È datato 23 Marzo un articolo uscito su “Il Fatto Quotidiano” che porta la firma di Eleonora Lavaggi, dedicato alla storia di una ballerina italiana che ha coronato il suo sogno con la danza all’estero, più precisamente in Inghilterra.
Alice Bellini, questo il nome dell’artista, ha cominciato la sua formazione all’Accademia di Ballo del Teatro alla Scala per poi spostarsi a soli 17 anni alla Royal Ballet School di Londra.
Dal 2017 è parte dell’organico dell’English National Ballet con la carica di solista.
Una storia di successo, come tante a dire il vero. I ballerini italiani sono molto apprezzati all’estero, accademie e compagnie se li contendono per inserirli nei programmi. Non si può certo dire lo stesso del loro paese di origine, in cui questo mestiere sta sempre più diventando un privilegio per i pochi che possono permetterselo, a partire dalla formazione.
Alice è stata invitata alla Royal Ballet School con una borsa di studio, perché hanno visto in lei un diamante grezzo che meritava di essere lucidato per bene, così l’intraprendenza e la forza di volontà di questa ragazza sono state premiate dall’incontro che le ha cambiato la vita, durante un programma estivo di studi, altrimenti sarebbe rimasta qui, pagando la propria formazione, in attesa di una carriera che mai si sarebbe potuta realizzare con un tale splendore.
Mi ha fatto molto piacere scoprire che questo articolo è parte di una sezione de “Il Fatto” online in cui ci si occupa di “cervelli in fuga”. Per la prima volta vedo comparire una storia di danza in mezzo ad altre di biologia, ingegneria, informatica e chissà quale altra specializzazione di chi ha vinto il primo premio nella lotteria del Q.I.
È stato un vero sollievo sapere che qualcuno consideri la storia di Alice come una “fuga” di cervello o meglio, in questo caso, di “corpo” danzante .
L’Italia è un paese da cui i giovani aspiranti danzatori che hanno obiettivi chiari e capacità per realizzarli fuggono via, perché l’arte della danza in queste latitudini langue in una palude dimenticata da un tempo immemorabile e non esistono attualmente i presupposti culturali, finanziari e contrattuali per sostenere i talenti e permettere loro di esprimersi pienamente. L’Italia è un paese in cui quello della scena non è considerato un lavoro, in cui le scuole che rilasciano titoli riconosciuti non riempiono neanche dita di una mano, in cui le compagnie sul territorio sono poche e navigano a vista in stagioni sguarnite e a basso costo, senza riuscire a coprire neanche una piccolissima parte della domanda. Una situazione allo sbando che non promuove la qualità ma solo un’esigua quantità (e per pochi) e il risultato ahimè si vede, duole dirlo. Le produzioni italiane sono carenti, lontane dagli standard qualitativi del resto d’Europa e questa non è una critica ai coreografi o ai registi, su cui non si possono addossare tutte le colpe, dal momento che devono lavorare nei ritagli di tempo, il più delle volte senza una produzione alle spalle, spesso a scatola chiusa in sale prova che non offrono neanche la possibilità di progettare un disegno luci, il più delle volte senza risorse per costumi, scene, musiche originali o la presenza di un dramaturg.
L’Italia è il paese in cui gli allievi delle scuole vengono portati sul palcoscenico presentati come compagnia, si è arrivati a questo perché non ci sono fondi per sostenere economicamente un ensamble e il tessuto culturale che compone il pubblico medio ormai non ha gli strumenti per accorgersi della differenza tra un amatore e un professionista. Gli organizzatori di eventi vogliono inserire la danza ma non sono disposti a pagare ballerini professionisti così ormai il confine tra l’ambito amatoriale e quello professionale si è totalmente dissolto creando molta confusione e allontanando sempre di più la danza dal riconoscimento che merita (morale e legale).
Sempre che tu non sia una superstar, ovviamente.
Alice ha scelto di saltare dentro a quel treno perché ha sentito che poteva essere una buona occasione e certamente disponeva anche del coraggio e della determinazione necessari per portare avanti i suoi progetti. Stare lontani da casa e dalle proprie radici non è mai facile, soltanto una forte e ferma motivazione possono sostenerti nei momenti difficili perché raggiungere i propri obiettivi, specialmente se si tratta di ambizioni alte, comporta rinunce impossibili per la maggior parte delle persone. Bisogna solo lavorare, studiare duramente ogni giorno e fare i conti con le nostalgie e i magoni che ti visitano alla sera. Quando sei sfinito e l’unica cosa di cui avresti bisogno è scioglierti in un abbraccio, magari ti dovrai accontentare di una telefonata.
Essere in un percorso formativo come quello del Teatro alla Scala è già un privilegio per pochi, ma questo può non bastare ad un talento che ha sogni grandi. Occorre vivere in un contesto sociale e cittadino stimolante, in cui accadono cose, si ricevono sollecitazioni sempre nuove, con il pubblico riempie i teatri ogni sera, conosce e apprezza la danza, che ha le competenze per poter leggere un’opera di repertorio così come una di ricerca. Questo è l’unico terreno fertile in cui il potenziale del seme può attecchire e germogliare, altrimenti la pianta può anche provare a radicarsi ma, priva del nutrimento necessario, nonostante la qualità degli insegnamenti ricevuti, è destinata ad appassire.
Formarsi e lavorare in un contesto che riconosce la danza come professione è importante anche per alcuni aspetti meno scontati. Le giornate dei ballerini sono scandite essenzialmente da disciplina e allenamento, per questo è preziosa la presenza di professionisti che curino la salute, la prevenzione e la riabilitazione dei ballerini, a cui possano accedere gratuitamente almeno per i servizi di base: un lusso per noi inimmaginabile. Qui se ti fai male non solo perdi giornate di lavoro ma ti devi anche pagare da sola le cure, a meno che non sia assunta con un contratto almeno stagionale ma questo è un trattamento che pochissimi professionisti della danza hanno, se non per periodi più o meno brevi, giusto la durata della produzione.
L’Italia è un luogo che ha fatto dell’arte il proprio manifesto. Da tutto il mondo arrivano per ammirare l’arte italiana, e l’arte italiana ha fatto il giro del mondo ed è presente in ogni museo che si possa immaginare. Come spesso accade, ci siamo così tanto abituati a questa bellezza da cui siamo circondati, in ogni città, dalle più grandi e famose alle più piccole, che non la vediamo più. Ce l’abbiamo così sotto il naso da non riuscire a riconoscerla, e così lasciamo che questi grandi talenti vadano altrove a diffondere a loro luce e se per qualcuno di loro può essere anche un percorso desiderato e cercato, per qualcun altro diventa una scelta obbligatoria, a meno che non si decida di lasciar perdere e cambiare progetto di vita.
Il popolo della danza, attualmente, in Italia, è formato per una piccola parte da professionisti eccellenti, con addosso capacità tecniche e artistiche sviluppate in anni di studio e esperienza, mentre il grande resto è composto da una massa di sedicenti artisti che pasteggiano da un festival all’altro, vagabondando all’interno del sistema delle “residenze” o in qualche compagnia in cui non è prevista neanche la lezione giornaliera per i lavoratori. Le produzioni si svolgono in un tempo così breve che varrebbe la pena andare in scena con un’opera estemporanea, improvvisata, non c’è mai tempo per approfondire il processo creativo o per scavare in fondo alle domande più importanti che ogni artista dovrebbe farsi. Conosco pochissimi autori che si prendono più di un mese di lavoro continuativo per essere consapevoli di ciò che vogliono raccontare attraverso la propria ricerca.
Gli artisti hanno un grande spirito di adattamento ma negli anni, si sono prestati a questo gioco al ribasso il cui risultato è un contesto inadatto alla vita della creazione artistica, così ora bisogna accontentarsi di fare il possibile con il poco che c’è, oppure partire.