Lia Courrier: “L’insegnante di danza è un elemento stabile, esempio positivo e propositivo”

di Lia Courrier
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Questa settimana mi sono nuovamente immersa nell’inconfondibile atmosfera di quella grande stanza in cui una fila di giovani e bellissime ragazze sono sedute davanti allo specchio per sistemarsi i capelli e le calze prima della lezione, accanto ai ragazzi che invece sono sempre lì ad allungarsi le gambe in ogni modo possibile. Una stanza in cui, nel segreto della trasmissione orale delle conoscenze, cerco di fare del mio meglio per essere presente al mio ruolo di insegnante, in tempi difficili come questi che stiamo vivendo, interagendo con una generazione forse lontana dalla mia, sotto molti aspetti, ma che tutto sommato vive l’emozione di realizzare lo stesso sogno che avevo anche io alla loro età.

A volte li vorrei strangolare, quando non danno il massimo, quando studiano con sciatteria o si perdono in un bicchiere d’acqua dimenticandosi di concetti che conoscono benissimo e che ho ripetuto milioni di volte (genitori non preoccupatevi, non realizzerò questi cattivi propositi, so come trattenermi), ma il più delle volte sento l’istinto di sostenerli, di motivarli, e di aiutarli a credere in sé stessi anche quando sono proprio loro i primi a sabotarsi. Quando guardo i miei studenti è come se mi guardassi allo specchio e riconoscessi in ciascuno di loro quella scintilla, quella brama, a volte affievolita, a volte silente, altre scoppiettante come una miccia. In fondo siamo tutti alimentati dalla stessa fiamma: cercare nella danza una via per parlare al mondo, per sentirsene parte ma in un modo che non tradisca la propria natura. Siamo persone che fanno fatica a stare nei solchi scavati da altri, percepiamo questa spinta verso ciò che non può essere espresso a parole ma che invece può emanarsi dal corpo danzante. La maggior parte di loro, a mio avviso, non sa neanche bene perché è lì, non lo sa ancora in modo consapevole, sulla superficie della coscienza, ma ogni giorno vengono comunque a farsi massacrare, a sudare, a mettersi in gioco, perché sentono di volerlo fare, è come un istinto, e io sono lì non solo per insegnargli a danzare, ma anche per aiutarli a capire questa esigenza in parte ancora per loro misteriosa. “Non mi interessa come si muovono le persone, ma cosa le muove”, questo disse Pina Bausch, e io non potrei essere più d’accordo. Anche io nutro il medesimo interesse.

Questa settimana ho avuto anche una piacevole conversazione con Liliana Candotti, per il gruppo “Insegnanti di Danza Uniti”, in quella che potremmo chiamare la pubblica piazza digitale. Una diretta da lei voluta per avviare delle riflessioni sulla relazione insegnante-allievo in questo millennio appena cominciato, diciamo, non proprio nel modo più rassicurante. L’idea di questo incontro nasce dal cercare di vedere quello attuale come un momento di grande opportunità, in cui si è perso molto, quasi tutto direi, così ci troviamo in una condizione che somiglia ad un nuovo inizio. Un concetto di cui ho scritto anche qualche numero fa proprio qui, ma da una visuale più ampia che include tutta la filiera della produzione coreutica. Questa volta invece il focus è stato il ruolo di formatori e come poter rendere le nostre classi più inclusive, analizzando anche le modalità e il vocabolario che abbiamo ereditato dai nostri insegnanti (e che con grande fiducia e rispetto abbiamo fatto nostro) per capire se ci sono degli elementi che oggi possono essere considerati obsoleti o inadatti al contesto contemporaneo.

Chiaramente si tratta di un campo molto vasto che non può essere esaurito in un incontro di un’ora, ma è interessante e importante la dichiarata volontà di voler cominciare un confronto un tema che mi sta molto a cuore e che in solitaria ho sempre portato avanti in tutti questi anni di lavoro sui ragazzi. Due sono i cardini attorno a cui si è ruotato per tutto il tempo: uno certamente è il corpo, come viene percepito il proprio, quello degli altri, come viene osservato, analizzato, giudicato o lodato. L’altro è il cuore: desideri, sogni, frustrazioni, gioia, motivazione, ardore, umiliazione. Queste le parole che sono tornate più spesso.
In questo turbine l’insegnante si pone come elemento stabile, una montagna su cui gli studenti possano fare affidamento per farsi guidare, esempio positivo e propositivo, che includa tutti indistintamente nella pura gioia di danzare. Una visione secondo me importante nell’ambito della formazione professionale, ma che diventa indispensabile in quello delle scuole amatoriali (detesto utilizzare questo termine perché nella nostra cultura ha una accezione negativa, come se fossero scuole di seconda scelta, mentre invece si tratta di strutture fondamentali in cui spesso i ragazzi vivono le prime esperienze con il movimento, ma insomma in qualche modo bisogna dare loro un nome, se qualcuno di voi avesse qualche idea a riguardo mi scriva), popolate da persone che magari non faranno i danzatori di professione, ma hanno tutto il diritto di ricevere la formazione in un clima accogliente, gioioso e che rispetti la persona in ogni aspetto dell’essere, da quello fisico a quello mentale e spirituale.
Danzare è un volo che ti rende meraviglioso ma allo stesso tempo vulnerabile, perché ti mostri per quello che sei. Quando danzi non ci sono luoghi in cui nascondersi o maschere da indossare, sei lì nudo e tutti possono osservarti negli angoli più nascosti, persino quelli che tu stesso non hai mai visto. Noi insegnanti dovremmo sempre ricordare dell’influenza che ogni parola detta, ogni sguardo, ogni gesto possono avere sugli allievi e sull’atmosfera che si crea in classe, e dovremmo muoverci con grande attenzione per non incrinare quel delicato cristallo brillante che ricopre il loro cuore, osservando il più profondo rispetto per quella parte così pura ed esposta ai venti. Allo stesso tempo, per mantenerci in equilibrio, abbiamo bisogno di essere decisi e severi sulla trasmissione della tecnica, donando generosamente tutto ciò che sappiamo o che abbiamo compreso sulla danza, per quanto poco sia (almeno per me è così), lasciando libero l’allievo come un uccellino che mai verrà chiuso in una gabbia.

Questo mi pare di aver capito, in poche, succinte parole, sia il succo della discussione, che potete ancora visionare, se vi interessa, perché sul web – purtroppo o per fortuna – i documenti rimangono in seculae seculorum.

Danza: ancora una volta ti incontro, grazie per i doni.

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