Lia Courrier: “Oggi non è un buon giorno per scrivere di danza”

di Lia Courrier
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Sono davanti alla pagina bianca da qualche minuto senza trovare una motivazione per scrivere.

È come se una vocina dentro di me mi dicesse che in certe situazioni il silenzio è l’unica risposta possibile. Lascerò che un flusso di pensiero si manifesti attraverso la danza delle mie dita sulla tastiera, l’unica danza che in questo momento mi sembra plausibile eseguire.

Con grande fatica abbiamo attraversato questi ultimi due anni, tra mille difficoltà e ostacoli, assistendo ad una carneficina sociale che ci ha visti separati, arrabbiati, arroccati nelle proprie posizioni, a difendere confini con mura sempre più alte e rinforzate, invisibili ma inespugnabili. Si stava quasi intravedendo uno spiraglio, uno spazio in cui avremmo forse potuto cominciare a curare le profonde ferite inferte (che molte persone stentano persino a vedere, parlando di un fantomatico ritorno alla normalità di cui non mi sento per niente partecipe), ed ecco che un altro colpo viene inferto, forse molto più preoccupante: lo spettro di una guerra.

Se già prima era difficile pensare al futuro, progettare, realizzare, adesso è impossibile non restare pietrificati davanti a ciò che sta accadendo, specialmente alla luce del contesto in cui questa guerra sta allungando le dita sull’Europa. La società è spaccata, il conflitto era già esploso nei nostri cuori a seguito delle divisioni create ad arte dalla politica e dai media. Le città contemporanee sono ambienti inospitali, che le conseguenze di una guerra farebbero diventare inadatte alla vita: no acqua, no elettricità, no gas, no rifornimenti alimentari, questo vorrebbe dire assenza di qualsiasi servizio o bene di prima necessità e la conseguente urgenza di migrare verso un altrove attualmente inimmaginabile. Come al solito l’informazione non informa, ma anzi, crea ancora più confusione diffondendo una narrazione che non corrisponde alla realtà, o comunque ne racconta solo una parte senza considerare il contesto più ampio, per non parlare della tv nazionale che diffonde scene di un videogame spacciandole per riprese reali.

No, decisamente questo non è un buon giorno per scrivere di danza.

La bellezza salverà il mondo? Non credo. Forse può renderlo migliore, può concederci un istante di grazia, una tregua dalle brutture del mondo, ma se la bellezza potesse salvare il mondo l’avrebbe già fatto. Ad ogni modo è sempre doverosa una precisazione: il mondo non ha alcun bisogno di essere salvato, siamo noi umani a non riuscire a viverci in pace, quindi semmai l’azione da fare è trovare una via percorribile per ricordarci chi siamo e perché siamo qui.

In queste ultime ore nel mondo dello spettacolo internazionale, come avrete letto, si è sollevata una voce decisa e ferma, da parte di chi si muove nelle alte sfere della cultura. Moltissimi registi, direttori, coreografi, cantanti hanno deciso di rompere i loro contratti in segno di protesta verso il governo che ha fisicamente attuato il bombardamento su territorio ucraino, e questo è certamente un bel messaggio, un segnale forte che probabilmente non sortirà nessun effetto, ma che è comunque importante dare. Bisogna anche considerare che si era appena ricominciato a calcare le scene dopo anni di interruzioni, anni che la cultura ha attraversato sempre più agonizzante. Questi artisti quindi ci insegnano che il detto “lo spettacolo deve andare avanti” ha senso fino ad un certo punto, che ogni tanto è giusto sospendere lo spettacolo, a scapito persino degli interessi personali, per lasciare uno spazio vuoto in cui riflettere.

No, decisamente questo non è un buon giorno per scrivere di danza.

In guerra non è possibile pensare che qualcuno abbia ragione o torto, e non è neanche la prima guerra che l’umanità affronta, anzi, senza andare troppo indietro nel tempo, proprio nel momento in cui sono precipitati i fatti che ci riguardano così da vicino, altre guerre si stavano combattendo in ogni angolo del mondo, di cui quasi nessuno si è interessato, eppure i civili uccisi non si riescono neanche a contare. I processi che portano alla nascita di un conflitto sono sempre gli stessi, come le motivazioni: potere, ricchezza, controllo. Nonostante il karma collettivo ci riporti sempre lì, dandoci la possibilità di fare scelte diverse, noi cadiamo sempre nel conflitto, è come se in questo assurdo gioco dell’oca arrivassimo sempre nella casella “torna al punto di partenza”: un copione recitato innumerevoli volte e mai sovvertito nel finale.

In questo momento è importante restare lucidi e continuare ad informarsi per comprendere come le radici di ciò che stiamo vivendo in questi giorni fossero site nella storia degli ultimi 20 anni, in un complesso braccio di ferro tra potenze, con i governanti che hanno preso decisioni che riguardano tutti noi senza neanche interpellarci. Penso sia molto più importante spendere tempo a studiare, leggere, ascoltare i giornalisti seri che da decenni si stanno occupando della situazione calda in questi territori, piuttosto che condividere citazioni su Facebook a sostegno della popolazione ucraina, che si merita di più: che la storia di questo popolo venga conosciuta e compresa, nella sua complessità, nelle tensioni reciproche che l’hanno dominata e frammentata, nel suo territorio così importante strategicamente per la Nato (dovrebbe farci pensare già il fatto che sia subito intervenuta la Nato anziché l’Onu, in questa brutta storia) e nelle innumerevoli mancate occasioni in cui avremmo potuto evitare di arrivare dove siamo.

No, decisamente questo non è un buon giorno per scrivere di danza.

Stiamo ballando una danza macabra, in cui il nostro piccolo paese si muove verso nuove miserie, portandosi addosso i cadaveri e le alleanze dell’ultima guerra vissuta sulla pelle dei nostri nonni, alleanze che ci rendono pedine obbedienti pronte a buttarsi nel fuoco come kamikaze senza neanche domandarsi il perché. Davvero è questo che vogliamo? Riusciamo a vedere con chiarezza chi sta manovrando i fili che hanno provocato questi eventi? Forse qualcuno potrebbe pensare che non è importante capire, la cosa importante è dire un fermo NO alla guerra, ma io penso invece che non ci si possa sentire estranei alla storia di cui facciamo parte, e che continuiamo ogni giorno a anche noi a scrivere, con le nostre azioni e con il nostro pensiero, altrimenti saranno sempre altri a decidere per noi, che resteremo nell’ignoranza e nella falsa convinzione di essere fautori del nostro destino.

Chiudo questo scritto, che nulla ha a che fare con la danza, ma molto con il sentire che ogni artista dovrebbe coltivare, con una frase del compianto Tich Nhat Hahn, il monaco buddhista vietnamita, poeta e attivista per la pace:

“Nel protestare contro una guerra, possiamo credere di essere una persona pacifica, un vero rappresentante della pace, ma questa nostra presunzione non sempre corrisponde alla realtà.

Osservando in profondità ci accorgiamo che le radici della guerra sono presenti nel nostro stile di vita privo di consapevolezza.

Se noi non siamo in pace, non possiamo fare niente per la pace”.

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