Lia Courrier: “Perché danziamo?”

di Lia Courrier
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Perché danziamo?

In molti contenuti sui social i ballerini e le ballerine condividono foto o brevi video dei ringraziamenti che seguono le loro esibizioni indicandolo come il momento più bello. Alcuni addirittura si sbilanciano descrivendolo come il motivo per cui si fatica tutta una vita: stare davanti ad un pubblico che ti applaude approvante. Allo stesso modo molti artisti si sentono profondamente offesi dai critici se non scrivono buone recensioni alle proprie prestazioni ma, se invece vengono da questi lodati, ne fanno striscioni da esporre in ogni dove affinché tutti sappiano. È chiaro che sentire il pubblico applaudire alla fine di un’esibizione è sempre un bel momento, ma la dura verità è che siamo ossessionati dall’approvazione altrui, abbiamo bisogno di queste continue conferme e rassicurazioni dall’esterno per vedere il nostro valore, che altrimenti non si riesce a riconoscere.

Davvero danziamo per ricevere gli applausi? Io credo che questa sia una visione un po’ infantile del mestiere di danzare. Quando ero una piccola narcisista in erba mi scioglievo alla fine del saggio, nel sentire i genitori spellarsi le mani per applaudire le nostre claudicanti danze, ma quando poi ho incontrato la danza come scelta di vita mi sono resa conto che c’era molto di più in ballo, che l’esigenza che mi muoveva dimorava nelle profondità del mio essere e forse addirittura mi era stato elargito da qualche vita passata poiché nessuno si spiegava come una bambina di tre anni potesse essere così determinata. La decisione presa allora l’ho poi portata avanti fino ad oggi con la stessa energia e come me molti altri che ho incontrato sul mio cammino, che avevano ricevuto un’epifania simile alla mia e non riuscivano a vedere altra strada davanti se non quella.

Non credo che gli applausi e le buone recensioni siano così importanti per un artista che è sicuro di cosa sta facendo e della qualità che porta in scena. L’arte non è soltanto un intrattenimento estetico che accarezza i sensi, appagandoli e mettendoli di fronte ad una bellezza canonica e preconfezionata. Il ruolo dell’arte dovrebbe essere anche quello di scuotere le coscienze, stimolare riflessioni esistenziali, non è detto che debba essere sempre accomodante, rassicurante o qualcosa in cui subito sentirsi comodi.

L’idea romantica dell’artista di successo che viaggia nelle sfere superiori, acclamato, divinizzato e mistificato è una visione edulcorata, tinta di rosa di cosa sia l’arte e del suo ruolo nella società.

Ho parlato più volte in questa rubrica della prima assoluta de “Le Sacre Du Printemps” di Stravinsky-Nijinsky che fu fischiata al punto da costringere il coreografo a stare dietro alle quinte battendo tempo per aiutare i danzatori a seguire la musica anche senza poterla sentire. Opera considerata oggi un capolavoro anche grazie alla brillante ricostruzione che tempo fa il Joffrey Ballet fece seguendo gli appunti originali del grande coreografo.

Anche in tempi decisamente più recenti, potrei recuperare l’anno ma non è importante, un’opera della magnifica, immensa Maguy Marin fu disapprovata e fischiata pesantemente. Questo è il racconto che mi è stato fatto da chi era presente in sala: metà del pubblico si è alzato ed è uscito, chi è rimasto urlava e fischiava e qualcuno ha addirittura invaso il palcoscenico in segno di disprezzo per quello che stava guardando. I danzatori hanno comunque concluso la performance.

Pensate che Maguy Marin abbia poi realizzato altre creazioni pensando di dover accontentare quel pubblico, dandogli in pasto qualcosa che avrebbero potuto gradire? Non credo proprio. Quando un artista è centrato nella sua visione, quando possiede e riconosce il proprio talento e la propria maestria, quando sente di essere in un flusso creativo che lo sta portando in zone fino a quel momento ancora inesplorate e feconde, non si preoccupa di avere l’approvazione del pubblico, fa quello che fa per un bisogno profondo di assecondare e onorare quella sorgente divina che è la creatività.

Molto spesso le opere di questi geni ci mettono un po’ di tempo prima di venire riconosciute, proprio perché rompono gli schemi, ci costringono a fronteggiare qualcosa che sfida il nostro stesso concetto di bellezza e armonia, che non sono valori assoluti e inamovibili. L’apporto e la spinta vitale che queste brillanti menti hanno dato all’arte nella sua interezza è inestimabile, sono esempi di coraggio e fedeltà alla propria missione, al proprio progetto originario. Un’artista come Maguy Marin all’epoca di questo episodio era già un’artista acclamata e famosa per opere come “May-B” o “Cinderella” che sono pezzi fondamentali della storia della danza, avrebbe potuto accontentarsi degli applausi, non sarebbe stato difficile per lei replicare infinite copie di ciò che piace al pubblico e ai critici, ma la sua esigenza l’ha spinta oltre il consenso e l’approvazione perché aveva messaggi importanti da lasciare ai posteri.

“Umwelt” (la pietra dello scandalo) e “BiT”, sono solo due tra le tante opere eterne e sempre attuali, un racconto dell’umanità attraverso gli occhi lungimiranti di una donna che non teme di guardare dentro all’abisso, non senza una certa cinica ironia. Se oggi compagnie come Peeping Tom raccolgono consensi trasversali e vengono osannate da pubblico e critica è solo perché prima ci sono state persone come lei a spianare la strada ad una nuova fruizione del teatro, ad una nuova idea della danza.

Nonostante la straordinarietà e la bellezza dell’opera di Maguy Marin, comunque, non è certo l’unica ad aver portato nuove vesti e colori per la danza. Tante sono le personalità presenti oggi su tutti i libri di storia della danza che nella loro epoca erano state criticate e fischiate, sostenute da quei pochissimi che riuscivano a riconoscerne il potenziale.

Quindi, alla luce di tutto questo: perché danziamo?

La danza è nata con l’essere umano, agli inizi non si danzava mica per intrattenere o per deliziare il pubblico: si danzava perché il movimento ritmico porta a stati alterati della coscienza, ad un moto ascendente dello spirito, all’estasi, come ci insegnano i sufi. Consiglio la lettura del libro di Curt Sachs “storia della danza” a chiunque fosse interessato a questo tipo di tematica, per scoprire le origini della danza e come sia stata inizialmente praticata principalmente in ambito rituale. Questa origine è ancora in noi, anche se la mercificazione ha portato la danza a diventare un prodotto commerciale che, in quanto tale, ha ragione di esistere solo se custodisce in sé una qualche forma di appeal per attrarre “clienti”. Aggiungiamo anche il fatto che stiamo vivendo un momento di grandi incertezze personali, disorientamento, sovradimensionamento dell’ego, utilizzo dei social, tutti elementi che rendono le persone drammaticamente dipendenti dall’approvazione altrui e poco inclini a guardarsi dentro per conoscersi. Tutto ciò che si fa viene mosso dal desiderio di piacere e non dal bisogno di osservare il proprio mondo interiore.

Molti grandi artisti si stanno rendendo conto della deriva che una certa parte di danza sta prendendo. Qualche giorno fa un post contenente una dichiarazione di Alessandra Ferri (di cui non sono riuscita a risalire alla fonte) ha fatto il giro del web, e prima anche il mitico Steve McRae aveva scritto qualcosa a riguardo. Dal mio modestissimo parere credo che quanto detto sopra potrebbe essere oggetto di quel dibattito necessario di cui parlava Ferri, del perché la danza non profumi più di quella autenticità a cui ci avevano abituati gli artisti del passato. È molto importante che chiunque trasmetta la danza alle nuove generazioni, chiunque sia seduto al tavolo delle giurie dei concorsi, si ponga queste domande e faccia delle riflessioni a riguardo, perché siamo proprio noi insegnanti di danza ad avere in mano le sorti di questa arte.

Essere o apparire? Scegli tu.

Crediti: Alamy 2E3HM6N

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