando cadere ogni maschera e mostrandosi trasparenti, sicuri di ciò che si è e si conosce, certi che tutto questo non rappresenti una qualsivoglia verità assoluta.
Con una simile attitudine forse sarà possibile mantenere una relazione equilibrata con i nostri studenti e quando questi manifesteranno la volontà di uscire dal nido, studiare con qualcun altro, fare l’audizione per una formazione professionale o cambiare scuola, saremo così centrati da sostenere queste scelte, perché ogni cambiamento, anche quello desiderato, comporta comunque una dose di sofferenza, non c’è sconto per nessuno. Quando, per qualche motivo, le persone hanno bisogno di prendere distanza da noi, l’unica cosa da fare è lasciarle andare e mantenere la porta aperta qualora volessero tornare, se davvero teniamo a quella relazione.
Nella mia storia personale, la mia prima maestra, che ho adorato, stimo immensamente e che ringrazio per tutte le cose che mi ha insegnato (oltre la tecnica anche disciplina, serietà, impegno e molto altro), nel momento in cui decisi di muovermi verso Milano perché un’insegnante mi aveva proposto di studiare a livello professionale, ebbe una reazione molto intensa e arrabbiata che mi fece stare male. Ciò che mi ferì più di tutto fu una farse che alludeva al fatto che tanto non sarei mai riuscita a combinare granché con la danza. Avevo quindici anni e all’improvviso mi sentivo sola contro il mondo, perché la persona che mi aveva pazientemente insegnato tutto ciò che sapevo fino a quel momento, che mi aveva accompagnata per dieci lunghi anni di dedizione, che mi aveva portata più volte in scena in variazioni solistiche al saggio, non era più al mio fianco.
Oggi comprendo meglio quel moto di stizza che l’aveva colta, stretta in una stratificazione di emozioni forti e contrastanti, anche perché eravamo andate via in tre nello stesso anno, e forse aveva anche ragione nel pensare che non avrei avuto un grande futuro come ballerina, una premonizione che si è effettivamente realizzata, dal momento che ho calcato le scene per poco più di una quindicina di anni. Non sapeva che il mio destino con la danza, un desiderio sconosciuto persino a me allora, era di diventare un’insegnante, come lei.
Non poteva immaginare quanto la sua presenza e i suoi insegnamenti sarebbero stati cruciali in questo lavoro che amo, almeno quanto lo ha amato lei, altrimenti forse avremmo potuto lasciarci meglio di come effettivamente è stato. Quanto scritto riguarda solo il mio percepito, certamente lei ha vissuto la sua verità e avrà avuto delle buone ragioni per dirmi quello che ha detto. Non amo troppo parlare di accadimenti personali, ma questo racconto è pertinente all’argomento di oggi e il finale di questa storia è che l’improvviso distacco è stato così traumatico per me, che come insegnante non ho mai sviluppato alcun senso di possesso nei confronti degli allievi che hanno popolato le mie classi.
Nella formazione con cui collaboro si affrontano cicli di tre anni, dopo i quali i ragazzi vanno in giro per il mondo alla ricerca di un posto in cui sviluppare le competenze acquisite direttamente sul campo. Con molti di loro ci salutiamo alla fine del terzo anno con le lacrime agli occhi per la commozione e la gratitudine, ma nella maggior parte dei casi non c’è più alcun contatto, si staccano da me e da quello che ho rappresentato per loro con un taglio molto netto. All’inizio è stato difficile abituarmi a questo passaggio ma oggi penso sia giusto così, mi sento pronta ad affrontare questi addii, non gliene faccio certo una colpa. Aver contribuito a posare anche solo un piccolo mattoncino per lastricare la loro strada verso la realizzazione come danzatori è già soddisfacente, non penso di avere alcun merito nei loro successi se non quello di averli aiutati a incontrare se stessi, loro hanno fatto il resto, con impegno, intuito e determinazione. Quando capita per qualche motivo che la vita ci riporti in sala assieme è sempre una grande festa.
Quando si incontrano studenti talentosi e dediti è un tale piacere lavorare insieme che si vorrebbe non finisse mai, ma è proprio con queste persone che bisogna mostrare ancora meno attaccamento, perché per la loro realizzazione con la danza è giusto che esplorino più opzioni possibile, che studino con tanti maestri diversi, che si misurino con le proprie intuizioni e progetti. A noi non rimane che essere felici dei loro progressi e riconoscimenti.