Lia Courrier: “L’omosessualità e la danza”

di Lia Courrier
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Sogno il giorno in cui non sarà più necessario parlare di questi argomenti, ma purtroppo l’involuzione culturale e sociale che caratterizza il popolo italiano del nostro tempo (sembra di essere tornati al medioevo), mescolata ad una violenza repressa che urla dalle pagine di cronaca, per fatti e crimini che mai dovrebbero accadere in un paese civile, mi spinge ad affrontare la discussione, che ha per oggetto l’ormai consunto binomio danza-omosessualità. Nel mese arcobaleno dell’anno 2021, mi chiedo perché un bambino venga portato a considerare la propria passione come qualcosa di cui vergognarsi, non solo dai soliti bulli ma anche dalle persone adulte che lo circondano. Si inneggia alla creatività, all’essere capaci di esprimere sé stessi, ma poi quando uno lo fa davvero, spesso viene osteggiato o deriso.
Potrei dire che l’omosessualità esiste da sempre, se ne parla persino in seno a quelle culture che consideriamo la culla della nostra civiltà, come ad esempio nella Grecia classica e nell’Impero Romano, nei quali la sessualità liquida non era affatto motivo di preoccupazione, a differenza di oggi in cui, nonostante il presunto progresso che dovremmo aver fatto nel frattempo, c’è ancora bisogno di manifestare per il proprio diritto di esistere. Sebbene io sia una fervida sostenitrice del corteo più colorato del mondo, il Gay Pride, e conto presto di potervi partecipare ancora, spero che un giorno non ci sia più bisogno di farlo, se non per divertirsi e celebrare un risultato raggiunto. Lo so, è un sogno. Ancora siamo qui a parlare di diritti delle donne, di colori della pelle e di liberazione animale, ma sognare in grande eleva lo spirito ed è totalmente gratis, quindi lasciatemi almeno questo.

Potrei dire che è impossibile ‘diventare’ gay, forse sarebbe più corretto dire che una persona possa non riconoscere da subito il proprio orientamento sessuale, ammettendolo a sé stessa, prima di tutto, e poi anche agli altri, facendo quello che con un inglesismo viene chiamato ‘outing’. Questa difficoltà a riconoscersi, spesso ha come causa principale proprio un contesto sociale che di certo non aiuta a sentirsi liberi di essere sé stessi, non solo in questo specifico ambito ma in generale in ogni aspetto dell’esistenza, dato che si viene spinti all’omologazione, e chiunque non rientri nei parametri socialmente accettati è fottuto. Non c’è da meravigliarsi che la persona si chiuda in sé stessa o si creda sbagliata, soprattutto non amata, non vista, specie se sono proprio i genitori a provare repulsione. Si tratta di ferite difficili da rimarginare che possono avere effetti più o meno importanti sulla qualità della vita.

Potrei dire che nessuno diventa gay perché fa danza, forse si potrebbe pensare che una persona con una particolare sensibilità possa essere attratta dai mestieri dell’arte, poiché con la creazione artistica è possibile comunicare attraverso un linguaggio non verbale, e più facilmente trovare una propria collocazione nel mondo, un proprio modo di esprimersi. Quindi, cari genitori, state tranquilli e lasciate che i vostri figli facciano quello che desiderano, perché la danza non è un fattore di sviluppo sessuale, ma solo una sana attività con la quale i vostri figli maschi potranno costruire un corpo armonioso e musicale, una disciplina ferrea, nonché la possibilità di comunicare con il mondo esattamente per come sono: meravigliosi. Se poi vi dichiareranno di essere gay, siate orgogliosi di loro, per aver trovato la forza di vivere la propria vita pienamente, senza farsi condizionare da nessuno.

Potrei dire che la tecnica maschile del balletto è estremamente virile, piena di salti, di prove di forza, di potenza, e non capisco davvero come si possa pensare che il balletto sia ‘roba da femminucce’, come si dice spesso. Studiare balletto richiede a tutti, maschi e femmine, una forza, determinazione e un ardore, che possiamo considerare doti molto rare, specie nelle ultime generazioni, quindi se pensate una cosa simile non sapete proprio di cosa state parlando. Forse per via della calzamaglia? Beh, vorrei proprio vedere quanti di questi uomini che credono che la danza possa intaccare la mascolinità, sono in grado di indossare un tale capo con la stessa maestosità  ed eleganza con cui i ballerini sono in grado di portarlo.

Potrei andare avanti a dire altre mille cose, ma alla fine quello che conta davvero è che essere gay è come dire di avere gli occhi verdi o marroni, i capelli biondi o bruni. Non diventi omosessuale, lo sei, punto. Ogni speculazione scientifica, filosofica, antropologica a riguardo è totalmente inutile e irritante, poiché riguarda la sfera personale dell’individuo e non dovrebbe importarci l’origine di questa caratteristica, dal momento che non si tratta di una malattia da curare ma di un modo di essere.

Ammetto che nell’ambiente della danza esiste una certa incidenza di gay dichiarati, ma ne esistono anche in altri ambiti, come ad esempio nel calcio, o tra gli impiegati di banca, dal benzinaio dove fai rifornimento, o forse è proprio il corriere che ti fa le consegne ad essere gay: ma che ti importa? Cambierebbe la tua percezione di quella persona se sapessi che lo fosse? Se la risposta è sì, forse dovresti chiedere quali nodi risiedono nella tua propria sessualità, quali questioni irrisolte aspettano solo di essere viste e ascoltate. Probabilmente la percezione di una maggiore presenza di omosessuali in alcuni ambienti, esiste solo in virtù di un contesto culturale nel quale è più facile dichiararsi, a fronte di altri in cui sembra che non si possa neanche nominare la parola senza creare disagio.

Non capisco proprio come possa fare più scalpore il fatto che il proprio figlio si dichiari gay, piuttosto che -ad esempio- scoprire che bullizza i compagni di scuola, usando su di loro violenza fisica o verbale. Ci si scandalizza più per un figlio che ama che non per uno che odia?

Questo è il motivo per cui non credo molto nell’operazione che si sta facendo sulla lingua italiana per renderla più inclusiva, perché se alla base non cambia il pensiero, non cambiano le azioni, non credo che questo possa essere un approccio risolutivo, anche se ne comprendo il senso e apprezzo gli obiettivi preposti.

L’unica cosa che mi viene sempre in mente quando questo argomento salta fuori, è che nel 1984 c’era Renato Zero a Fantastico, trasmissione seguitissima, in prima serata sulla rete nazionale principale, che attraversava il palco danzando e cantando en travesti, circondato di piume e pailettes, con i tacchi ai piedi, e mi dico che eravamo più liberi allora di oggi.

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