“Don’t judge a book by his cover”
Questo cantava Frank-N-Further (interpretato dal magnifico Tim Curry) nel celebre e amatissimo “Rocky Horror Picture Show”, con labbra glitterate, lingua saettante e occhi maliardi.
Il significato profondo di questa antica espressione, che esiste anche in italiano, potrebbe essere applicato al nostro ambito di pertinenza, parafrasato come: “non giudicare un insegnante dal suo allievo”.
Troppe volte mi è capitato di ascoltare secche sentenze di condanna dirette ai colleghi a partire dall’osservazione del livello di preparazione dei loro allievi, o anche perché sono stati formati secondo una scuola differente e si sa che molti insegnanti si illudono di essere custodi dell’unica, sola verità possibile. Nel mio lavoro gli allievi arrivano da grandi e spesso con diversi anni di studio alle spalle, so bene quanto sia difficile, sia per me che per loro, trovare una linea comune su cui muoversi e condividere il percorso.
I primi mesi insieme è tutto un: “la mia maestra mi ha detto di fare così” oppure “il mio maestro chiama questo movimento cosà”, occorre molto tempo per instaurare una fiducia reciproca per abbandonarsi alla guida di qualcun altro, soprattutto quando il legame con il precedente insegnante è profondo e antico. A volte scelgo di lasciare loro la possibilità di mantenere qualche abitudine dai loro precedenti studi, per aiutarli ad una transizione dolce e senza troppi traumi e anche per far capire loro che non sono interessata a sostituirmi a nessuno.
Ad esempio da sempre utilizzo il battement frappé con il cou de pied flex, e quando arriva qualcuno che per tutta la vita ha eseguito questo movimento con il cou de pied puntato, il mio consiglio è di continuare a fare ciò che conoscono meglio, anche temporaneamente, fino a che non se la sentiranno di aggiungere opzioni diverse alla loro cassetta degli attrezzi. A me interessa solo che il battement frappé abbia la giusta intenzione e impeto, la scuola utilizzata importa poco. Stessa cosa per le pirouette en dedans: ho sempre utilizzato la tecnica denominata “tire-bouchon” ma quando incontro chi per anni ha applicato la tecnica che prevede di passare dalla seconda prima di ritirare la gamba per girare, lascio che continui a farli così, l’importante è che il giro sia ben impostato e la dinamica efficace. Le pirouettes richiedono molti anni prima di essere padroneggiate e non me la sento di destabilizzarli troppo togliendo loro le certezze e le competenze accumulate, né voglio essere percepita come la persona che distrugge tutto ciò che hanno imparato, ripeto loro continuamente che il mio compito è valorizzare ciò che sanno già, integrando e rafforzando con nuove abilità e consapevolezze.
Mi è capitato diverse volte di avere in classe allievi provenienti dalla stessa scuola e notare tra loro notevole differenza nel livello tecnico e artistico, nella conoscenza del codice e nella preparazione culturale, questo nonostante abbiano avuto i medesimi insegnanti. Ho anche ricevuto in classe allievi di colleghi che conosco e stimo per il loro lavoro e professionalità, osservando in loro sorprendenti lacune nell’impostazione di base e nella coordinazione. L’osservazione di queste esperienze mi ha fatto capire che non è possibile giudicare l’operato di un collega a partire dal risultato sugli allievi. Ci sono tantissimi motivi per cui qualcosa nella trasmissione può non andare a buon fine.
Anche a me ogni anno capita che almeno un allievo metta alla prova la mia pazienza e le mie capacità comunicative costruendo un inespugnabile muro intorno a sé. A volte lo fanno volontariamente, in particolare proprio le persone che hanno alle spalle più anni di studio, imponendomi paletti inamovibili per impedirmi di entrare nel loro spazio. Il mio aspetto, la mia modalità, l’integrazione di tecniche e visioni differenti dalla danza accademica nella mia proposta, il mio ossessivo ripartire sempre dalle basi, evitare forzature pericolose nelle articolazioni, la montagna di nozioni anatomiche che mi preoccupo di fornirgli ma che possono dare l’impressione che voglia portarli indietro anziché avanti: possono essere tanti i motivi per cui l’allievo si rifiuta di seguire i miei insegnamenti, nonostante provi in ogni modo a trovare una chiave che apre la porta.
Ci sono poi i casi in cui l’allievo attraversa un momento personale molto impegnativo, più o meno lungo, in cui tutte le energie sono già impegnate per la “digestione” e metabolizzazione del processo in atto e quindi non c’è molto posto per altro. In questi casi, le correzioni che dispenso vengono recepite nelle zone periferiche dell’attenzione, dove non permangono a lungo, vengono ripetute uguali ad ogni lezione senza che riescano a depositarsi da qualche parte nella memoria somatica.
Nel caso in cui questi studenti dovessero seguire la classe di un altro insegnante, questo potrebbe forse pensare che Lia Courrier è un’incapace senza professionalità, ma posso essere responsabile solo dell’impegno che infondo nel mio lavoro, della qualità delle informazioni che vengono condivise in classe e della chiarezza con cui sono trasmesse. Il resto è nelle mani di ogni singola persona e di quanta voglia ha di mettersi in gioco e impegnarsi “fino a svenire” come diceva Rudy. Non posso essere responsabile di ciò che l’allievo comprende o fraintende, dei suoi dubbi inespressi, delle domande mai fatte o della mancanza di fiducia in me. Non c’è nulla di personale ma è così, a volte non ci si incontra nel momento giusto.
Lo studio si dispiega in fasi, ogni insegnante cerca di fare del proprio meglio per lavorare sull’immenso vocabolario della danza classica ad ogni lezione. Il più delle volte però, dato il poco tempo a disposizione, si focalizza il lavoro su una particolare esplorazione. Ad esempio quando noto negli allievi la pericolosa attitudine di ruotare esternamente la gamba ma solo dal ginocchio in giù, con i piedi totalmente pronati e il femore ruotato in dentro, con conseguente conflitto per ginocchia, bacino e colonna lombare, sento la necessità di agire in modo specifico.
Spesso noto in loro memorie corporee ben sedimentate, basate sull’obiettivo estetico della prima posizione con i piedi aperti a 180 gradi e la quinta posizione serrata, atteggiamento che però può rivelarsi dannoso per la salute delle articolazioni se la morfologia delle ossa non soddisfa la richiesta in termini di mobilità. Con grande pazienza da parte di tutti, facciamo insieme esercizi per comprendere quale sia il proprio range di movimento, quali siano i muscoli preposti per la rotazione esterna dei femori e quali siano le compensazioni da attivare per mantenere una rotazione esterna costante e omogenea lungo tutta la gamba.
Questa è una fase molto delicata del lavoro perché gli allievi potrebbero percepire questo lavoro come il mio tentativo di farli danzare in modo sbagliato, non come dice “il manuale”. C’è anche da attraversare un processo di accettazione del fatto che il proprio corpo magari non ha una mobilità che possa mai sostenere in sicurezza una rotazione esterna di 90 gradi per ogni gamba. Un passaggio cruciale in cui si può manifestare rifiuto o comunque può essere difficile instaurare una relazione di fiducia, a volte è molto più facile cominciare da zero piuttosto che cambiare un’abitudine motoria radicata nel tempo.
Ancora, se questi soggetti andassero a lezione da un altro maestro, questo potrebbe chiedersi come mai le prime posizioni sono così chiuse, i battement alla seconda così avanti e le quinte posizioni non chiuse come dovrebbero, ma se fosse informato che stiamo riducendo temporaneamente l’en dehors per permettere ai piedi di radicarsi, all’arco plantare di costruire forza e alla caviglia di stabilizzarsi e correggersi, ai rotatori del femore di attivarsi e rinforzarsi allora forse comprenderebbe che non c’è nulla di sbagliato in quello che sto trasmettendo ma che stiamo semplicemente lavorando per acquisire nuove e più virtuose abitudini.
Insomma, anziché giudicare il libro dalla copertina, possiamo partire dal punto in cui gli studenti si trovano quando li incontriamo, ricordandoci di rispettare chi ha insegnato loro ciò che sanno, creando continuità anziché emettere sentenze non richieste che non sono neanche utili per l’apprendimento e danno all’allievo la demotivante sensazione di doversi smontare del tutto. Sosteniamoci reciprocamente anziché distruggerci l’un l’altro, credo che questo atteggiamento renda l’apprendimento più gioioso e ricco perché i saperi si accumulano, non si annullano a vicenda.